Turchia, cultura e società

Le mani sul cinema: produzione e distribuzione cinematografica in Turchia

in Schermi

A partire dalla seconda metà degli anni ’90 grandi nomi del cinema turco cominciano pian piano a uscire dal paese e proporsi sulla scena internazionale. Prima di questo periodo, infatti, l’unico premio internazionale vinto da un regista turco fu nel 1982 quando Yılmaz Güney venne insignito della Palma d’oro per il film Yol/La Strada, girato mentre era in carcere. Anni dopo fu poi la volta di Nuri Bilge Ceylan, regista che più di ogni altro è riuscito a imporsi fuori dalla Turchia vincendo alcuni tra i maggiori riconoscimenti cinematografici tra cui il Grand Prix al festival di Cannes nel 2003 per il film Uzak e ancora la Palma d’oro nel 2014 per Kış Uykusu/Il regno d’inverno, quando tra l’altro ripropose, durante la cerimonia di premiazione, il gesto del pugno alzato in memoria del predecessore Güney.

Questa fama che accompagna il cinema turco nel panorama internazionale è un riflesso della trasformazione che il settore cinematografico in Turchia comincia a vivere a partire dagli anni 2000 e che corrispose del resto a una crescita esponenziale di quest’industria. In Europa, dove la quota di mercato della produzione cinematografica interna in media si aggira intorno al 16%, non c’è infatti altro paese come la Turchia in cui questo dato eccede il 50%. Qui la produzione domestica, che nel 2005 contava 29 film, a distanza di dieci anni è arrivata a toccare il numero di 136 pellicole prodotte in un anno. Dietro questo incremento straordinario dell’industria cinematografica si cela però un mercato tutt’altro che eterogeneo. Quali sono dunque i motivi, le conseguenze e le ricadute di un tale fenomeno?

I paradossi nella produzione e nella distribuzione interna del cinema turco sono stati raccontati nel film-documentario Kapalı Gişe: Only Blockbusters Left Alive (it. Biglietteria chiusa: Only Blockbusters Left Alive) prodotto nel 2016 da Kaan Müjdeci insieme ai registi Şenay Aydemir, Evrim Kaya e Fırat Yücel. Kapalı Gişe attraverso interviste a produttori, registi, distributori e economisti, rivela le devastanti conseguenze della monopolizzazione dell’industria del cinema. In Turchia infatti sono tre i grandi distributori che detengono il 70% del mercato cinematografico determinando quali film, in quali sale e con quanta frequenza verranno proiettati. È facile quindi immaginare come la presenza di questi giganti dell’industria cinematografica, tra i quali il più potente è Mars Group, gravi in maniera fondamentale sulla piccola distribuzione e sul cinema indipendente. Secondo i dati che i registi denunciano in Kapalı Gişe infatti nel 2014 le 5 pellicole a maggior incasso prodotte in Turchia hanno coperto la metà del totale dei botteghini, lasciando gli altri 103 film usciti nello stesso anno nella condizione di spartirsi il restante. Questo dato appare ancora più scioccante se paragonato alla seppur alta competitività del cinema americano dove, durante lo stesso anno, i 5 film di maggior incasso hanno coperto il 15% dei box office. In questa panoramica non fanno eccezione nemmeno i film che hanno ricevuto riconoscimenti locali e internazionali. Abluka che nel 2015 vinse il premio della giuria al festival di Venezia durante la stessa settimana in Turchia è stato proiettato in 25 sale; stesso destino per Sarmaşık, vincitore dell’Altın Portakal, uno dei riconoscimenti più importanti del paese, mostrato in sole 16 sale. Tale situazione è del resto una conseguenza di un sistema della distribuzione interamente basato sugli incassi che una data pellicola può raggiungere durante le primissime settimane di proiezione. I film considerati adatti a ottenere il successo economico prestabilito sono il più delle volte i prodotti delle grandi compagnie di produzione, confezionati su una serie di criteri conformi alla vendita e dunque i soli a godere dell’accesso e della permanenza per un tempo relativamente lungo nei multisala.

Oltre alla produzione infatti Mars Group detiene anche il monopolio delle sale cinematografiche con una capacità che nel 2015 contava 95 mila poltrone, pari al 52% del totale in tutta la Turchia, e 677 schermi contro i 756 di proprietà delle altre compagnie. Una cifra che non ha equivalenti in Europa. Inoltre i Cinemaximum di proprietà del gruppo Mars sono dislocati soprattutto nei numerosissimi centri commerciali all’interno dei quali viene dirottato quasi l’85% del pubblico con l’evidente conseguenza della progressiva chiusura delle sale più piccole situate nei centri cittadini. Questi multisala, rispondendo alle necessità della grande industria, presentano una programmazione fortemente standardizzata che risponde alle necessità del mercato e viene spesso mascherata come una generosa risposta da parte delle holding alle preferenze e alle richieste del pubblico. Il gruppo Mars fornisce quindi un chiaro esempio di come le tre fasi dell’industria culturale, quelle della produzione, della distribuzione e dell’esibizione al pubblico, invece che essere supportate da un sistema differenziato, sono accentrate nelle mani di un’unica grande multinazionale, con conseguenze altamente problematiche per l’intero settore cinematografico.

All’interno di un tale sistema centralizzato della produzione e della distribuzione infatti la possibilità delle pellicole indipendenti o prodotte da gruppi minori di raggiungere il grande pubblico arriva a essere quasi inesistente. Da qui l’appellativo di “film da festival” per quel tipo di cinema, spesso più impegnato, che, non essendo distribuito nelle sale più grandi, si appoggia a una circolazione di gran lunga minore e spesso ancorata ai circuiti dei vari festival che pongono l’attenzione sulle tematiche sociali e sulla produzione indipendente. È in questo senso che nasce ad esempio Başka Sinema, un progetto che supporta, nei cinema che aderiscono all’iniziativa, la programmazione delle pellicole indipendenti. Nonostante il successo di iniziative come questa però il problema del monopolio cinematografico rimane una costante. Tale struttura oltre a inibire la produzione e la diffusione di pellicole alternative, incide in maniera più ampia sulla libertà del grande pubblico di usufruire di una maggiore varietà e qualità di opere cinematografiche, contribuendo quindi a una standardizzazione dell’offerta culturale.

Il gruppo Mars, che nel tempo ha aumentato il suo impero a 884 saloni e 120 mila poltrone, nel 2016 è stato acquistato dalla holding sud coreana CGV Group, con un investimento nel settore privato senza precedenti nella storia della Turchia nonché una delle più importanti operazioni finanziarie dell’industria cinematografica a livello globale. In tale situazione andare al cinema, finanziare le piccole sale, prediligere la produzione indipendente dovrebbe essere ancora di più una scelta consapevole. (cds)

 

Kapalı Gişe: Only Blockbusters Left Alive (2016, 39’) lingua: turco/ sub: inglese

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