Turchia, cultura e società

Caffetteria Allunga Vita

in Racconto

Un racconto di Nazlı Eray

Quando l’autobus che mi ha portato da Ankara a Milas si è fermato, ero stanca, sono scesa in paese.
Ho dato un’occhiata all’orologio da polso. Erano ancora le 2:30. Mentre camminavo per le stradine piene di salite e discese, anfratti e sporgenze che ricordavano l’interno di una turritella vuota, rovistando nelle tasche ho trovato l’indirizzo che mi era stato dato.
C’era scritto così sul pezzo di carta sudato e stropicciato in tasca dopo il lungo viaggio:

Caffetteria Allunga Vita
Quartiere Şevketiye N. 12
Milas

Ho piegato il foglietto e me lo sono messo in tasca. Guardando tutti i nomi di strade mi sono messa a cercare il quartiere Şevketiye. A quell’ora di notte non c’era nessuno sveglio in giro. Tutti i negozi avevano la saracinesca abbassata. Per di più era una notte senza luna. Continuavo a camminare.
A un angolo ho incontrato un guardiano.
Aveva chiaramente l’abitudine alla notte, lui.
Mi sono avvicinata; ho tirato fuori il pezzo di carta dalla tasca, gli ho chiesto l’indirizzo.
Il guardiano ha dato un’occhiata al biglietto. Poi mi ha squadrato da capo a piedi.
“Quindi stai cercando la Caffetteria Allunga Vita, eh?”
“Sì, ho trovato questo indirizzo con grande difficoltà nella città da cui vengo, Ankara. Voglio conoscere i quattro anziani che ogni notte alle 3:30 vanno in quella caffetteria allo scopo di allungarsi la vita,” gli ho detto.
E il guardiano:
“La caffetteria che sta cercando è alla fine di quella strada. I vecchi tra un po’ arriveranno e come ogni notte si siederanno al tavolo all’angolo della finestra. Le chiavi ce le ha il proprietario della caffetteria. Quei quattro anziani, come fanno sempre, nell’arco di 12 ore si racconteranno l’un l’altro i loro vecchi ricordi; così, con il tempo che tolgono al sonno e rivivendo i vecchi giorni e il presente nello stesso momento, si allungano la vita”.
Quanto raccontato dal guardiano mi aveva completamente incantato. Quelli che mi avevano dato l’indirizzo nella città dalla quale venivo mi avevano accennato un po’ la cosa, ma quel guardiano l’aveva raccontata in maniera molto più vivida…
Mi sono voltata verso il guardiano:
“Senta e questi quattro anziani che si allungano la vita, crede che mi accoglieranno tra loro per una volta? Accetteranno che una straniera entri in quel loro universo speciale?” gli ho chiesto.
E il guardiano:
“Credo di sì”.
C’era una cosa che non riuscivo a togliermi dalla testa.
Ho chiesto al guardiano:
“E lei”, gli ho detto. “Non ha mai pensato di andare nella Caffetteria Allunga Vita e allungare la sua, fosse anche solo di dodici ore?”
Il guardiano si è messo a guardare lì dove c’erano gli alberi.
“Guardi, a me non è mai venuto in mente di andarmi a sedere con quegli anziani e allungarmi la vita di altre dodici ore”, ha detto.
Il tempo passava. Ci siamo salutati. Il guardiano si è infilato in una strada scomparendo senza guardarsi indietro.
Cammina cammina sono arrivata alla Caffetteria Allunga Vita. Era ancora chiusa. All’interno non c’era luce.  Mi sono messa a cercare l’insegna.
Strano, le foglie di vite avevano nascosto l’insegna per bene.
Ho guardato di nuovo l’orologio. Si erano fatte le 3:30.
Mentre da una parte aspettavo il proprietario che avrebbe aperto la porta e i quattro anziani che dopo poco sarebbero venuti qui per allungare le loro vite, ho controllato la grande busta gialla chiusa con un elastico, che tenevo ordinatamente piegata sotto il braccio.
In quel momento è arrivato il proprietario. Ha aperto con le chiavi che aveva in mano. Ha tirato fuori un cardellino nella sua gabbia e lo ha appeso di fronte alla finestra sotto la vite, fuori dalla caffetteria.
Sono entrata all’interno nella luce morta che c’era all’inerno. Il tavolo dei quattro anziani era pronto. Il proprietario ha sistemato un’ultima volta le sedie, si capiva che era un uomo di poche parole. Come se non si fosse accorto di me fino a quel momento.
Mi sono avvicinata:
“Stanno arrivando, non è vero?” gli ho chiesto.
L’uomo si interessava molto di più alle sedie.
“Adesso arrivano. Lei è una parente o cosa? Forse qualcuno del passato?” ha chiesto.
“No, non sono una parente. E non si può dire neanche che sia una persona del loro passato. Se me lo permettono, voglio trascorrere con loro le prossime dodici ore e allungarmi la vita,” ho detto.
Il proprietario della caffetteria mi ha guardato attentamente.
“Ah ho capito. Lei è una persona.” ha detto.
“Sì.”
Poi mi è venuto in mente e gli ho chiesto:
“Dal momento che è lei il proprietario devo chiedere a lei la tariffa. Quant’è il prezzo per dodici ore?”
“Non prendo niente per le prime dodici ore,” ha risposto.
Presa una scopa bagnata, ha cominciato a passarla un po’ per terra senza sollevare la polvere.
Sono andata e mi sono accasciata su uno sgabello.
L’uccellino nella gabbia ha cominciato a cinguettare flebilmente.
D’un tratto li ho visti in fondo alla strada. Quattro anziani venivano verso la caffetteria.
Li ho guardati un momento, avevano tutti più di settant’anni. Erano curati e ben vestiti, sono entrati, si sono seduti al tavolo accanto alla finestra.
Mi sono alzata e mi sono avvicinata loro.
“Buongiorno,” ho detto. “Ho trovato l’indirizzo a Ankara. Scesa dall’autobus ho seguito la strada che mi ha indicato il guardiano. Ho chiesto il permesso al proprietario; se per voi non è un problema vorrei trascorrere le prossime dodici ore con voi alla Caffetteria Allunga Vita.”
Gli anziani hanno accolto molto favorevolmente la cosa. Si sono alzati a prendere una sedia anche per me, mi hanno fatto posto, ci siamo seduti tutti intorno alla tavola.
Quello con la barba bianca si è presentato.
“Io sono Osman, questi sono i miei amici Şakir, Hacı Murat e Izzet Yaşar,” ha detto indicando gli altri.
Anch’ io mi sono presentata e ci siamo stretti la mano.
Osman:
“Ecco, da quindici anni veniamo qui ogni giorno molto presto, ci sediamo davanti a questa finestra. Abbiamo potuto allungarci la vita di cinque o sei anni”, ha detto.
Hacı Murat:
“Oltretutto raccontandoci tutti i fatti interessanti vissuti sin dall’infanzia, i ricordi, i nostri giorni speciali, abbiamo guadagnato qualcosa anche dal passato. Se facciamo un conto sommando tutto, il periodo di allungamento è di dodici-tredici anni”, ha detto.
Izzet Yaşar dall’angolo:
“Per come la vedo io, se si fa un conto più dettagliato di questi fatti vissuti in due dimensioni, possiamo considerare di aver allungato la vita di altri cinque anni,” ha aggiunto.
Şakir si è toccato un po’ la barba:
“Così in tutto fanno venti anni di vita allungata”.
Osman:
“Abbiamo in media 75 anni ma come vede si può dire che ne abbiamo 95.”
Più parlavano più il mio interesse aumentava.
Mi è venuta in mente ancora una cosa. Ho chiesto a Osman. “E voi dove vi siete incontrati per la prima volta? Come vi è venuta in mente l’idea di allungarvi la vita?”
Osman:
“Venti anni fa, ci siamo incontrati in un parco di Milas.”
Hacı Murat:
“Quella sera ci siamo accordati mentre bevevamo una gassosa. A trovare questa caffetteria è stato Şakir. Insomma, è andata così, a dire il vero è stato molto semplice.”
Allora un gatto tigrato è apparso fuori dalla finestra, accanto alla gabbia dell’uccello appeso alla vigna.
Vedendolo Osman è schizzato dal suo posto.
“L’uccello è in pericolo! L’uccello è in pericolo!”, ha gridato.
I quattro anziani e io siamo saltati in piedi. Poi il proprietario della caffetteria che stava mettendo il té in infusione si è messo a correre e ha cacciato il gatto.
L’uccello era spaventato. Rannicchiato in un angolo della gabbia continuava a agitare le ali.
Ci siamo tutti riseduti ai nostri posti intorno al tavolo davanti alla finestra.
“E allora, cosa ne pensate dell’immortalità o dell’infinito?”,  ho chiesto.
Hacı Murat, Osman, Izzet Yaşar e Şakir sono rimasti un momento a pensare.
Poi Osman,
“Non ci abbiamo pensato molto a questo lato della faccenda,” ha detto. “Per il momento allunghiamo quello che c’è. Non sappiamo cosa succederà più avanti.”
Mi sono alzata, ho camminato verso la gabbia dell’uccello. Ho preso in mano la busta gialla che avevo posato sul bordo del tavolo.
Ho staccato il nastro, aperto la busta.
Gli anziani mi osservavano con interesse.
Da dentro la busta ho tirato fuori un poster in bianco e nero di Marilyn Monroe, piegato in quattro. L’ho affisso al muro di fronte al tavolo degli anziani.
Quella grande fotografia, scattata durante le riprese del film Fermata d’Autobus, era un vecchio ritratto molto noto.
In quella immagine in bianco e nero Marilyn Monroe con quei bei capelli platino svolazzanti, il neo minuscolo sulla guancia, quella gonna a pieghe bianca gonfia come l’ala di una farfalla attorno a sé, ferma sua una grata di ferro che spruzzava aria da terra, davanti a uno degli studi di Hollywood, le mutande di nylon che cercavano di nascondere il bel sedere, e le gambe che si levavano dai tacchi a spillo delle scarpe di pelle nera fatte da due soli nastri, entrò d’improvviso nella Caffetteria Allunga Vita di Milas.
Osman:
“E questa chi è, chi è?” si è messo a urlare.
Şakir, con una voce simile alla voce di qualcuno che cammina sull’acqua:
“Ma che gambe lunghe che ha…”, ha detto.
Hacı Murat:
“Che occhi languidi… le ciglia le toccano la guancia… Ci guarda di sbieco.”
Izzet Yaşar: “Una cosa così piena di vita!”
Il proprietario della caffetteria si è acceso una sigaretta. Da qualche parte sul retro continuava a osservare in silenzio Marilyn Monroe da capo a piedi.
Fuori il gatto tigrato si era avvicinato di nuovo alla gabbia dell’uccello. Quando l’ho visto ho gridato: “L’uccello è in pericolo! L’uccello è in pericolo!”.
A sentire la mia voce il gatto è scappato.
Senza staccare gli occhi da Marilyn Monroe,  Hacı Murat ha chiesto: “È turca non è vero?”
Şakir ha mormorato:
“Ma quanto è giovane…”
Osman:
“È sposata o nubile?”
Mi ero alzata in piedi, camminavo su e giù per la caffetteria.
“Amici,” ho detto, “La fotografia che vedete è di Marilyn Monroe, la bomba sexy americana trovata morta nel suo letto a 36 anni nel 1962.”
Gli anziani seduti attorno al tavolo della Caffetteria Allunga Vita di Milas si sono messi a gridare tutti insieme:
“Non è più viva?”
Ho addolcito la voce:
“No, si è suicidata nel 1962.”
I quattro anziani conosciuti nella Caffetteria Allunga Vita in un angolo della strada del quartiere Şevketiye di Milas si erano rattristati enormemente.
Sono saltata in piedi e sono andata a staccare e ripiegare la fotografia a grandezza naturale di Marilyn Monroe che ci faceva l’occhiolino appesa al muro e l’ho rimessa nella busta gialla.
I quattro anziani in coro:
“Cosa fai?!” hanno gridato.
“La sua morte vi ha rattristato, ne siete stati scossi. Perciò l’ho rimessa nella sua busta,” ho detto con una voce dolce.
Hacı Murat si era alzato dalla sedia, aveva cominciato a girare per la caffetteria.
Osman con la fronte aggrottata sembrava cercare una soluzione.
Şakir si era accasciato sulla sedia come un sacco vuoto.
Izzet Yaşar si accarezzava lento lento la barba come si accarezza un cavallo ferito.
È stato Osman a rompere il silenzio.
“Per carità riappendi quella fotografia al muro. Guardando quella foto io ho sentito cose fortissime,” ha detto.
Chi era questa Marilyn Monroe? Perché si è uccisa, che vita aveva avuto, perché era infelice? Come aveva fatto a diventare una diva del cinema? Continuavano a domandarmi queste cose i quattro anziani della Caffetteria Allunga Vita di Milas.
Volevano conoscerla bene Marilyn Monroe.
Il proprietario ci aveva servito altro tè.
Hacı Murat con una voce triste:
“Ormai non possiamo più vederla…”
“No,” ho detto. “No, potete vederla… Non potete vederla viva, ma potete vedere i suoi film… Li danno ancora ogni tanto nei cinema delle grandi città,” ho detto.
“Che film ha fatto?” hanno chiesto.
“Il Fiume Senza Ritorno…” ho detto.
I quattro anziani che in quel paese simile all’interno di una turritella vuota erano riusciti a allungarsi la vita di venti anni, osservavano la fotografia di Marilyn Monroe appesa al muro e più ricevevano informazioni sulla sua vita, più erano curiosi, più si rattristavano e diventavano inquieti.
Il tempo era scorso velocemente. Ho guardato l’ora, erano le 7:30.
I quattro anziani che allungavano la loro vita attorno al tavolo erano immersi in sentimenti confusi. Avevano persino smesso di bere il tè.
Mi sono nuovamente alzata dal mio posto. Ho aperto la busta, ho tirato fuori un altro poster, l’ho appeso al muro. Quello non si poteva considerare esattamente una fotografia o un poster. Era un foglio bianco rettangolare. Bianco e nudo. Sopra non c’era niente.
Dopo un po’ Osman:
“E come riempiva la stanza il suo odore,” ha detto.
Hacı Murat:
“Ecco che ci guarda con quegli occhi languidi dalla lunghe ciglia”, ha detto.
Izzet Yaşar si è avvicinato ben bene al foglio bianco appeso al muro e l’ha toccato:
“Vive, e la pelle è morbida e rosa. Quando l’ho toccata le è tremata la mano.”
Mi sono voltata a guardare Şakir.
Non si muoveva.
Era fermo immobile al suo posto. La cenere della sigaretta che aveva in mano si era fatta lunghissima.
Ho capito che era morto.
Osman:
“Il Fiume Senza Ritorno…” ha mormorato.
Il proprietario ha servito ancora tè. Ne ha dato uno anche a Şakir.
Şakir non l’ha preso.
Ho guardato l’ora.
“Adesso passerà l’autobus delle 8:30. Devo raggiungerlo. La foto può restare,” ho detto.
I tre anziani della Caffetteria Allunga Vita in coro:
“Sì sì, lasciala,” hanno detto.
Ho lasciato sul foglio bianco la Caffetteria Allunga Vita di Milas, i quattro anziani conosciuti lì, il proprietario e Marilyn Monroe e sono uscita.

10 agosto 1981

Traduzione G. Ansaldo


Caffetteria Allunga Vita è un racconto di Nazlı Eray tratto dalla raccolta Kız Öpme Küyrüğü pubblicata dalla casa editrice Everest nel 2017 (Prima Ed. 1982). Diritti riservati per la traduzione italiana ©Kaleydoskop, 2019 (su concessione dell’autrice).

©Tolga Yarıcı

Nazlı Eray (Ankara, 1945), formata al Collegio Femminile Inglese e al Collegio Americano, dopo una laurea in diritto ha lavorato come traduttrice per il Ministero del Turismo. Fondatrice del Sindacato degli Scrittori Turchi e Membro del PEN è una delle scrittrici più influenti della letteratura turca contemporanea. Ha cominciato a scrivere nel 1959 e il suo primo racconto di successo Mösyö Hristo è stato pubblicato nella prima raccolta del 1975, Ah Bayım Ah (Ah Signore mio, ah). Insignita dei principali premi letterari in Turchia, da Haldun Taner nel 1988 per il racconto Karanfil Gece Kursu a Yunus Nadi per il suo romanzo Aşkı Giyinen Adam (L’Uomo Vestito d’Amore) e molti altri, è stata ampiamente tradotta all’estero. Raccolte di racconti, romanzi, commedie e libri per l’infanzia sono stati tradotti in inglese, francese, tedesco, indi, ceco, arabo… In italiano è possibile leggere il suo romanzo Orfeo tradotto da L. Nocera per la casa editrice Gremese nel 2009. Inoltre due racconti della sua prima raccolta sono stati trasformati in spettacolo teatrale dal regista Angelo Savelli nel 2005 che ha tratto lo spettacolo “L’ultimo Harem” interpretato tra gli altri da Serra Yılmaz e andato in scena fino al 2018.

Illustrazione di copertina di ©Dünya Atay.

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Un racconto di Gönül Kıvılcım, traduzione di Fabrizia Vazzana
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