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Penguen: cronaca di un addio

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In un cielo infuocato dai colori del tramonto, un pinguino si allontana in volo ringraziando: “grazie di tutto!”. E’ l’animaletto mascotte del settimanale satirico indipendente Penguen (letteralmente “pinguino”), così raffigurato nella vignetta di copertina del 18 maggio 2017 e generalmente rappresentato in un goffo tentativo di volo. Nel giorno della sua uscita i lettori sanno che questa è destinata a restare l’ultima copertina: qualche settimana prima, il 21 aprile, il giornale annunciava attraverso i suoi canali social che i successivi quattro numeri sarebbero stati gli ultimi, rimandando le spiegazioni di tale decisione alla settimana seguente.

Quel 21 aprile la notizia ha spiazzato le migliaia di affezionati lettori (che raggiungevano il record di 70 mila nel 2010), aprendo molti interrogativi. Nel clima innegabilmente repressivo che si respira nel paese, le ipotesi di censura si sono moltiplicate velocemente, apparendo però plausibili solo fino a un certo punto. Infatti, gli attacchi degli ultimi due anni ai quotidiani Cumhuriyet, Özgür Gündem e ad altre testate indicano che la censura è solita arrivare a gamba tesa: all’improvviso, con irruzioni nelle redazioni e confisca di materiale, spesso con arresti, certamente non permettendo di preannunciare la fine ai lettori né di proseguire con le pubblicazioni.

Il chiarimento della settimana seguente, pubblicato il 26 aprile sul sito della rivista, smentiva in parte l’ipotesi della censura, lasciando nondimeno l’amaro in bocca.

Il comunicato si sofferma sulle difficoltà di sopravvivenza della stampa cartacea nell’era virtuale, precisando che ad essere colpite non sono solo le riviste satiriche. Con la diffusione di internet e l’avvento degli smartphone si è lentamente persa l’abitudine alla lettura, lamenta Penguen, e a questo dato di fatto si somma la facilità con cui chiunque è in grado di impossessarsi delle vignette senza permesso, magari anche a scopo di lucro. Ci tiene però ad aggiungere: “non fraintendete, non rimproveriamo i nostri lettori per questo… ci piace l’entusiasmo con cui condividono le nostre vignette con gli amici attraverso le proprie pagine, ma” – giungendo al nocciolo della questione – “magari fosse possibile portare avanti la rivista con i like di Facebook!”.

Il comunicato ringrazia per le mobilitazioni riscontrate in seguito all’annuncio del 21 aprile. La redazione si dice grata ai lettori per i suggerimenti (aumentare il prezzo di vendita, accettare donazioni in denaro) e le proposte (acquisto di più copie da parte dei singoli lettori), ma sottolinea anche come questi finirebbero per essere solo dei palliativi di fronte ad una crisi ben più profonda. D’altronde, si ammette senza giri di parole che le difficoltà si protraggono da anni e resistere ulteriormente è diventato impossibile.

Alle difficoltà derivate da una lettura sempre più mordi e fuggi, che certamente penalizza la stampa non solo in Turchia, la redazione non manca di accostare le dinamiche specifiche del paese. Sebbene la censura in senso stretto non sia chiamata in causa apertamente, il comunicato riflette sulle sempre maggiori difficoltà di espressione della satira, come del giornalismo, in un paese in cui il concetto di libertà diventa sempre più labile. Dunque, “vogliamo fare la nostra amata rivista come piace a noi e se non ci è possibile rispettare la qualità che ci siamo prefissi preferiamo non farla proprio”.

Effettivamente Penguen, creato nel 2002 da una frangia secessionista dello storico settimanale satirico LeMan (sul mercato dal 1991), si è sempre contraddistinto per una satira coraggiosa e pungente. E forse non è un caso che proprio Penguen sia stato il primo giornale satirico a finire nel mirino dell’AKP, il partito che governa il paese dal 2002. Era il 24 febbraio 2005 e Penguen usciva con una copertina che ritraeva diversi animali con il volto dell’allora premier, oggi presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan. L’illustrazione era un esplicito richiamo a una caricatura del 9 maggio 2004 del vignettista del quotidiano Cumhuriyet Musa Kart (incarcerato nell’ambito dell’attuale inchiesta Cumhuriyet), che aveva rischiato una multa di 5 mila lire turche per aver raffigurato il primo ministro come un animale, in quel caso un gatto. La copertina solidale trascinò Penguen in un processo per diffamazione, che si concluse con l’assoluzione dei vignettisti e il respingimento della richiesta di risarcimento di 40 mila lire turche avanzata da Erdoğan.

La linea satirica che seguì dimostra che tale attacco non scalfì la rivista. Nei dodici anni successivi Penguen è rimasto un titolo di riferimento anche e soprattutto nelle fasi politiche più delicate. Per esempio, nell’estate 2013 si è contraddistinto per la sua vicinanza alle proteste di Gezi Park – vicinanza espressa particolarmente nelle vignette di copertina e attraverso una metamorfosi del pinguino mascotte, diventato pinguino manifestante per l’occasione.

Restano memorabili anche diverse vignette successive tra cui, tra le più recenti, la copertina del 20 aprile 2017, la prima dopo il referendum costituzionale del 16 aprile. Riferendosi alla decisione, presa a seggi aperti e fortemente criticata, di rendere valide anche le schede elettorali non timbrate, Penguen si limita a proporre una pagina bianca, accompagnata dall’avviso che ormai anche le copertine senza vignette verranno considerate valide.

Dal momento che quest’ultima copertina, tanto lapidaria quanto eloquente, precede l’annuncio della fine della rivista di un solo giorno, viene da domandarsi se, nel clima già difficile al quale anche il comunicato del 26 aprile allude, proprio questa (non)vignetta non abbia attirato pressioni tali da portare alla decisione definitiva della chiusura. Ma ipotesi e congetture lasciano il tempo che trovano, così come le spiegazioni-confessioni alternative di alcuni vignettisti di Penguen pronunciatisi dopo il 26 aprile che, oltre ad incendiare polemiche, hanno alimentato più dubbi che risposte.

L’unica certezza è che l’avventura di Penguen è giunta al termine, lasciando un grande vuoto. Tale vuoto risulta ancora più pesante se inquadrato insieme alla chiusura, solo tre mesi prima, di Gırgır, uno dei settimanali satirici più longevi del paese (dal 1972). Eppure, sebbene tramonti l’era Penguen, la redazione si congeda nel comunicato con la promessa di nuove avventure. In effetti, il pinguino dell’ultima copertina non appare triste, al contrario è finalmente riuscito a spiccare il volo e si dirige verso nuovi orizzonti. (vm)

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