Nota per la sua striscia a fumetti “Relazioni pericolose” su Radikal [quotidiano progressista esistito dal 1996 al 2016, ndr], Ramize Erer ora disegna per la rivista mensile Bayan Yanı con una redazione composta solo da fumettiste e scrittrici. “A parte questo, passo tutto il tempo a dipingere nel mio studio”, dice. Erer è infatti conosciuta anche come pittrice. Le sue opere sono state recentemente esposte nella mostra “E io sono una rosa” alla Galeri Nev di Ankara, mostra retrospettiva che riuniva per la prima volta quasi un centinaio di ritratti dell’artista realizzati in tempi diversi. Alcuni sui dipinti sono inoltre apparsi nell’ultimo film di Nuri Bilge Ceylan “Le erbe secche”.
Erer ha risposto alle domande di Bianet sulla sua mostra, sulle sue caricature e sui suoi anni a Parigi. Intervista di Ayşegül Özbek.
Si è laureata in pittura all’Accademia di Belle Arti Mimar Sinan. Proviene dalla tradizione delle riviste umoristiche, i lettori dei quotidiani la conoscono anche per la sua rubrica “Relazioni pericolose” su Radikal. Qual è stata la sensazione che l’ha condotta verso le caricature?
Immagino sia stata la curiosità. Sentivo che poteva esserci un modo per comprendere il mondo, le persone e me stessa. Per loro natura, le caricature mi hanno dato l’opportunità di guardare la vita dall’esterno. Considerando che ero una studentessa delle superiori quando ho iniziato a disegnare, vorrei sottolineare anche l’effetto terapeutico dell’umorismo.
Se non erro ha aperto la sua prima mostra dopo aver iniziato a vivere a Parigi. In effetti, considerando la sua carriera, la sua prima mostra personale è stata inaugurata piuttosto tardi. Cosa ha cambiato Parigi nella sua vita e nella sua arte?
Parigi è una città che respira e restituisce arte e pittura. Sono tornata alla pittura che avevo abbandonato con una decisione radicale dopo l’Accademia per una serie di coincidenze. Avevo un atelier in uno squat nel quartiere in cui vivevo. È molto difficile avere uno studio nel centro di Parigi. Ti costa molto e devi aspettare almeno 8-10 anni per ottenere uno degli spazi messi a disposizione dalla municipalità. Ci sono stati periodi in cui lavoravo molto, come se volessi recuperare il tempo passato senza dipingere. La sensazione di solitudine data dal vivere in un paese straniero ha reso più facile il rinchiudermi nella pittura, e mi ha fatto bene. Parigi ha liberato la mia visione della pittura, l’ha nutrita e arricchita.
L’esperienza di vivere in una città di un paese straniero mi ha permesso di guardare me stessa e il mio paese da lontano.
Le donne e la condizione femminile sono sempre state al centro del suo lavoro. Nei suoi dipinti esposti alla Galeri Nev vediamo volti più fragili rispetto a quelli delle sue caricature, soprattutto se consideriamo il personaggio di Kötü Kız (Cattiva ragazza). Nei suoi ritratti ci sono stati d’amore, sguardi ed espressioni di donne e ragazze fragili. E in alcune figure i volti non sono definiti. Caricatura e pittura… Come descriverebbe questa differenza nella sua produzione in questi due ambiti?
Le mie vignette contengono un messaggio rivolto all’esterno, di tipo sociale e politico. I miei dipinti invece riguardano me stessa, sono una forma di espressione più intima per me. Nella mia esperienza nel mondo della caricatura, per un lungo periodo della mia vita disegnare il quotidiano e parlare di “desideri delle donne” è stato un atteggiamento progressista e rivoluzionario. Si può dire che in questo ambito ho aperto una strada. E infatti, ho ricevuto il premio per il Coraggio Creativo, “Couilles au cul” in Francia e il premio “Sokol” in Austria.
Diversamente, nella mia esperienza pittorica la sfida plastica era la mia priorità. Mentre creavo il mio linguaggio pittorico, ero interessata a riflettere emozioni forti come la “fragilità” senza fare affidamento sull’espressione plastica. Ritratti di giovani, donne, corpi adolescenti e talvolta la fragilità dell’atmosfera che li circonda. I nostri lati deboli e fragili sono quelli che allo stesso tempo ci rendono forti, questa condizione dell’individuo mi ha sempre colpita.
Oltre alla fragilità, anche le donne che stanno fianco a fianco, spalla a spalla, mano nella mano, appoggiandosi l’una all’altra attirano l’attenzione nei suoi dipinti. Ciò sortisce un effetto positivo nel visitatore… Cosa ci dice riguardo a quest’idea dello stare insieme?
Quelle immagini a due mi ricordano la sorellanza e l’amicizia. Ad esempio, ci sono immagini di me e mia sorella quando eravamo bambine o ragazzine, che ci ritraggono guancia a guancia o con la sua mano sulla mia spalla. Questi sono i momenti in cui i legami tra le ragazze sono più forti. Un legame illimitato, incondizionato, non calcolato, visto soprattutto nell’adolescenza. Questo mi affascina.
Il nome della mostra “E io sono una rosa” è una citazione della poetessa Emily Dickinson. Come ha deciso questo nome? Ci sono altre scrittrici/poetesse che ispirano la sua vita e la sua arte?
Quando mi scrivevo con la direttrice della galleria, la cara Deniz Artun, a proposito del titolo da dare alla mostra, in un momento di impasse ci siamo dette di dare un’occhiata alla poesia. Le prime a venirmi in mente sono state le sue poesie. E Deniz ha trovato in uno dei suoi versi il nome più appropriato che aggiunge significato alla mostra. Poi, con nostra sorpresa, abbiamo trovato delle somiglianze tra il titolo e le immagini.
Sono una grande lettrice. Mentre creo le mie figure, traggo ispirazione principalmente dalla letteratura.
Sono le scrittrici a ispirarmi. Nella mia prima giovinezza, Virginia Woolf e Simone de Beauvoir mi hanno particolarmente influenzata. Le domande che queste due donne moderniste e intellettuali si ponevano sull’esistenza e sui ruoli sociali delle donne sono diventate anche le mie.
Con i suoi dipinti ha preso parte al film di Nuri Bilge Ceylan “Le erbe secche”. Anche guardare i suoi quadri nel contesto dell’atmosfera della casa nel film è stato molto d’impatto. Come è stata coinvolta nel film con i suoi quadri? Questi dipinti li aveva già fatti prima o li ha realizzati appositamente?
Io, Nuri Bilge e Ebru Ceylan abitiamo nella stessa strada. Sono entrambi miei cari amici. In verità tutto è iniziato durante una semplice conversazione per strada molti anni fa. Nuri Bilge mi disse con grande sincerità che gli piacevano i miei quadri. Per me fu qualcosa di molto prezioso e stimolante. Così gli ho regalato il suo quadro preferito, senza sapere che l’avrebbe usato successivamente nel film “Le erbe secche”.
Penso che quei dipinti si adattino bene alla stanza di Nuray, la protagonista del film, e all’atmosfera creata e aggiungono un’emozione. È quanto ho capito dai commenti che ho letto di chi ha visto il film. Sono davvero felice di avere contribuito con i miei quadri a questo magnifico film di Nuri Bilge Ceylan; mi piace molto il suo cinema.
Chi è Ramize Erer?
Si è laureata presso l’Accademia di Belle Arti Mimar Sinan, nel dipartimento di Pittura (laboratorio di Adnan Çoker). Dall’età di sedici anni ha realizzato disegni per riviste satiriche come Gırgır e Leman e per i quotidiani Cumhuriyet e Radikal. È una delle fondatrici della rivista Bayan Yanı. Ha vissuto a Parigi per tredici anni, durante i quali è tornata a dipingere. Nello stesso periodo, le sue vignette sono state esposte al Museo della caricatura di Krems, Austria; in Francia una delle sue illustrazioni è stata inserita nella collezione del Memoriale di Caen; ha inoltre ricevuto il premio per il Coraggio Creativo di Fluide Glaciale [rivista umoristica e di fumetti, ndr] al festival del fumetto di Angoulême. Ha esposto i suoi dipinti per la prima volta nel 2013 e la sua prima mostra personale è stata inaugurata a Istanbul nel 2016. L’artista continua il suo lavoro tra Parigi e Istanbul.
Traduzione di Beatrice Andolfatto e Alessandro Bertat