La questione curda rimane di urgente attualità. In Italia di curdi e della condizione di oppressione in cui vivono e soffrono in Turchia, in Siria se ne parla molto. Tuttavia poco si conosce dei dibattiti che attraversano questa comunità eterogenea e molto politicizzata e altrettanto poco si sa della cultura e della produzione culturale curda. Pochi mesi fa è stato tradotto per la prima volta in italiano un romanzo scritto in curdo dal più importante autore curdo del XX secolo, Mehmed Uzun. Per parlare di letteratura curda abbiamo invitato Francesco Marilungo, curatore e traduttore, per un doppio incontro a Napoli.
Di seguito invece un estratto del romanzo Tu di Mehmet Uzun, buona lettura
“Dopo il soggiorno, andaste tutti insieme in corridoio. Lì tenevate il cibo e le provviste. Vasi, barattoli e pentole erano in fila uno accanto all’altro. A modo loro perquisirono anche il corridoio, mettendo a soqquadro ogni cosa anche lì, poi uscirono. Guardasti i barattoli sotto ai quali si trovavano i tuoi poveri libri, piegati e chiusi in sacchetti di plastica. Quando ancora avresti potuto prenderli e abbracciarli di nuovo?
Rimaneva infine la tua camera. Usciste dal corridoio per andare verso la stanza degli ospiti. Quest’ultima era organizzata in maniera magnifica, decorata e abbellita con tappeti e tessuti preziosi. Quando c’erano ospiti a casa dormivano lì, mentre invece quando non c’erano e tuo padre era a casa, lì dormivano i tuoi genitori. Misero sottosopra quella stanza e il corridoio adiacente. Poi passarono alla stalla e da lì tornarono di nuovo in soggiorno. Era il turno della tua camera. Il commissario ringhiava, era rimasto senza fiato e nonostante tanta operosità non era riuscito a mettere le mani su niente. Le sue speranze erano risposte nella tua stanza…
Rientraste dentro di fretta, il commissario avanti, voi dietro di lui e tua madre ancora dietro. Non c’era niente in camera a parte un tavolino e una sedia bassa, due tappeti e qualche cuscino sistemato a terra, un piccolo specchio decorato, il tuo letto, la radio, una piccola stufa, due nicchie e i tuoi libri non proibiti.
I loro sguardi caddero sui libri.
Usavi le due nicchie come librerie. In ognuna di esse avevi ricavato tre mensole e ci avevi sistemato sopra i libri. Qualche tempo prima con la lista dei libri proibiti in mano, avevi controllato gli scaffali. Avevi nascosto i libri proibiti assieme a qualche libro e rivista in curdo, mentre gli altri li avevi rimessi al loro posto.
I cacciatori avevano messo le mani sulla preda e si erano lanciati sui libri.
-Signor commissario, quei libri non sono vietati, ecco ho con me la lista dei libri proibiti, potete controllare.
Ma al commissario non interessava; le parole che avevi pronunciato non le aveva neanche sentite. Sollevò i libri dal loro posto uno ad uno, li guardò, sfogliò le pagine, scosse il capo in maniera significativa e allusiva, inasprì il volto, sfogliava le pagine d’un colpo e poneva il libro sul tavolo. I poveri Rilke, Conrad, Joyce, Tolstoj, Dickens, Mann, Kavafis, Lawrence, Faulkner, Gary, Hayyam, Darwish e Woolf e gli altri libri di scrittori che volevi conoscere, parte dei quali avevi preso in prestito dalla biblioteca della città, erano caduti in mano al commissario e causa della sua crudeltà si dimenavano nelle sue mani.
– Che cos’è questo?
Il commissario si stava adirando per qualche motivo. Aveva in mano un libro di Lorca. Aveva aperto il libro e scuoteva il capo mentre lo spaginava.
– E quindi questa sarebbe poesia? Ma chi scrive questa roba. Ascolta qua.
Prese a leggere in turco:
In alto nel cielo oscuro
Serpenti gialli
Sono nato con un paio di occhi
E me ne vado senza
In possesso del più grande dolore
E poi sulla terra
Una fiaccola e una coperta.
Mio Dio come leggeva! Ti si stringeva il cuore. Dopo trentasei anni dall’assassinio di Lorca, il signor commissario lo uccideva di nuovo nella tua stanza in una notte umida e oscura del Kurdistan; i versi della poesia si separavano l’uno dall’altro e le belle parole di Lorca in bocca al commissario diventavano spine, carboni ardenti che ti cadevano sul cuore.
Volevo arrivare
Laddove arrivano i buon
E per Dio ci sono arrivato
Ma poi sulla terra
Una fiaccola e una coperta
– Avete mai visto dei serpenti gialli nel cielo? Avete mai visto qualcuno senza occhi? Chiese il Commissario ai suoi compagni. – Questi sono tutti pazzi, dei folli, non sanno cosa scrivono. Ma non capisco perché i giovani leggano queste zozzerie.
Il signor Commissario vi esponeva le sue preziose opinioni sulla poesia di Lorca.
E Dio che opinioni! Non volevi dire niente. Volevi solo che uscissero di casa e se ne andassero al più presto possibile.
– Ah, ecco qui Cechov…questo Cechov, hanno messo sottosopra la Russia e instaurato il sistema bolscevico. Hanno calpestato l’onore e la dignità del popolo. Costui era amico del leader rosso Lenin. Perché tuo figlio legge questa roba?
Stavolta esponeva le sue alte opinioni rivolto a tua madre. La vista ti si annebbiava dalla rabbia e non riuscisti più a trattenerti.
– Signor commissario, basta così! Non siete obbligato ad esprimere le vostre opinioni su ogni argomento. Cos’ha fatto Cechov, cos’ha fatto Lenin, perché erano amici? Vi chiedo il favore, finite il vostro lavoro in fretta e andiamo.
– Wow, che fai ti arrabbi? Bene, con te ce la vediamo più tardi. Poi si rivolse nervosamente ai poliziotti, – Presto, portate qualcosa per mettere dentro tutti questi libri, li portiamo con noi.
Poi si rivolse di nuovo a te: – E tu vedi di vestirti in fretta, verrai con noi, veloce… veloce… veloce…
Il commissario si era innervosito, ma andava bene così. Ti eri liberato di un grosso guaio, ovvero eri scampato dall’ascolto delle sue opinioni e delle sue vedute. Davanti a loro e in tutta fretta ti togliesti la maglia del pigiama e indossasti una camicia e un maglione, poi ti infilasti pantaloni senza prima togliere quelli del pigiama.
I poliziotti avevano tirato a terra un lenzuolo dal tuo letto e ci avevano gettato dentro i libri. Gettavano i libri, come si getta la buccia di cocomero nell’immondizia. Non c’era bisogno che ricordassi al commissario la lista dei libri proibiti. Per loro ogni tipo di libro era vietato. Tutti scompigliati e scompaginati, i libri gettati nel lenzuolo bianco sembravano dei condannati a morte. Ti veniva da piangere. Come se qualcuno stesse premendo con forza le mani sul tuo cuore, le tue vene sembravano svuotate. Ti scosse la voce del commissario:
– Questo cos’è? Questo cos’è?
Aveva in mano un pezzo di carta bianca e lo fissava. Tu domandasti a tua volta:
– Cos’è? Facesti due passi nella sua direzione per poter vedere il foglio che aveva in mano.
– È poesia o cosa?
– Sì è poesia.
– In che lingua? È in curdo?
– Sì, è in curdo.
Sul foglio era scritta con la tua calligrafia una breve poesia di un tuo concittadino scomparso. Questo tuo concittadino era un avvocato e un intellettuale, e soprattutto un famoso patriota e un bravo poeta. Qualche anno prima che il commissario e i suoi venissero a trovarti a casa, era stato ucciso in un ospedale. Le sue poesie circolavano nel vostro paese. Tutti scrivevano a mano le sue poesie su pezzi di carta per poi impararle a memoria.
Quando avevi nascosto i libri e le riviste, avevi nascosto anche le poesie di questo tuo concittadino. Com’era possibile che questa ti fosse sfuggita? Quel foglio era rimasto chiuso fra le pagine di un libro in attesa di quella notte!
– Uhm, è in curdo eh! E quindi tu scrivi e leggi roba in curdo!
Il commissario s’era tutto rallegrato, quantomeno aveva trovato una poesia in curdo. Quella piccola poesia li soddisfaceva; per quella piccola poesia erano capaci di farti patire un gran male. Diamine… perché non avevi controllato ancora una volta pagina per pagina tutti i libri?
– Curdo eh? Avanti leggi e traduci, fammi capire che cosa dicono le vostre poesie.
Il commissario era allegro e iniziava a sfotterti.
– Signor commissario, per favore… Se avete finito il vostro lavoro vi prego andiamo.
A loro bastavano la poesia e i libri. I poliziotti annodarono insieme le estremità del lenzuolo, poi guardarono il commissario: i libri erano fatti prigionieri, ora attendevano ordini dal loro superiore.
– Avanti, andiamo.
Usciste tutti quanti dalla tua stanza. All’ingresso i tuoi fratelli continuavano a tremare e la paura non se n’era andata dai loro volti. Lentamente infilasti le scarpe ai piedi, indossasti la giacca e prendesti il cappotto in spalla, poi andasti dai bambini. Li abbracciasti uno ad uno e li baciasti sugli occhi. In silenzio, come fosse un sacro dovere, volevi mostrare il tuo rispetto per la famiglia, per tua madre, i tuoi fratelli e sorelle. Andasti davanti a tua madre. La stringesti forte e la tirasti a te per abbracciarla. Sentivi il suo calore fin dentro le costole. Le sue labbra ti baciavano in fronte e sugli occhi. Tremava.”
Mehmed Uzun, Tu, trad. F. Marilungo, Scienze e lettere, Roma, pp. 67-70.
Mehmed Uzun Scrittore e saggista (Siverek 1953 – Diyarbakır 2007), considerato tra i più importanti autori di lingua curda. Dopo essere stato incarcerato due volte con l’accusa di separatismo, si rifugia prima in Siria e poi in Svezia, dove nel 1977 gli viene concesso l’asilo politico. Privato della cittadinanza turca nel 1981 per un articolo apparso in Svezia a difesa degli intellettuali turchi incarcerati dopo il colpo di stato del 1980, Uzun ritorna in Turchia per la prima volta nel 1992 e poi definitivamente soltanto nel 2005. Al romanzo d’esordio «Tu » (Tu), del 1984, ne seguono altri sei, tra cui Siya Evînê («All’ombra di un amore perduto, 1989»), con cui s’impone all’attenzione di pubblico e critica.
Al centro delle narrazioni di Uzun ci sono temi quali l’amore, la lotta politica, i conflitti e la memoria. In tutti i suoi lavori, permeati da un profondo senso di sradicamento, sofferenza e nostalgia, Uzun dà voce alle storie dimenticate del popolo curdo attingendo ai ricordi della sua infanzia, ma anche passando al setaccio la letteratura orale tramandata dai dengbêj, i trovatori curdi. Mehmed Uzun scrive in curdo kurmanji, sua lingua madre, il cui uso è stato a lungo scoraggiato in Turchia e ufficialmente vietato tra il 1983 e il 1991. Oltre a scrivere romanzi, Uzun ha condotto un lavoro di ricerca volto al recupero della lingua e della cultura curda, curando, tra le altre cose, un’antologia di letteratura curda, Antolojiya edebiyata kurdî (1995), e numerosi saggi, molti dei quali scritti in turco. I lavori di Uzun, tradotti in turco, sono stati messi al bando in Turchia per molti anni. Ancora nel 2001 fu accusato di incitamento al separatismo, dopo la ristampa della collezione di saggi Nar Çiçekleri («Fiori di melograno», 1995) e dell’apparizione nel 2000 della traduzione turca del romanzo Ronî mîna evîne tarî mîna mirinê («Luminoso come l’amore, buio come la morte», 1998), narrazione allegorica del conflitto tra curdi e turchi attraverso la storia d’amore tra una giovane guerrigliera e un militare. Nel 2002 Uzun ha subito un’analoga accusa per la raccolta Bir Dil Yaratmak («Inventare una lingua, 2001»), contenente una serie di sue interviste sulla cultura curda e sulla necessità di creare anche una letteratura in lingua curda. L’ultimo romanzo che Uzun ha completato prima della sua prematura scomparsa è il magnum opus Hawara Dîcleyê («Il grido del Tigri», 2001), un viaggio nelle molteplici culture della Mesopotamia e dell’Anatolia del 19° sec., da lui considerato il suo testamento spirituale. [da Treccani, Lessico del XXI secolo]