“Presto avrebbero cominciato a soffiare i venti autunnali lambendo la terra arida, gelidi da far rizzare i capelli. Gli uccelli, con il capo nascosto sotto l’ala si sarebbero rannicchiati cercando riparo. Uccelli infreddoliti. Non si udiva più il verso della pernice. Le orme delle sue zampe che paiono tinte di henna non si rintracciavano più ai piedi dei cespugli. Con il passar dei giorni l’impeto dei venti aumentava. I venti di fine estate, correnti violente capaci di sradicare tutto, trasportavano i bioccoli di collina in collina.” (Yaşar Kemal)*
Quasi l’80% della produzione mondiale di cotone è effettuata da sette paesi. Tra questi la Turchia detiene il sesto posto con una produzione di 827 mila tonnellate annue. La tessitura nelle regioni anatoliche ha una storia che risale all’età antica. Successivamente all’ascesa dell’Impero Ottomano, l’Anatolia divenne il centro della produzione tessile del paese. Poi, verso la fine del XIX secolo, cominciarono a essere istituiti diversi stabilimenti che durante il periodo repubblicano vennero raggruppati sotto la Sümerbank, una fabbrica tessile fondata da Atatürk allo scopo di accelerare la transizione verso l’industrializzazione. A partire dagli anni Sessanta comincia una graduale privatizzazione del settore tessile che se nel 1952 contava un 28% di imprese private, nel 1962 arriva a una percentuale del 62% fino a una privatizzazione del 90% dell’industria nel 1990.
In questo processo anche la Sümerbank che rimane un simbolo del settore tessile in Turchia, da statale divenne privata fino alla sua definitiva chiusura nel 2002. Conosciuto anche come beyaz altın (oro bianco), il cotone è un prodotto versatile in quanto fornisce materie prime al tessile con la sua fibra, all’industria petrolifera con il suo olio di semi e al settore zootecnico con la sua polpa. Generalmente la raccolta manuale del cotone in Turchia inizia nella seconda metà di settembre mentre quella meccanica che si è cominciata a sviluppata negli ultimi anni comincia nel mese di ottobre. Il campo va però preparato al raccolto nei mesi immediatamente precedenti, sotto il torrido sole delle regioni del sud-est. Quest’anno per i lavoratori stagionali impegnati nella zappatura del terreno il Consiglio di coordinamento provinciale delle Camere dell’agricoltura di Hatay ha stabilito un salario di 52 TL giornaliere (circa 5,7 euro). La Confederazione dei sindacati rivoluzionari dei lavoratori (DISK) non ha tardato a denunciare questa scelta come contraria alla dignità umana.
Un fotoreportage di Seçkin Yenici