Turchia, cultura e società

  • taksim_esdeger_16_01-scaled.jpg
    Progetto n. 16, “Herkesin ve Herşeyin Meydanı”
  • taksim_esdeger_16_03-scaled.jpg
    Progetto n. 16, “Herkesin ve Herşeyin Meydanı”
  • taksim_esdeger_16_09-scaled.jpg
    Progetto n. 16, “Herkesin ve Herşeyin Meydanı”
  • taksim_esdeger_16_11_1-1024x641-1.jpg
    Progetto n. 16, “Herkesin ve Herşeyin Meydanı”
  • taksim_esdeger_19_01-1024x513-2.jpg
    Progetto n. 19, “Obruk”
  • taksim_esdeger_19_02-1024x576-1.jpg
    Progetto n. 19, “Obruk”
  • taksim_esdeger_19_04-1024x570-1.jpg
    Progetto n. 19, “Obruk”
  • taksim_esdeger_15_02-1024x576-1.jpg
    Progetto n. 15, “Taksim Kolektifi”
  • taksim_esdeger_15_07-1024x576-1.jpg
    Progetto n. 15, “Taksim Kolektifi”
  • taksim_esdeger_15_10-1024x636-1.jpg
    Progetto n. 15, “Taksim Kolektifi”
  • taksim_esdeger_15_11-1024x543-1.jpg
    Progetto n. 15, “Taksim Kolektifi”

Piazza Taksim e il ripensamento dello spazio pubblico

in Società/Spazi

Appena dieci giorni dopo la sua clamorosa elezione a sindaco, nel 2019, Ekrem Imamoğlu ha annunciato un concorso aperto per la riprogettazione di piazza Taksim con l’intento dichiarato di trasformare la piazza, epicentro geografico e politico di Istanbul, in “un luogo pubblico di cui tutti potranno godere”. A distanza di un anno, il risultato è stato annunciato.

Taksim è probabilmente lo spazio pubblico più contestato della metropoli turca. Nel corso della sua travagliata storia, la piazza è stata un campo di battaglia urbanistico su cui successive amministrazioni sono intervenute unilateralmente, aggiungendo e sottraendo elementi, nel tentativo di lasciare una traccia nello spazio urbano o rimuovere quelle dei predecessori. Lo spazio che vediamo oggi, una distesa dai confini sfilacciati che induce il visitatore a chiedersi dove sia la piazza, è il risultato di questo processo.

Un processo che è ancora in corso: in continuità con questo retaggio, sotto l’AKP piazza Taksim è diventata un cantiere permanente. Tre interventi recenti ne hanno significativamente alterato forma e carattere: la demolizione e ricostruzione del Centro Culturale Atatürk (AKM), icona modernista e palinsesto di innumerevoli proteste; la costruzione di un’imponente moschea in stile neo-ottomano, concretizzazione di un progetto discusso almeno dagli anni Cinquanta, a marcare l’islamizzazione del luogo simbolo della Repubblica laica; e la realizzazione di un sottopasso automobilistico che, oltre a rendere più facilmente controllabili gli accessi alla piazza, ha prodotto una vasta spianata che l’amministrazione si è affannata a riempire con arredi urbani e installazioni temporanee. L’area inoltre è pesantemente presidiata, con una presenza fissa di forze dell’ordine e mezzi blindati.

È in questo contesto che la nuova amministrazione comunale intende mettere mano a piazza Taksim per creare, stando al bando di concorso, “uno spazio pubblico urbano democratico che abbracci le sensibilità di tutti i segmenti della società”. Nonostante le giustificate critiche alle modalità, le tempistiche e i numeri del processo di “partecipazione cittadina” (ha votato solo l’1,25% dei residenti ufficiali di Istanbul), la gara ha generato un animato dibattito in Turchia ed è diventata l’occasione non solo per riflettere sulle potenzialità dello spazio pubblico e della progettazione urbana, ma soprattutto per immaginare – in un contesto di autoritarismo asfissiante, crisi economica e sociale, pandemia incontrollata – un futuro diverso.

Visti gli attriti tra municipalità e governo centrale non è affatto detto che il progetto si concretizzi; non sarebbe il primo concorso per Taksim a fare un buco nell’acqua. Basti pensare alla vicenda del “Punto d’Incontro” (Kavuşma Durağı), struttura temporanea installata all’inizio del 2020 per ospitare mostre e dibattiti sulla riprogettazione della piazza, ma affrettatamente rimossa dopo un intervento della Soprintendenza ai Beni Culturali, filogovernativa. Comunque vada a finire, può essere interessante esaminare il bando di concorso, con le sue implicazioni politiche, e come i principi e le prescrizioni in esso contenute siano state tradotte in proposte urbanistiche.

Lo strumento stesso del concorso pubblico internazionale rappresenta una svolta rispetto agli interventi urbanistici poco trasparenti dell’amministrazione dell’AKP. Dei 146 progetti presentati, la giuria ha selezionato in due fasi tre proposte finaliste, che sono state presentate pubblicamente e sottoposte al “voto popolare” attraverso una piattaforma online. Il progetto “Collettivo di Taksim” (Taksim Kolektifi) del gruppo coordinato da Şerif Süveydan (n. 15) si è aggiudicato il primo posto.

Il bando prevedeva un’area di progetto dai confini flessibili e un programma aperto, a discrezione dei progettisti. Tutti hanno ovviamente incluso il parco Gezi, la promenade progettata dall’urbanista francese Henri Prost negli anni Trenta sul sito di una caserma ottomana, il cui nome è ormai sinonimo della sollevazione antigovernativa esplosa nel 2013 in prima istanza come reazione a un piano dell’amministrazione per sostituire il parco con un rifacimento della caserma.

L’elemento caratterizzante del progetto primo classificato è un percorso pedonale a più livelli che serpeggia tra la piazza, Gezi, la biblioteca Atatürk e il parco di Maçka, con l’intenzione di ricostituire la visione originaria di un unico percorso verde che univa le istituzioni culturali tra Beyoğlu, Harbiye e Maçka. La passerella scavalca i percorsi stradali esistenti e connette quote diverse, per collegare tra loro le vecchie e nuove funzioni offrendo ampie vedute sulla piazza, il parco e il Bosforo. Da un punto di vista organizzativo, il progetto immagina uno spazio animato dalle molteplici attività gestite orizzontalmente in maniera collettiva: una sorta di istituzionalizzazione dello spirito di Gezi, col beneplacito della municipalità.

Riconoscendo i valori contrastanti che diversi gruppi sociali attribuiscono a Taksim, il bando di concorso sottolineava l’importanza della storia, e di una generica “memoria collettiva”, nel ripensamento della piazza. Nei render delle gallerie sotterranee del cosiddetto “Museo della Memoria”, collocato nell’attuale sottopassaggio, nella proposta dell’équipe di Bünyamin Derman (n. 16) terza classificata si intravedono riferimenti a una memoria più specifica: rimandi agli scontri di Gezi (la celebre “ragazza dal vestito rosso”, un manifestante che fronteggia un blindato, scontri nella foschia dei lacrimogeni) – ma anche un grande striscione del Primo Maggio, in memoria delle grandi manifestazioni che per lungo tempo hanno qui avuto luogo e che nel 1977 si sono concluse in un bagno di sangue. D’altronde anche le periodiche esposizioni propagandistiche in piazza (per esempio, quelle ricorrenti sulla “vittoria della democrazia” nel fallito golpe del 2016) esibiscono una memoria storica selettiva e di parte. Ma alcuni critici, da sinistra, fanno notare come gli eventi di Gezi siano ancora materia viva, non gesta passate da commemorare o cimeli da sotterrare sotto al parco stesso.

Anche le immagini di concorso dei progetti e i testi di accompagnamento rivelano, dietro a una retorica inclusiva, una prospettiva più parziale. Il progetto n. 16, “La piazza di tutti e tutto” (Herkesin ve Her Şeyin Meydanı), nello specificare che la piazza verrà reinterpretata in riferimento ai suoi edifici simbolo, elenca il parco di Gezi, il Centro Culturale Atatürk, la chiesa di Hagia Triada, la Cisterna e il Monumento alla Repubblica, evitando di menzionare la contestata moschea, prossima al completamento. I render danno risalto alla chiesa greco ortodossa e al monumento repubblicano, che compaiono dietro le fronde degli alberi. La moschea appare raramente (di solito nelle immagini sullo stato di fatto) nei progetti finalisti. In quelli presentati invece da studi stranieri la moschea riceve un’attenzione commisurata alla sua imponenza e posizione, e si mostrano possibili usi della piazza (come le cene dell’iftar) che i progetti finalisti ignorano, pur affollando lo spazio di ogni attività immaginabile.

Progetto n. 19, “Obruk”

Sempre in relazione a Gezi, il bando identificava il rifacimento della piazza come occasione per creare nuovo spazio verde pubblico, di cui Istanbul è piuttosto carente. In tutti e tre i progetti, filari di alberi si estendono sulla piazza e sulle arterie che vi sfociano, come se il parco di Gezi, scongiurata la demolizione, si fosse riappropriato, in senso fin troppo letterale, di Taksim, e le rivendicazioni dei manifestanti del giugno 2013 trovassero riscontro in queste nuove macchie verdi. Ad esempio il gruppo di Kutlu İnanç Bal, secondo classificato (n. 19), dichiara apertamente come il motto “Giù le mani dagli alberi!” (Ağaçlara dokunma!) abbia definito il proprio approccio progettuale.

Oltre alla vegetazione pervasiva, ogni progetto, in un modo o nell’altro, dissemina nuove funzioni e strutture sulla piazza e nello spazio circostante: tra le proposte finaliste si scorgono una torre panoramica, musei e spazi espositivi sotterranei, un anfiteatro, un’estensione circolare del tram storico, bar e spazi di ritrovo, un tendone da fiera. Nel progetto del secondo classificato (n. 19), una vasta cavità circolare attraversata da percorsi sospesi si apre davanti al Centro Culturale Atatürk per creare spazi di produzione culturale alternativa, letteralmente underground. Fontane e giochi d’acqua ridisegnano la piazza, un rimando alla ripartizione (taksim) tra i vari quartieri cittadini delle acque canalizzate dal nord della città, da cui la piazza prende il nome.

Questo sovraccarico di attività e elementi, per quanto comprensibile nella cornice di un concorso urbanistico, potrebbe avere un sottotesto ben più problematico. È vero che ora come ora piazza Taksim è uno spazio indefinito e informe, con una sistemazione raffazzonata, a tratti inospitale. Ma questo vuoto urbano rievoca gli eventi trascorsi che l’hanno riempito di persone e di significato, al di là delle quinte architettoniche e delle coreografie urbane imposte dallo stato: in questo stava l’essenza del carattere pubblico della piazza. Tradurre principi e istanze complesse in prescrizioni funzionali, elementi architettonici e attività con cui infarcire la piazza non può sopperire alla depotenzializzazione coatta dello spazio pubblico avvenuta negli ultimi anni. Come fa notare Hakkı Yırtıcı, “E’ solo in una piazza Taksim in cui ogni spazio è riempito e il vuoto al centro ristretto che non ci sarà bisogno dei blindati della polizia”.

Non senza una certa ironia, i progetti finalisti per la nuova piazza Taksim sono stati esposti nella spianata di Yenikapı, sottratta al mare proprio come “spazio per le manifestazioni” alternativo a Taksim nelle intenzioni del governo. Una parodia di spazio pubblico isolato e controllabile per manifestazioni politiche irregimentate, puramente dimostrative. Proprio ciò che piazza Taksim non deve diventare. Al concorso e alle proposte va riconosciuto il merito di aver sollevato un indispensabile dibattito pubblico, che solo due anni fa non sarebbe stato possibile. (Francesco Pasta)

Qui è possibile vedere tutti i progetti.

  • Primo classificato: Progetto n. 15, “Taksim Kolektifi” (Collettivo di Taksim)
  • Secondo classificato: Progetto n. 19, “Obruk” (Voragine)
  • Terzo classificato: Progetto n. 16, “Herkesin ve Herşeyin Meydanı” (La piazza di tutti e tutto)

Latest from Società

Go to Top