Turchia, cultura e società

Lubunca, lo slang queer in Turchia

in Società

“La storia delle persone omosessuali in Turchia è una storia di invisibilità e discriminazione e il lubunca [lubundʒa] rappresenta questo. Come non ci sarebbe la Turchia senza il turco, così non ci sarebbe la comunità LGBTQ turca e la sua storia se non ci fosse il lubunca” esordisce E. all’inizio della nostra intervista, e conclude “il lubunca è una cosa importante e meravigliosa”.

Nato come linguaggio segreto delle prostitute trans di Istanbul, il lubunca, lo slang parlato all’interno della comunità LGBTI+ turca, rappresenta oggi un forte simbolo di identità e resistenza.

Ma cosa è esattamente e come si sviluppa questo slang? Il termine lubunca viene da lubunya, parola usata per riferirsi agli omosessuali effeminati o alle donne trans*, dal romanì lubni, “prostituta”.
Il lubunca utilizza la struttura del turco, dal quale si distingue per il suo vocabolario particolare. E’ difficile dire a quanto ammonti oggi il vocabolario del lubunca, ma si parla di circa trecento o quattrocento parole.
La maggior parte delle parole è in riferimento al sesso: ci sono molti termini per indicare le parti del corpo, i partner, le identità di genere e gli orientamenti sessuali. Ma troviamo anche un numero consistente di parole relative a diverse attività della vita quotidiana. In questo modo, è possibile creare delle frasi e svolgere delle vere e proprie conversazioni, totalmente o parzialmente incomprensibili ai parlanti turco.

Alcune parole sono turche, usate però con un significato diverso. Böcek, ‘insetto’ in turco, indica in lubunca qualcuno che non ha fatto coming out, gay o lesbica non dichiarati; kaşar, che in turco è il nome di un tipo di formaggio invecchiato, vuol dire qualcuno ‘esperto, pratico dal punto di vista sessuale’.
Altri vocaboli, pur provenendo da radici turche, sono stati inventati dai parlanti tramite degli originali processi morfologici, come l’inversione delle lettere (şebzü, dal turco beşyüz ‘cinquecento’ ) e l’utilizzo di suffissi propri a questo slang: ibnoş, ‘finocchio, checca’ dal dispregiativo turco ibne.

Molte parole vengono da altre lingue. Soprattutto dal romanì e dal greco, ma anche dal francese, inglese, italiano, bulgaro, persiano, arabo, armeno e curdo.

La polizia viene chiamata paparon, dal greco (‘papavero’) o, più di recente beybi, dall’inglese. Per il pene si usa la parola ladina similya, mentre per la vagina quella bulgara putka. Per riferirsi a un amico o un partner sessuale si dice spesso laço dal romanì ‘buono’, che vuol dire a seconda del contesto, ‘uomo gay’, ‘ragazzo’, ‘gay attivo’ e per descriverlo si può dire che è kezban, ‘inesperto’ da un nome proprio di ragazza in curdo, madi ‘cattivo, dispettoso’ dall’ armeno oppure denyo ‘folle, stupido’ dal romanì.

Questa ricchezza nel vocabolario risale al periodo tra la fine dell’Impero Ottomano e i primi anni della Repubblica, in una Istanbul ancora intrisa del multiculturalismo ottomano, che soprattutto nel distretto di Beyoğlu, fu testimone di un ambiente sociale variegato e cosmopolita.
In particolare, nei quartieri di Tarlabaşı, Kasımpaşa e Bülbül, le prostitute transgender convivevano e condividevano lo status di emarginati, a volte la stessa professione, con alcune minoranze di non-musulmani, in particolare rom e greci.

Nonostante questa sua origine antica, è solo dagli anni ’80 e per tutti gli anni ‘90 che il lubunca si diffonde come slang dei sex workers trans* e omosessuali.
Durante gli anni ‘70 molti individui LGBTI+ migrano dalle piccole città verso Istanbul, dove i legami all’interno della comunità erano più forti e le possibilità di lavoro più alte.
Non esistevano luoghi di incontro diffusi, ma nell’immaginario legato alla narrazione queer e trans* compaiono racconti di locali nei pressi di Cihangir dove si radunava la scena artistica underground della città, compresi musicisti e cantanti rom e greci. Anche se è difficile dirlo con certezza è possibile che nel quartiere di Cihangir, in questi anni, il lubunca abbia continuato a svilupparsi ed arricchirsi di nuove parole straniere.
Come sostiene D.: “A quel tempo i più effeminati tra gli omosessuali erano molto vicini al mondo dello spettacolo, e allo stesso modo lo erano molti individui rom con i quali si cantava e si ballava insieme, in questo ambiente si è sviluppato il lubunca”.

Con il colpo di stato dell’80 inizia un periodo difficile per i trans* che diventano uno dei target della giunta militare. Prelevati dalle strade o dalle loro case, sono allontanati da Istanbul e spediti in piccole città dell’entroterra anatolico. Altri vengono arrestati, torturati o mandati in ospedali per ricevere cure. In questo periodo di terrore, il lubunca gioca un ruolo importante nella comunicazione, come lingua segreta per proteggersi dalla polizia.

Con la fine della dittatura militare, la situazione per gli individui transgender comincia lentamente a migliorare. Intorno al 1985 circa molti trans* si trasferiscono nel quartiere di Cihangir, dando vita ad un vero e proprio piccolo ghetto LGBTI+. Ülker Sokak diventa una sorta di “zona liberata” dove gli individui trans* potevano vivere e lavorare tranquillamente senza bisogno di nascondersi.
D., scherzando, dice “Ülker Sokak era il nostro impero, lo chiamavano lubunistan [terra dei lubunya] e lubunca era la lingua ufficiale dell’Impero!”.
Il breve periodo di Ülker Sokak è considerato l’epoca d’oro per i trans* turchi ed è in questi anni e per tutti gli anni 2000 che il lubunca comincia lentamente a uscire dal circolo di utilizzo delle prostitute per raggiungere un pubblico più ampio.
Piano piano anche gay e lesbiche cominciano ad usare il lubunca, emulando le parole e le espressioni in uso tra i trans*.
Ne fanno, però, un uso differente, non più legato alla prostituzione o dettato da motivi di necessità.
Il lubunca, da lingua segreta, comincia ad essere usato ironicamente per scherzare tra amici e allo stesso tempo viene elevato a simbolo identitario del movimento LGBTI+, che negli stessi anni acquisisce forza e visibilità.

Inoltre, durante gli eventi di Gezi Park, il movimento LGBTI+ compare come uno dei gruppi più attivi nelle proteste e guadagna molta visibilità pubblica.
Come afferma A., attivista e artista “per noi [attivisti] era un po’ strano all’inizio, perchè noi venivamo da famiglie di classe sociale media, non facevamo i sex workers. Poi piano piano la gente ha iniziato ad acquisirlo [il lubunca], a sentirlo, a usarlo. Ora è molto conosciuto nell’ambiente, almeno quasi tutti sanno cosa è”.

Oggi, pur mantenendo in alcuni contesti la sua originaria funzione di segretezza, il lubunca ha una funzione sociale molto importante: è un modo per rafforzare i legami interni al gruppo, un’opportunità di visibilità e di affermazione di un’esistenza queer, di un modo di essere e di uno stile di vita, oltre che uno slang ironico e sarcastico.
“Lubunca è un modo per dire ‘noi ci siamo’, qualcosa che ci dà forza. Usare lubunca è come dire ‘abbiamo anche una lingua, non siamo soli, siamo parti di una grande comunità, lo vedi?’”, sostiene I.

Se un tempo la parola gullüm indicava la conversazione divertente e leggera, oggi significa anche ‘scherzo, gossip’ e rappresenta esattamente ciò su cui si basa il lubunca: il gioco, l’ironia e la presa in giro.

Il lubunca è una forma di resistenza ironica, dove il bersaglio è la polizia, il vicino di casa o di tavolo, il collega di lavoro, la società tradizionale e conservatrice.
È sovversione della rigidità di tutte le regole, linguistiche e sociali, è dove la creatività continua a ribollire e prova a lottare contro lo status quo. (Raffaella Biondo)


Le immagini sono le copertine della rivista Lubunya dell’associazione Pembe Hayat (vita rosa), la prima associazione turca a battersi per i diritti delle persone trans e di tutta la comunità LGBTI+, fondata nel 2006 a Ankara. 

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