Il 29 ottobre, in occasione del novantottesimo anniversario della fondazione della Repubblica, è stata inaugurata a Istanbul la “Via della Cultura di Beyoğlu” (Beyoğlu Kültür Yolu) con un festival di due settimane. Il percorso unisce il distretto di Galataport, in parte già aperto sulle sponde del Bosforo, al nuovo Centro Culturale Atatürk (AKM), inaugurato il giorno stesso alla presenza del presidente della repubblica Recep Tayyip Erdoğan.
Per le strade del quartiere gigantografie, poster e bandiere promuovono l’evento, con i loghi delle due principali istituzioni promotrici in bella vista: il Ministero della Cultura e del Turismo e la municipalità di Beyoğlu, controllato dall’AKP. L’assenza del logo della città metropolitana di Istanbul (Istanbul Büyükşehir Belediyesi, IBB), guidata da Ekrem Imamoğlu del partito d’opposizione CHP, non è ovviamente casuale. Lungi dall’essere un innocuo itinerario culturale, la Kültür Yolu è un’iniziativa altamente politicizzata che, oltre a rappresentare l’ultimo episodio nello scontro tra le autorità centrali e la municipalità metropolitana di Istanbul, corona un prolungato processo di trasformazione del quartiere di Beyoğlu da parte del governo.
I tentativi dell’AKP di mettere le mani su Beyoğlu risalgono a ben prima dell’elezione a sindaco di Imamoğlu, nel 2019. Il quartiere, che si estende da Piazza Taksim giù verso il Bosforo e il Corno d’Oro, è indiscutibilmente il cuore pulsante della cultura contemporanea di Istanbul, nella versione alta delle istituzioni come in quella underground delle sottoculture alternative. Con i suoi innumerevoli bar, caffè, meyhane, cinema, sale da concerto, nightclub e bordelli, nell’immaginario collettivo l’area rappresenta storicamente uno spazio di evasione e libertà, devianza e peccato.
Pur avendo costruito, nel corso del suo governo ormai ventennale, una posizione quasi egemonica nella vita pubblica nel paese, è proprio nell’ambito della cultura che l’AKP sente di non aver fatto abbastanza, come ammesso dallo stesso Erdoğan nel 2018. In questa cornice, il progetto della Kültür Yolu va letto come duplice tentativo di usare Beyoğlu per imporre il controllo sulla produzione culturale, sfruttando al contempo il campo della “cultura” per rimodellare il quartiere a propria immagine e somiglianza.
Percorrendo alcune delle tappe della Kültür Yolu, è possibile ricomporre alcuni tasselli del disegno governativo di conquista di Beyoğlu.
Il mega-progetto di ristrutturazione urbana Galataport, dove ha inizio l’itinerario, si estende per oltre un chilometro e mezzo lungo il Bosforo, e sta trasformando l’area portuale della città in un centro culturale e commerciale incentrato sul molo crocieristico. Nonostante le denunce della Camera degli Architetti e degli Ingegneri, il governo è andato avanti senza attendere la sentenza, secondo l’ormai collaudata strategia urbanistica del fait accompli. Di interi edifici storici, come il salone viaggiatori e l’ufficio postale, sono state mantenute solo le facciate, mentre i capannoni del porto di Salıpazarı, progettati da Sedad Hakkı Eldem nel dopoguerra, sono stati demoliti. Uno di essi ospitava il museo Istanbul Modern, che viene ora ricostruito su un progetto di Renzo Piano.
I turisti appena sbarcati verranno convogliati in un terminal crociere sotterraneo, per riemergere in un centro commerciale a cielo aperto. Il lungomare, che secondo i promotori del progetto sarebbe stato restituito alla cittadinanza dopo due secoli, sarà per lo più occupato dalle navi da crociera.
Salendo poi per la collina, il percorso include uno dei simboli della città, la torre di Galata, la cui proprietà è stata trasferita l’anno scorso dalla municipalità metropolitana alla fondazione Kule-i Zemin, e la gestione assegnata al Ministero del Turismo. Subito dopo l’assegnazione sono cominciati dei lavori di restauro, senza nemmeno attendere l’autorizzazione della soprintendenza ai beni culturali. In questo modo, un’attrazione turistica fonte di introiti è stata sottratta al comune (e il prezzo del biglietto d’ingresso, che costava 30 lire, è schizzato a 100 lire dopo il passaggio di proprietà).
Ma il trasferimento di proprietà dalla città metropolitana a oscure fondazioni di epoca ottomana controllate dal governo ha interessato molti altri spazi in città, tra cui il parco di Gezi, anch’esso incluso nel percorso. Si teme che si tratti di uno stratagemma per avviare ulteriori trasformazioni urbanistiche fuori dal controllo delle autorità locali.
La tappa successiva è il Narmanlı Han, nei pressi di Tünel. Un tempo ambasciata di Russia, con le sue colonne a doppia altezza e il carattere dismesso era uno dei simboli di Via Istiklal. Il suo scandaloso restauro, che l’ha trasformato in spazio commerciale, è stato definito “una ferita aperta nella memoria collettiva”.
E non si tratta di un caso isolato. Una delle strategie del governo per rimodellare Beyoğlu è stata la trasformazione in centri commerciali di interi isolati lungo l’arteria commerciale di Istiklal, con scarsa considerazione per il patrimonio architettonico.
Il caso del Demirören, catafalco piombato in mezzo alla storica via aggirando vari regolamenti urbanistici, è il più eclatante. La stessa sorte è capitata anche all’intero isolato del Cercle d’Orient, stravolto dal progetto del centro commerciale Grand Pera, per cui è stato demolito lo storico cinema Emek nonostante un ampio movimento d’opposizione. Il cinema è stato rimontato al quinto piano del complesso e con una certa disinvoltura è stato anch’esso inserito nella Kültür Yolu.
Tra questi pezzi del patrimonio storico di Beyoğlu figura nell’itinerario anche una delle più recenti e controverse aggiunte al panorama del quartiere, la moschea di Taksim inaugurata lo scorso maggio proprio in occasione dell’ottavo anniversario della rivolta di Gezi. Il massiccio edificio in stile neo-ottomano rappresenta la concretizzazione di un progetto assai divisivo (tornato alla ribalta a più riprese almeno dagli anni Cinquanta) che mira a posizionare i simboli dell’Islam a piazza Taksim, centro della città moderna, peraltro in un’area storicamente non musulmana che non presentava ingombranti testimonianze architettoniche del passato islamico-ottomano.
Il percorso si conclude sul lato opposto di piazza Taksim, col Centro Culturale Atatürk nella sua nuova incarnazione. L’edificio modernista, rimasto inutilizzato dal 2008, è stato demolito dopo anni di incertezza nel 2018, benché ufficialmente protetto come bene architettonico. La sua ricostruzione e ampliamento include una facciata molto simile all’originale, un iconico sipario in vetro e metallo che ha fatto da fondale a innumerevoli proteste. All’interno un’enorme sfera rossa, visibile soprattutto di notte, contiene la sala da concerti principale. Con quest’atto ben coreografato di distruzione fisica e simbolica, Erdoğan si è appropriato di un emblema della Repubblica.
L’asse culturale della Kültür Yolu, insomma, più che “trasmettere l’identità e la civilizzazione di Istanbul”, mette a sistema i nodi di una strategia di trasformazione urbana e sociale orchestrata dall’alto a lungo termine. In questo processo, la cosiddetta “cultura” va a sommarsi strumentalmente a dinamiche di commercializzazione, turistificazione, privatizzazione, sorveglianza e islamizzazione, il tutto nel quadro di un’osservanza discrezionale dei regolamenti urbanistici e in sfregio ai principi della conservazione del patrimonio storico.
L’IBB, intanto, è passata al contrattacco con una serie di iniziative: dal concorso aperto per la nuova piazza Taksim alla mostra storica “Taksim, il cuore di Istanbul” da poco conclusa, dai nuovi arredi urbani di Istiklal Caddesi alla piattaforma di progettazione partecipata “Beyoğlu Senin” (“Beyoğlu è tua”).
Come sa chiunque frequenti Beyoğlu da almeno qualche anno, il volto dell’area è cambiato moltissimo negli ultimi tempi. Ma nonostante tutto, non è affatto detto che il governo riuscirà effettivamente a imbrigliare la produzione culturale e artistica del quartiere, e a domarne il carattere insubordinato. (Francesco Pasta)