Turchia, cultura e società

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Casa Botter: una casa moderna, uno spazio contemporaneo

in Spazi

Lo scorso 8 febbraio il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu era presente alla cerimonia di apertura dei lavori di restauro di Casa Botter, un edificio in prossimità di Tünel al termine di Istiklal caddesi, la via principale e arteria pulsante del quartiere di Beyoğlu. Perché un evento e una presenza così importante per un edificio decisamente piccolo se pensiamo alla mostruosa estensione della “città senza fine”?

Facciamo un salto indietro nel tempo e arriviamo agli inizi del Novecento: Istanbul era una metropoli cosmopolita e multiculturale, con élite trasversali rispetto al ricco mosaico sociale e confessionale che realizzarono la trasformazione in senso moderno e occidentale della struttura pubblica e del settore privato della città.[1]

In questo ribollire di cambiamenti sociali e artistici si muoveva l’olandese Jean Botter, sarto del Sultano Abdülhamid II, che decise di costruire un edificio con negozio e atelier di sartoria e appartamenti per la sua famiglia ai piani superiori lungo la Grande Rue de Pera, l’odierna Istiklal caddesi. Botter incaricò per la realizzazione dell’edificio Raimondo D’Aronco, un architetto friulano che, dall’ultimo decennio dell’Ottocento, lavorò in città progettando opere direttamente commissionate dal sultano della Sublime Porta e dal Regno d’Italia. Senza dubbio D’Aronco era già un architetto alla moda; egli utilizzava infatti un linguaggio moderno ed europeo molto apprezzato sia dai funzionari delle alte sfere dello stato ottomano sia dalla ricca e cosmopolita borghesia della città.

Il lotto scelto è vicino all’ambasciata svedese nei pressi di Tünel, dove la via curva leggermente. Questa fu un’occasione fantastica per progettare un edificio ambizioso e speciale che fu completato nel 1902. D’Aronco propose una facciata ispirata al modernismo europeo: l’Art Nouveau francese o Liberty, come si chiamò in Italia.

Dai suoi numerosi progetti e studi si può capire come l’architetto italiano fosse sensibile alla qualità dell’architettura ottomana della quale assorbì molti temi reinterpretandoli in modo creativo e talvolta funambolico; ad esempio la formidabile residenza estiva dell’ambasciata d’Italia a Tarabya, progettata nel 1905, con incredibili sbalzi in legno, che oggi purtroppo versa in un vergognoso stato di abbandono.

In Casa Botter D’Aronco propose una facciata urbana decisamente europea: nella parte a livello della strada si trovano, a sinistra, la grande vetrina con entrata centrale al negozio del sarto e, a destra, il portale che inquadra l’ingresso agli appartamenti nei cinque piani superiori. Sopra la vetrina un balcone marca la divisione tra la parte pubblica e quella privata dell’edificio. Nei tre piani superiori, le finestre sono arretrate rispetto al piano della facciata e questo fa risaltare maggiormente i quattro elementi verticali in rilievo che enfatizzano la snellezza della silhouette. L’ultimo piano arretrato crea una terrazza che si palesa in un balconcino centrale in facciata. I due comignoli laterali chiudono la composizione con un ennesimo slancio verso il cielo.

La facciata in pietra da taglio presenta una meravigliosa decorazione a rilievo con tema floreale che incornicia il portale d’ingresso e si pietrifica come una spontanea ma ordinata crescita di vegetazione sulla facciata valorizzandone la tensione verticale e le cornici orizzontali. Il tema floreale si ritrova sui ferri battuti dei balconi e del portone d’ingresso con sinuosità che non hanno nulla da invidiare alle opere europee dello stesso periodo.

Casa Botter, dopo che fu venduta dai proprietari trasferitisi a Parigi, ha avuto alcuni inquilini di pregio come lo scrittore Ferit Edgü. Negli ultimi vent’anni l’edificio è stato come un fantasma sulla via principale di Istanbul; chiunque abbia visitato la città non avrà potuto fare a meno di notare tale bellezza abbandonata. Nonostante ci siano stati alcuni tentativi di restauro, alcuni a firma di grandi esperti come la professoressa Afife Batur dell’Università Tecnica di Istanbul (ITÜ), scomparsa nel dicembre del 2018, e l’architetto Han Tümertekin, purtroppo nessuno è andato a buon fine sino ad oggi.

Istiklal caddesi è da decenni una via della cultura costellata da una sequenza di interventi volti al recupero-riuso-riciclo-ricostruzione di edifici di epoche diverse riaperti come musei, gallerie d’arte o fondazioni creando una eccezionale offerta culturale per i cittadini stambulioti e per i turisti.

Durante il suo intervento all’apertura del cantiere di restauro di Casa Botter, il sindaco İmamoğlu ha ribadito l’idea di allestire all’interno dell’edificio un Design Center della città, per onorare il titolo “UNESCO City of Design” vinto da Istanbul nel 2017.

Da queste premesse e insieme al recente acquisto da parte della municipalità di Istanbul del Saint Pierre Han nel quartiere di Galata si delinea una nuova strategia pubblica di recupero del patrimonio storico rispetto agli interventi conflittuali e di carattere speculativo-commerciale della precedente amministrazione.

Ci auguriamo quindi che Casa Botter sia parte importante di un cambiamento e che ritorni, nei tempi adeguati per fare un ottimo lavoro, un pezzo di pregio nella promenade architecturale di Istiklal caddesi. (Emiliano Bugatti)


[1] L’amico Paolo Girardelli, professore presso l’Università del Bosforo, con le sue numerose pubblicazioni ha messo in evidenza la complessità dei cambiamenti urbani e artistici del periodo tardo ottomano e il contributo degli italiani. Ai suoi articoli scientifici e a quelli della professoressa Diana Barillari dell’Università degli Studi di Trieste, disponibili sul sito Academia.edu, rimando i lettori che volessero approfondire il contesto storico e le opere realizzate da Raimondo D’Aronco a Istanbul.

Foto di copertina: M. Serdar Kılıç

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