Turchia, cultura e società

Fino all’ultimo per la Convenzione di Istanbul

in Società

Il 1° luglio è il termine ultimo perchè sia confermato il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul. La decisione è stata presa come un lampo nella notte del 20 marzo scorso, anticipata già qualche tempo prima nelle intenzioni, ma sopraggiunta comunque all’improvviso. Con una decisione avvenuta con un decreto presidenziale, e considerata quindi anche incostituzionale e illegittima, visto che per norma le convenzioni internazionali devono passare per il parlamento, la Turchia è stato il primo paese a decretare il proprio ritiro dalla Convenzione che porta il nome della sua città più importante.

La Convenzione di Istanbul, definizione sintetica dell’accordo che porta il titolo di “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, è stata siglata nel 2011 ed è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante nella protezione delle donne da qualsiasi forma di violenza. Dopo la firma nel 2011 da parte di 32 paesi, il trattato è stato ratificato negli anni da differenti Stati. Se l’Italia lo ha fatto nel 2013, la Turchia è stato il primo paese a ratificarla nel 2012, in un periodo di rilancio e valorizzazione democratica del paese. Celebrato come un importante passaggio dopo anni di battaglie dei movimenti femministi e delle lotte contro la violenza sulle donne che avevano proprio segnato il nuovo slancio del femminismo in Turchia negli anni ’80, oggi questo ritiro ci racconta molto della situazione che si vive nel paese. Nel decreto presidenziale che ha motivato il ritiro dalla convenzione il 20 marzo scorso, si legge che la Convenzione è stata ‘manipolata da un gruppo di persone con l’obiettivo di normalizzare l’omosessualità’ e che quindi va in contrasto “con i valori della società e della famiglia turca”. Questo in un paese in cui la violenza contro le donne è un problema gravissimo all’ordine del giorno, tanto che, secondo la triste conta che tengono alcune associazioni e anche il sito di informazione indipendente Bianet, fino a maggio si possono contare 126 casi di uccisioni di donne.

Sin da subito numerose associazioni e organizzazioni si sono mobilitate per criticare la decisione. Lo avevano già fatto all’inizio dello scorso ottobre quando si cominciò a prefigurare lo scenario di un ritiro del paese dalla Convezione. “Giù le mani dalla convenzione” gridavano le donne scese in piazza, nonostante azioni ripetute di censura, di repressione anche violenta della polizia. E non hanno mai smesso di farlo dallo scorso marzo. Consapevoli del fatto che proprio in base alla Convenzione, il ritiro può avvenire formalmente solo il primo giorno del mese successivo alla scadenza dei tre mesi dalla data della notifica del Segretario Generale – e quindi in questo caso il 1° luglio – le associazioni femministe, così come tutte le organizzazioni e i gruppi che si battono per i diritti civili e lo stato di diritto in Turchia, non hanno perso tempo e si sono attivati in vario modo, da campagne internazionali a mobilitazioni cittadine in tutto il paese.

United4IstanbulConvention è il titolo di una di queste campagne, lanciata da una rete di organizzazioni femministe e LGBTI+ attive in Turchia e in Europa. Nel loro appello, pubblicato su una pagina web anche in inglese e in tedesco, si spiega che la decisione è considerata illegittima. Questo perché, come hanno denunciato gli ordini degli avvocati e dei giuristi democratici, il decreto presidenziale solleva una seria questione di costituzionalità visto che i trattati riguardanti i diritti umani devono passare per una decisione parlamentare. È chiaro che il ritiro, così avvenuto, evidenzia la grave situazione che si è venuta a creare nel paese dopo l’implementazione di un regime presidenziale che attribuisce pieni poteri al presidente della repubblica. Ma nel testo di United4IstanbulConvention si denuncia anche che il ritiro della Turchia deve essere letto come un grave precedente in un contesto internazionale in cui si affermano con forza sempre maggiori tendenze conservatrici e movimenti che istigano all’odio e alla violenza di genere. Se infatti la Turchia con questa decisione, sopraggiunta nel decimo anniversario della Convenzione, ha segnato un altro primato, notificando per prima il ritiro, non è l’unico paese ad aver messo in discussione la Convenzione. Anche la Polonia ha avviato una procedura che potrebbe portare nella stessa direzione, e altri paesi dell’Unione europea, tra cui l’Ungheria hanno deciso di non ratificarla. Il ritiro della Turchia, secondo la campagna United4IstanbulConvention, sarebbe quindi il primo passo eclatante di una serie di attacchi su scala globale contro i diritti umani, in generale, e contro i diritti delle donne e delle persone LGBTI+ in particolare. Attacchi continui assestati da governi di destra, nazionalisti, conservatori, autoritari, populisti, spesso supportati da movimenti di estrema destra e impegnati nella costruzione di una rete transnazionale.

La prova di questi attacchi, come si è visto anche in Turchia, sono i discorsi di odio che accompagnano i dibattiti aperti a favore del ritiro. Di fatto, come denunciano molte organizzazioni, in nome della famiglia tradizionale si nega la protezione legale e la salvaguardia di diritti fondamentali per una larga parte della società, per le donne, per le persone LGBTI+ ma anche per chi si batte per i diritti umani.

Il 1° luglio alle ore 19.00 sono previste varie manifestazioni nelle piazze di varie città della Turchia.

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