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Bergen: un film contro il femminicidio

in Schermi

Il film “Bergen” è uscito in Turchia il 4 marzo. Racconta la vita della cantante Bergen, interpretata magistralmente dall’attrice Farah Zeynep Abdullah. Il film mostra la trasformazione della cantante da promettente violoncellista a “donna del dolore” della Turchia, come recita il suo soprannome. Sebbene Bergen abbia avuto un’illustre carriera, registrando tre album e oltre 120 canzoni, la sua vita fu brutalmente interrotta ad un mese dal suo trentesimo compleanno.

All’inizio di aprile, quasi cinque milioni di telespettatori avevano già visto “Bergen” nei cinema. L’otto marzo, Giornata internazionale della donna, è uscito un album tributo con cover delle canzoni più amate di Bergen. Tutti i proventi di questo album vengono donati all’organizzazione Kadın Cinayetlerini Durduracağız Platformu (Piattaforma Stop al Femminicidio) che cerca di tracciare e prevenire la violenza contro le donne.

Bergen è diventata un simbolo della violenza contro le donne in Turchia, ma il film mette in luce la sua vita tanto quanto la sua morte. Nata Belgin Sarılmışer nel 1958 nella città mediterranea di Mersin, Bergen si formò come musicista classica al Conservatorio statale di Ankara. Negli anni ’70 lasciò gli studi per iniziare a suonare jazz e musica popolare turca nelle discoteche. Nel 1981, lasciò la capitale della Turchia per un lavoro di otto mesi in un locale ad Adana. A quel tempo, questa città nel sud della Turchia era famosa per il genere musicale malinconico e di ispirazione mediorientale, popolare tra le classi lavoratrici, noto come Arabesk.

bergen cantante filmAd Adana Bergen trovò la fama per la sua voce potente e commovente, ma incontrò anche un uomo che l’avrebbe abusata, sabotata nella sua carriera, sfigurata e alla fine uccisa. Il 14 agosto 1989, dopo un concerto, Bergen fu colpita a morte sei volte dal suo ex marito. L’uomo l’aveva precedentemente picchiata e persino accecata. Nel 1982 aveva mandato un sicario a gettarle acido nitrico in faccia. Dopo la guarigione, la benda sull’occhio e i capelli biondi sciolti a coprire la metà destra sfigurata del viso divennero un simbolo inquietante della violenza patriarcale che le avrebbe tolto la vita.

Sebbene le canzoni di Bergen siano sempre famose in Turchia, la cantante è conosciuta tanto per le sue sofferenze quanto per i suoi successi. Questo film biografico, diretto da Mehmet Binay e Caner Alper su sceneggiatura della scrittrice femminista Sema Kaygusuz e della giornalista Yıldız Bayazıt, dà lo stesso peso a entrambe le parti, rifuggendo dal romanticizzare la violenza. L’assassinio di Bergen non è presentato come un crimine d’amore o di passione, ma come un atto freddamente calcolato.

Una delle tante decisioni sottilmente politiche del film è stata quella di omettere il nome dell’assassino di Bergen. Anche nei titoli di coda, lo spazio accanto al nome dell’attore Erdal Beşikçioğlu è lasciato vuoto. L’attenzione si concentra sulla storia di Bergen, mentre l’assassino non è presentato come un personaggio con cui identificarsi, ma semplicemente un esempio della più ampia questione sociale della violenza e dell’impunità maschile.

Il nome dell’assassino viene in realtà mostrato, solo una volta. Alla fine del film, una schermata racconta che fuggì in Germania nel 1989 per poi essere catturato e riportato in Turchia. Inizialmente fu condannato a 15 anni, ma i tribunali turchi ridussero la sentenza a tre per “buona condotta”. Alla fine, uccidere Bergen gli costò solo sette mesi in prigione. “Il nome dell’autore è HALİS SERBEST”, recitano i titoli di coda.

Il femminicidio è un problema urgente in Turchia oggi come lo era negli anni ’80. Solo nel marzo 2022, 25 donne sono state uccise da uomini e altre 19 sono morte in circostanze sospette. Eppure i colpevoli, sempre se vengono processati, ricevono spesso una riduzione della pena per aver espresso rimorso e persino per aver indossato giacca e cravatta durante il processo: un fenomeno che in Turchia alcuni chiamano “riduzione della cravatta”.

Se conosciamo il numero esatto di donne uccise mensilmente e annualmente in Turchia è grazie ai dati raccolti e condivisi dalla piattaforma We Will Stop Femicide. Tuttavia, mentre la Turchia discute ancora una volta sulla violenza contro le donne grazie alla consapevolezza suscitata dal film, il 13 aprile l’ufficio del Pubblico ministero di Istanbul ha intentato una causa per chiudere la Piattaforma Stop al Femminicidio per “azioni contro la legge e la moralità”. In una dichiarazione rilasciata sul sito web, gli organizzatori scrivono: “Mentre noi chiamiamo le autorità politiche, i pubblici ministeri e i tribunali a svolgere il loro lavoro e aiutare le donne, questi scelgono invece di prendere di mira chi cerca di risolvere questo problema con azioni legali vuote”.

La storia di Bergen mostra che l’indulgenza del governo turco nei confronti degli autori di femminicidio non è una novità. Bergen è morta da 33 anni, ma il suo assassino è libero da quasi 32, a parte una breve detenzione per l’abuso sessuale di quattro bambini nel 2018. I media mainstream in Turchia continuano a invitarlo nei talk show per interviste in cui nega di provare rammarico per l’omicidio di Bergen.

Poiché Serbest continua a esercitare influenza in Turchia, le riprese e la produzione di Bergen sono state completate in estrema segretezza poiché i produttori del film hanno ricevuto minacce di morte. I pericoli sono continuati anche dopo la realizzazione del film. Mentre Serbest intenta cause per diffamazione contro gli autori del film, attori e produttori vivono sotto protezione e la polizia antisommossa è stata schierata al gala di presentazione del film a Istanbul per prevenire incidenti.

Nel distretto Kozan di Adana, dove vive oggi Serbest, il sindaco ha vietato la proiezione del film citando scene di violenza inadeguate per i bambini. Una dichiarazione di condanna della decisione del sindaco, firmata da diversi sindacati e associazioni cinematografiche turche, afferma che questa decisione è stata influenzata “dalla pressione dell’uomo che ha ucciso Bergen”, continuando: “Metti a tacere gli assassini, dai voce alle donne!”.

Quando Kemal Kılıçdaroğlu, presidente del CHP, principale partito di opposizione turco, ha visto il film in una proiezione speciale del 17 marzo, ha affermato: “Chiunque rifiuti la violenza contro le donne deve guardare questo film. […] Ci mostra quanto sia preziosa la Convenzione di Istanbul”, riferendosi alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, firmato a Istanbul nel 2011.

Il primo luglio 2021, tuttavia, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha firmato un decreto presidenziale che ritirava la Turchia dalla Convenzione, descrivendo quest’ultima come un attacco alla “unità della famiglia”.

Mentre i difensori dei diritti delle donne in Turchia continuano a cercare di ribaltare l’abbandono della Convenzione di Istanbul e di proteggere organizzazioni della società civile come la Piattaforma Stop al Femminicidio, “Bergen” ha colpito il pubblico. Il film ci ricorda che, sfortunatamente, le difficoltà che le donne trovano nel cercare protezione e giustizia da parte della legge in Turchia non sono nulla di nuovo.


Articolo di Kenan Sharpe, pubblicato in originale su Osservatorio Balcani e Caucaso

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