Il 28 gennaio è stata inaugurata al museo d’arte contemporanea di Istanbul una mostra intitolata Liman, parola che in turco significa ‘porto’. L’esibizione racconta la storia delle coste e dei porti di Istanbul durante il Novecento attraverso i lavori di 34 artisti e collettivi che negli anni hanno raccontato le relazioni socio-culturali tra gli abitanti di Istanbul e il mare. Gli artisti, tra cui spiccano sia nomi molto importanti dei primi del Novecento come Selim Turan e Abidin Dino, sia collettivi contemporanei come xurban_collective e Darzanà, tentano, attraverso diverse tecniche e in una raccolta di quasi 200 lavori, di rappresentare non solo il concetto di porto in quanto paesaggio fisico ma di investigare questo concetto in riferimento alla storia della città, mostrandone l’immenso patrimonio socio-culturale.
Il titolo della mostra si ispira a un’esposizione del 1941, quando alcuni artisti turchi, attraverso un approccio per la prima volta di tipo realista, tentano di indagare le condizioni di vita dei lavoratori e il rapporto con il porto attraverso pratiche di osservazione partecipata. Il gruppo che diede vita a questo movimento fu successivamente denominato nella storia dell’arte ‘Liman Grubu’, proprio in riferimento alla loro prima esibizione.
Nella mostra il rapporto tra Istanbul e i suoi porti è stato rappresentato utilizzando diverse tecniche, dalla pittura agli schizzi a matita, dalle installazioni, a una linea cronologica che descrive il processo di trasformazione delle coste della città dall’antichità fino a oggi; dai video in Super 8mm di Istanbul del 1965, alle panoramiche originali del Bosforo nel 1878 del primo studio fotografico della città ‘El Chark Société Photographic’ (Società fotografica d’Oriente). I numerosi lavori esposti giocano con la memoria individuale e collettiva, col ricordo personale ma anche col racconto di un processo di modernizzazione che ormai ha investito tutti i più angusti angoli della città.
Liman racconta quindi le relazioni che c’erano tra le donne dei bordelli di Galata, antico quartiere genovese di Istanbul, e i loro incontri con i marinai, ma anche il senso dell’assenza nelle case delle famiglie di coloro che lavoravano in mare; la fragilità del concetto di frontiera e la comune eredità architettonico-culturale degli arsenali di Venezia e Istanbul, in un progetto tra l’altro esposto all’ultima biennale di Venezia, o le scene di vita del vecchio quartiere di Kumkapı nel 1952, prima della costruzione della grande strada che ormai lo divide dal mare.
È lo stesso fotografo, Ara Güler, autore di questo lavoro, a testimoniare in prima persona l’incredibile cambiamento del quartiere. ‘A quel tempo’ dice ‘nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo, né i pescatori, né i marinai, né la gente di Kumkapı. Io stesso non avrei mai potuto immaginare che queste fotografie in bianco e nero sarebbero diventate l’unica testimonianza di un mondo ormai andato perduto’.Tuttavia l’interesse di Liman non si ferma al valore artistico delle opere ma è connesso principalmente alla motivazione della scelta da parte dei curatori, Çelenk Bafra e Levent Çalıkoğlu, di sviluppare una mostra sul tema del porto.
Il museo Istanbul Modern, infatti, dal 2004 ha sede in un vecchio deposito dell’area portuale di Karaköy, conosciuto come Antrepo 4. L’edificio oggi rientra nell’area d’interesse del mega progetto GalataPort, uno dei più grandi progetti in corso d’opera del centro di Istanbul.
Quest’intervento massivo di trasformazione urbana prevede la costruzione di un nuovo porto per navi da crociera e la ridefinizione di tutta l’area circostante con centri commerciali, ristoranti e strutture atte ad ospitare l’arrivo del turismo di massa. Galata-Port ha incontrato negli anni una forte opposizione soprattutto della Camera degli ingegneri e degli architetti (TMMOB) che ha giocato un ruolo decisivo nella posticipazione della sua realizzazione, ma nonostante tutto è cominciato, Istanbul Modern verrà trasferito e Liman sarà l’ultima mostra nell’attuale edificio.
Considerando questa scelta allora, è chiaro come il senso di Liman non si ferma alle pareti della struttura nella quale è collocato, ma si espande al cantiere a cielo aperto di cui fa parte, diventando esso stesso un’opera di riflessione e contestazione del progetto che lo comprende.
Il messaggio arriva diretto e non può essere altrimenti perché parte della performance è fatta direttamente dalle gru, dal panorama del chilometro di costa completamente dismessa, dal rumore dei lavori in corso, dal riferimento a chi ci investe, chi ci lavora, chi arriverà. Anche la parvenza a volte nostalgica del lavoro sulla memoria collettiva e individuale assume quindi un forte senso di riflessione sui fenomeni di trasformazione urbana, del presente e del passato e sulle conseguenze future che avrà nella vita quotidiana degli abitanti e nella loro relazione col proprio ambiente. Galata Port cambierà il volto di interi quartieri e le loro profonde strutture socio-economiche, riappariranno le grandi navi che fino all’anno scorso attraccavano sulla costa e inizierà l’ennesimo esperimento di modernizzazione coatta intrapreso nella città. Istanbul non è nuova a questi processi.
In Turchia, in particolare negli ultimi 15 anni, il settore edilizio rappresenta il motore principale della crescita economica e sono state moltissime le sue conseguenze, come sono state moltissime le varie formule della contestazione, da quelle più accademiche all’attivismo della piazza.
Liman rappresenta un ulteriore stimolo di riflessione su un argomento che ormai riguarda la quotidianità di tutti coloro che in questo spazio ci vivono e che vedono quotidianamente trasformata la propria vita e i riferimenti con la propria memoria.
La mostra rimarrà aperta fino al 4 giugno 2017. (cds)