Turchia, cultura e società

Frangente di tempo

in Racconto/Scritture

Un racconto di Nursel Duruel

Non parlarmi del TEMPO. Non sono di quelle persone ordinate, competenti, intelligenti che sanno farlo a fette, memorizzarlo in ogni sua parte separatamente.

Ti ricordi? Camminavi per le strade solitarie non rinfrescate dall’ombra degli spessi muri a Mohenjo-Daro… pensavi sempre a contare le stelle. Sorridendo carezzavi la trama di lino della cintura che penzolava dal tuo corpo pesante, di tanto in tanto aggrottavi le sopracciglia agli ardui pensieri che avevi in testa e afferravi le frange di stoffa della cintura come a consumare energia… Poi sì, osservavi lo scorrere della seta tra le dita, e i tuoi pensieri andavano su e giù in mezzo alle stelle con la fluidità delle frange di seta, come fossero acqua… Ecco proprio allora io ti sorprendevo con lo sguardo. Entrambe le pareti del naso brillavano sotto gli occhi, sudavi quasi a evaporare. Prendevi i capi della fusciacca, e tamponavi il sudore. Quella fusciacca l’avevo tramata io. Non puoi saperlo, ma ero una tessitrice esperta. Così come i tuoi conti erano sottili, altrettanto lo era la mia trama, sottile e liscia.
Non so altro di quello che hai fatto e di come hai vissuto a Mohenjo-Daro. Quello che mi interessava era che tu ricercassi il mistero delle stelle.
Ricordi? A Ninova eri arrivato a non separarti mai dall’archivio delle inscrizioni… ti avevano concesso un permesso speciale, potevi prendere quelle che volevi e portarle a casa. La tua stanza era piena di tavolette sino al soffitto. Vivevi come in una cella, leggevi otto o venticinque ore al giorno, senza sosta, uscivi da quella cella solo quando avevi fame, o sete… Ecco, ero stata io a impastare l’argilla di quelle tavolette. E come ne eri colpito… Esaminavo le tue lacrime con le impronte rimaste sulle tavolette delle mie mani che impastavano il fango. Erano tiepide e sincere.

Non c’è risposta
Al grido che spezza i cuori.
Un’eco che si perde nel vuoto,
Come posso rispondere?
L’erba cresce di nuovo
Ma io non sono erba,
Non posso correre verso il suo grido
Le acque zampillano tutt’intorno
Ma io non sono acqua
Non posso raggiungere le sue lacrime.
Io non sono come quelle erbe che crescono fino al ginocchio
nella terra morta [1].”

Cercavi qualcosa in cui credere, non credevi agli dei, non credevi alle leggi. Volevi raggiungere la fede con la conoscenza. Eri immerso nella passione. Il tuo volto si era affinato, ingiallito, i tuoi occhi di miele erano cerchiati. Ma al loro interno… Erano più infiammati della brace più viva. Chi vedeva te, vedeva la passione, chi ti toccava, toccava la passione. Sapere… sapere… ancora sapere. A mano a mano che i cumuli di tavolette fondevano, le fiamme dei tuoi occhi si facevano più intense.
Ti ricordi, avevi un’amante di buona famiglia… Una bellezza delicata, tutta casa e chiesa, cresciuta nella bambagia. Era distrutta la poveretta. All’apice del suo amore era dimentica per giorni. Se ti vedeva di tanto in tanto, non riusciva a non implorarti: «Ti prego, sii come gli altri. Come tutte le persone che vivono in questa città. Cos’è tutta questa anomalia? Dobbiamo vivere, in mezzo alla famiglia, con gli amici, come tutti».
Comprendevi le sue pene. Ma comprendere non bastava affatto. La tua amante nutriva la rabbia insieme all’amore, e la rabbia le cresceva nel cuore:
«Che sorte è la mia… Quanti giovanotti in attesa alla porta di mio padre, sperando che mio padre mi dica una parola. Sanno del mio debole per lui. Non riuscirei a resistergli troppo. Domani andrò al primo che mi chiede. Cos’è questa povera vita? Perché non riesci a dire sì alle offerte di mio padre? Quale padre sarebbe disposto a far chiudere la sua unica figlia in questa cella? Dai, di’ di sì e facciamola finita. La fortuna di mio padre basterà a entrambi».
Il volto di rosa della tua amante era capace di sciogliere la tua forza di resistenza. «Aspetta, dai, facciamo domani», le dicevi allontanandola e ti immergevi di nuovo nel mondo delle tavolette, dentro non ti restavano né le sue sopracciglia arcuate, né la sua pelle limpida, né suo padre, né la paura che potesse andare a qualcun’altro. Le bellezze rese immortali dalla scrittura cuneiforme creata in passato e gli indizi riguardo al futuro ti facevano girare così tanto la testa che tu smettevi di essere te e ti trasformavi nelle iscrizioni stesse. Ti accarezzavo con le impronte delle mie mani sulle tavolette. Tu eri il mio compagno di viaggio, il mio compagno di sentimento. Non potevi vedermi.
Ricordi, tu giravi per meyhane, caffè e bordelli della città… Un vero randagio, insieme a altri tre uomini come te. Un giorno in un bordello hai incontrato una donna stupenda. La donna si lamentava dei giorni che scorrevano in quel modo, e dall’altra parte non potendo digerire di lamentarsi, ironizzava su quello che accadeva. «Un giorno» diceva sempre cominciando a parlare, «un giorno è venuto un uomo, un tipo dalla brutta faccia. Ci è andato giù pesante con i soldi. E gli abbiamo fatto il servizio. Poi guardo e non vedo che allunga la mano sulle tette? E come lui allunga la mano a me viene voglia di allungargli il collo, è chiaro! Eeehi eroe, gli dico, senti un po’, le parti speciali non si toccano con i soldi…» E allora tu le hai dato un bello schiocco sulla nuca… Ecco io ero in quella stessa amicizia. Appena afferrato, mi fuggivi.
La donna stupenda ti raccontava di un altro cliente: «C’è questo papero – i clienti non sono buoni o cattivi, accettiamo anche quelli come lui – che lascia dei bei soldi, i soldi sono buoni sì, ma c’è una cosa che non sopporto di quell’uomo. Un maniaco della gentilezza.. Proprio mentre gli fai il servizio, si fissa a dire di sorridere un po’… Si crede dal fotografo. E dovrei anche sorridere! Ascolta bene, gli ho detto, prendi i tuoi soldi e fila. Se vuoi vedere una che sorride, prendi tua moglie, portala dal fotografo e fatevi fare un bel ritratto di famiglia».
Scendevate le strette scale traballando e tenendovi le spalle l’uno con l’altra. Ad ogni gradino vi fermavate a dire: «Sorridi un po’» esplodendo in grosse risate. Le altre ragazze vi guardavano con invidia, due anime che avevano trasformato il più antico e doloroso commercio del mondo in amicizia, due ubriachi che si sostenevano incondizionatamente… C’era anche chi vi considerava pazzi o perversi; vi osservavano con sospetto. Ridevate anche di quegli sguardi indagatori. Ecco io, ero in quelle risate che trasformavano in gioia pura ogni bruttura, ogni sospetto, umiliazione. Non potevi sentirmi.
Ricordi? Un giorno pioveva. Eri ormai invecchiato, fatto e compiuto. Venne una donna, «Voglio parlare con te» disse. «D’accordo» gli dicesti. La donna era nervosa: «Subito». «Bene, qualunque sia il tuo problema, parliamone». Tu la consigliasti ragionevolmente mostrandole la strada. La donna era affranta. La calmasti. «Aspettami», le dicesti, «ho fame, vado a mangiare e torno». La donna disse: «Non qui». «Dove vuoi tu» le dicesti e uscisti a mangiare. Te ne sei andato e hai dimenticato la donna, l’hai voluta dimenticare e non ci sei riuscito. L’hai dimenticata e ti è tornata in mente. L’hai dimenticata e non ti è mai uscita di testa. Che problema aveva? Eri stanco, non avresti potuto consigliare nessuno. Non so quanto sia durato quel tuo andare a mangiare. Quando l’hai vista il colore ha abbandonato il tuo volto, strato dopo strato. Il sangue ti è scorso nelle vene all’impazzata. Eri stanco. Non avevi voglia di correre dietro alle domande, di occuparti dei volti delle persone… Ma la donna era insistente. Ti sei lasciato andare… Avete camminato sotto la pioggia, siete entrati e usciti da mille edifici, avete camminato ancora, sempre camminato… «Forse si è dimenticata quello che voleva dire, forse ci ha rinunciato» speravi. Che camminatrice! La donna era indecisa ma appassionata. Ad ogni modo racconterà e si libererà, il suo scopo è soltanto questo. Raccontare a qualcuno che possa capirla, mostrarle la strada. Rinunciando al silenzio: «Bene» le hai detto, «ti ascolto». La donna si è messa a ridere. Un riso spaventoso. Di fronte a tanta ignominia, hai tremato fino alle ossa. Ti sei gelato fino a diventare un punto all’interno del corpo e ti sei nascosto. «No niente» ha detto la donna. «Se vuoi arrabbiati, arrabbiati pure molto, contro tutto e contro tutti. Io ti racconterò un sogno». E cominciò a raccontare. Più raccontava più diventava bella, oltre all’essere bella si illuminava. Tu eri così. Ecco, io ero in quel sogno. Hai ascoltato il sogno, l’hai ascoltato e l’hai capito. Sognato fino alla fine. E assaporare quel sogno è stata la tua fine, il tuo incendio, la tua disgrazia. Ti sei sciolto e sei scomparso in un sogno. Nei sogni ti sei moltiplicato.
Vado a Ninova, o a Mohenjo-Daro? Se girassi per scuole e monasteri abbandonati? Se mi mescolassi alle fabbriche, alle manifestazioni delle grandi città? Se gustassi la rabbia dei giovani, il primo verso dei cantori? Se osservassi i cumuli di nubi, lo scorrere dei fiumi…?
Io mica lo conosco il tempo, in che frangente ti devo chiamare?

[1] Estratto da poesia sumerica. Tradotta dalla versione in turco di Talat Sait Halman


Traduzione di G. Ansaldo

Frangente di Tempo è un racconto di Nursel Duruel pubblicato nella prima raccolta di racconti Geyikler, Annem ve Almanya (Cervi, mia madre e la Germania) edito dalla casa editrice Adam nel 1982 e ripubblicato da Yapı Kredi nel settembre 2019. Diritti riservati per la traduzione italiana ©Kaleydoskop, 2020 su concessione dell’autrice.

Nursel Duruel nata a Istanbul è giornalista, radiofonica, pubblicista, saggista e autrice per la radio e la televisione. Geyikler, Annem ve Almanya è la sua prima raccolta di racconti da cui sarà tratto un film omonimo ed è stata insignita nel 1983 del premio per il racconto Sait Faik. Il racconto Burgaç (Vortice) è stato insignito del premio Yunus Nadi nel 1990 e inserito nella seconda raccolta del 1992 pubblicata dalla casa editrice Telos con il titolo Yazılı Kaya (Sasso Scritto).  Alcuni suoi racconti sono già stati tradotti in inglese, francese, tedesco, greco, giapponese, arabo… Tra i suoi libri ci sono diverse biografie e conversazioni tra cui quelle di Cemal Süreya, Selçuk Baran, Füruzan e altri. Fa parte della giuria di numerosi premi letterari in Turchia.

Illustrazione di copertina di ©Mia Li

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