Sottotetto
mio amore, mia statuetta notturna e rotta, idolo mio vezzoso
ero un’altra quando credevo al Dio delle case
il silenzio si tendeva e si faceva profonda la preghiera
come metallo bagnato il mio corpo riluceva
non ero in cerca di organi protetti
o di una mensa di delizie, se mai l’umidità
ne avesse corroso le corde, un violino
sempre prezioso era lì, nel desiderio del mio mento
amavo i denti dei topi, abbaglianti
e al crollo dei miei orecchi, infine, la torre dei rintocchi
perdevo memoria del verbo rancoroso e incauto
in fondo non c’è perdono per il fragile eremita
sono del peccato, le mani crude della malinconia le ho dismesse
in quel sottotetto ora si rifugia il settembre
Tavan arası
sevgilim…kırık gece heykelciğim…naz putum…
inanırken başkaydım evlerin Tanrı’sına
sessizlik gerinirdi derinleşirdi dua
ıslak madenler gibi ışıldardı vücudum
kayırılmış uzuvlar ya da hazdan bir sofra
değildi aradığım varsa yoksa rutubet
paslansa da telleri verdiğim aynı kıymet
çenemi arzulayan bir keman vardı orda
severdim farelerin kamaşan dişlerini
nihayet çın kalesi kulaklarım düşünce
ezbere unuturdum hınç tedbirsiz kelime
nasılsa bağışlanmaz kırılgan bir münzevi
günahkârım bıraktım hüznün çiğ ellerini
eylül barınır şimdi o tavan arasında
L’altro
che qualcuno lo porti al mare
prima o poi imparerà a nuotare
in acqua, pena o amore
ignorerà il proprio peso
tutto qui
infilando una chiave nel suo orecchio
svaniranno i suoni
ciò che si tace e andrebbe gridato
come canto di cicale
crollerà sulla città
ognuno ne sentirà quanto ne vuole
imparerà a nuotare d’un tratto
mentre osserva i boschi subacquei
e d’un tratto lascerà andare il corpo, o sarà quello ad andare
poi chi è mai il re
e che ora sarà
il pesce dalla sola striscia nera sulla lunghezza
nuoterà intorno tracciando un cerchio
liberando la mente dal pensiero
che nuoti insieme al cane
e insieme con il maschio
nuoti con il mitile staccato dallo scoglio
lì dove guarda chiedendo se c’è il mare
un fondo che non trova l’essere
una faccia che non trova quiete
non si spaventi del mare che è come mare
tema l’uomo che trova a vendere fichi
lascia che cuocia con sale
con debolezza
e sudore
nel mare non c’è scrittura, ascolti la parola, che si trascini
ciò che si tace quando andrebbe gridato
giunge la rana come la sua frenesia
atterra la locusta come in un’invasione
prima o poi imparerà a nuotare
in sé e fuori di sé
non bastano i mulinelli del tè,
qualcuno lo porti al mare…
Ötesi
biri onu denize götürsün
er geç öğrenir yüzmeyi
suda acıda aşkta
ağırlığını yoksayacak
hepsi bu
kulağına bir anahtar sokup çevirsin
kaybolur sesler
bağrılması gerekirken susulmuş şeyler
ağustos böceği cayırtısı halinde
kasabanın üstüne çöker
herkes istediğini duyar bu gürültüden
birden öğrenir yüzmeyi
denizaltı ormanına bakarken
salıverir bedenini ya da o kopup gider
sonra kral kim
sonra saat kaç
boylamasına tek bir siyah çizgi taşıyan balık
etrafında dönüp bir çember çizer
salıverir aklını düşüncelerden
bir köpekle de yüzsün
bir erkekle de
kayasından kopmuş bir midyeyle de yüzsün
orada deniz mi var diye baktığı yerde
olmayı bulamamış bir dip
durmayı bulamamış bir yüzey
korkmasın denizin deniz gibi olmasından
inciri satmayı bulmuş insandan korksun
tuzda da pişsin
acz ile de
terde de
denizde yazı yok sözü duysun söz sürsün
bağrılması gerekirken susulmuş şeyler
kurbağa cinneti olarak gelir
çekirge istilası halinde iner
er geç öğrenir yüzmeyi
kendinde ötede halde
karıştırılan çayların girdabı yetmez
biri onu denize götürsün…
Predizione
se s’apre quel quaderno mi chiudo io, ho detto
non guardare da fuori credendomi luce
i fogli sudati della mia vita dal fuoco segreto
si rivolti il pozzo e lo si veda in me, ho detto
la voce mia, ho detto, affoghi nel succo della cicuta,
la notte è forse un segno nobile, un elogio alla morte
la pelle è gelosa quanto lo spirito del mio nome sparso
i fiumi si udirono per tutta la lunghezza del paese
io non sono un terrore sottile né un sobbalzo del cuore
il mio sangue non ha frutto per darti gioia
se l’amore ha errato in uno sguardo e nell’altro
quanti cieli saranno lontani, dillo, tu tensione pura!
occorre una cappa per ciò che si leva dal mio corpo
se ho bruciato, la lingua del vivere da me si leva in fumo
Fal
o defter açılırsa ben kapanırım dedim
sır mihraklı ömrümün terli sayfalarına
dışarımdan bakıp da beni aydınlık sanma
bir kuyuyu tersyüz et içim görünsün dedim
sesim boğulsun dedim baldıran sularıyla
gece soylu bir rumuz belki ölüme övgü
ten de kıskanır ruh da adımın döküldüğü
ırmaklar duyulmuştur ülke uzunluğunda
ben ne ince terörüm ne de kalp seğirmesi
kanımın meyvesi yok seni sevindirmeye
aşk yanıldıysa eğer bir bakış ötekine
kaç gökyüzü uzaktır söyle ey saf çelişki!
bir davlumbaz gerek gövdemden yükselene
yandımsa tütüyorum yaşamanın dilini
[trad. N. Verderame]
Nilay Özer è nata a Istanbul nel 1976. Si è formata come biologa all’Università di Marmara e come critica letteraria presso il Dipartimento di Letteratura Turca dell’Università Bilkent di Ankara. La sua raccolta Ol! è stata insignita del premio letterario Cemal Süreya nel 2004. Ha pubblicato tre raccolte di poesia e numerosi saggi sulla scrittura in versi contemporanea. La sua voce richiama l’ermetismo della poesia degli anni Sessanta, arricchita di una profonda attenzione alla corporeità. Il suo verso è di grande complessità sintattica ed è tra i pochi autori che nella Turchia di oggi fa uso del sonetto.