forbici
nulla se ne sta al suo posto
il tappo non si accorda alla bottiglia, i sogni alla vita
anima mia vespa, mio volto adottivo
una donna si denuda sempre più dentro di me
come una sottile corda che trema
la prima neve cade sul rogo
quando tutte le case sono prossime a esplodere
un popolo è prossimo a muovere un passo
tamburi, sirene, vigili del fuoco
prossimi a gettare acqua
sulla città in rivolta
niente paura! non brucerai, niente paura
attraversa i lunghi corridoi angusti
e senza farti scacciare da stanze con tende socchiuse
ascolta il canto del cuculo
poi resta lì dove sei
come non avessi sentito lo spillo caduto
assapora il vino in scompartimenti a buon mercato
il vino è per noi il vuoto più fitto di meandri
la nostra tristezza lievita
tra i veli di lutto delle vedove e il velo delle spose
estrae dolcemente lo spillo della vita
e spaventa, è un bicchiere che cade in frantumi
è una strada che taglia di netto
un’altra strada,
è ridicola, in fondo!
senza fondamento sono le morti per amore
eppure quanto sono vicine le spranghe e le pareti
incendiate! incendiate!
makas
oturmuyor hiçbir şey yerine
kapak şişeye uymuyor, rüyalar yaşama
ruhum yabanarısı, yüzüm üvey
bir kadın soyundukça soyunuyor içimde
ince bir telin kıpırdaması gibi
ilk kar düşüyor yangına
oysa patlamak üzere tüm evler
adım atmak üzere bir halk
davullar, sirenler, itfaiye erleri
ayaklanmış bir şehre
su serpmek üzere
korkma! yanmazsın, korkma
uzun dar koridorlardan yürü
perdesi inik odalardan
kovulmadan, guguk kuşlarının ötüşünü dinle
sonra olduğun yerde kal
yere iğne düşmüş de duymamış gibi
tadını al ucuz kompartımanlarda içilen şarabın
şarap ki en kıvrımlı boşluklarımızdır bizim
dulların yas tülleriyle gelinlerin duvakları arasında
mayalanır hüzünlerimiz
usulca çeker yaşamın pimini
ürkünçtür, bardağın yere düşüp parçalanmasıdır
enlemesine kesmesidir bir caddenin
bir başka caddeyi
aslında komiktir!
asılsızdır aşk ölümleri
oysa demirlerle duvarlar ne kadar da yakın
yakın! yakın!
chiodo
né traccia di sperma né terrore di feto mai nato
un gusto di mela marcia sulle labbra
non ho più paura, specchio
la vita la guardo da una finestra scarlatta
condividiamo un delitto, timorosi
e più tagliamo il buio in frammenti
più ci moltiplichiamo in quel punto angusto
e viviamo un amore largo
ora ci attraversano rossi battelli
che mai hanno gettato l’ancora
le tue parole che nella sera salgono e scendono
si riversano nella mia bocca
i nostri sono peccati ben noti
nelle camere che puzzano d’umido
cosa buona il peccato!
è il segno dell’unghia che più scorre
da un foro sporco più si coagula, vecchio
lo specchio! Cresce il morto in me sempre più
il tuo amore come un chiodo arrugginito
m’incide il volto
çivi
ne sperm izi, ne doğmamış çocuk korkusu
çürük bir elma tadı dudaklarımda
artık korkmuyorum ayna
kızıl bir pencereden bakıyorum hayata
bir cinayeti paylaşıyoruz, ürkek
kırık dökük karanlığı kestikçe
çoğalıyoruz dar alanda
geniş aşklar yaşıyoruz
şimdi demiri hiç atılmamış
kırmızı sandallar geçiyor içimizden
alçalıp yükselen bir akşamda sözlerin
boşalıyor ağzıma
bilindik suçlar işliyoruz
küf kokan odalarda
suç iyidir!
kirli bir delikten aktıkça
pıhtılaşan tırnak izidir, eskidir
ayna! gittikçe büyüyor içimdeki ölü
aşkın paslı bir çivi gibi
çiziyor yüzümü
nella morte zero rischi
il bosco è un’immensa solitudine
che s’infiltra negli amori, luce oscura
con l’ansia tediosa delle case troppo piene
la notte cade sempre riversa sul mio ventre
un errore, il mio! non c’è nulla tra noi
che una tavola male illuminata
il tempo è una puttana dai capelli corti che s’accoppia
da sola, che macina se stessa:
non è nulla.
Portiamo sempre con noi uno specchio rotto
nelle strade dove ci tuffiamo assieme
ci strofiniamo i punti che sanguinano
in piedi, proprio al centro della porta rossa
le mie truppe sono in rivolta, l’amore viene sconfitto
coi suoi magnifici sonagli
e i grandi occhi lucenti
un errore, il mio! non c’è nulla tra noi
che una tavola male illuminata
coi suoi riccioli bruni precipita la vita
volteggia e volteggia verso il basso
ölümde hiç risk yok
orman koca bir yalnızlıktır
karanlık ışık gibi sızar aşklara
kalabalık evlerin can sıkıcı telaşıyla
gece hep tersten düşer kasıklarıma
yanıldım! hiçbir şey yok aramızda
tenha bir masadan başka
kısa saçlı bir sürtüğün tek başına
çiftleşmesidir zaman, bileylemesidir kendini;
hiçbir şeydir.
kırık bir aynayı taşıyoruz hep
beraber daldığımız sokaklarda
kanayan yerlerimizi ovuyoruz
ayakta, kırmızı kapının tam ortasında
ayaklanıyor askerlerim, muhteşem zilleri
parlak iri gözleriyle bozguna uğruyor aşk
yanıldım! hiçbir şey yok aramızda
tenha bir masadan başka
düşüyor esmer bukleleriyle hayat
döne döne aşağıya
Sono un’ameba io?
ieri ho trovato me stessa sul marciapiede di fronte
sono uscita fuori di me
non ho riconosciuto il mio viso
nemmeno l’essenza s’è riconosciuta
gli dei non riconoscono forse i figli?
ho detto a dio
questo corpo non è il tuo
né quest’anima, questa terra tonda
e le cellule dentro di me
una volta ha scelto l’immortalità
la mia vita che morendo è passata in un’altra
ma ci ho provato ancora
a legarmi a te con una prolunga
ho detto pronto, nessun suono
poi mi sono distesa nel sogno, ho aperto le mani
guarda ho detto sulla soglia della fame
il mondo cerca l’oro nella sua merda
la terra scivola senza sosta
io invece attraverso i punti di carico in diagonale
sono molto assetata, poco pensosa
e poi dall’ignoto giungono suoni
li senti, mi dicono chinati e io mi rizzo
stenditi mi dicono e io mi alzo
non ho finti piedi io, sono forse un’ameba?
un solo corpo molte cellule
un solo mondo molte frontiere
un solo dio molti peccati
se c’è una consolazione
per esempio uno sminuzzamento volontario*
sono pronta a potare il mio corpo
ché la natura vede ogni cosa
bene, ma sei pronto ad annientare, tu?
*Albert Camus (Taccuini, 3)
amip miyim ben?
dün karşı kaldırımda buldum kendimi
ben benden çıktım
tanımadım yüzümü
aslı da tanımadı kendini
tanrılar tanımaz mı çocuklarını
dedim ki tanrıya
bu gövde senin değil
bu ruh, bu yuvarlak dünya
ve içimdeki hücreler
seçmiş bir kere ölümsüzlüğü
ben ölürken geçmiş hayatım diğerine
yine de denedim
sana uzanma kablosuyla bağlanmayı
bir alo dedim, çıt yok
sonra yattım rüyaya, açtım ellerimi
bak dedim açlık kapıda, dünya bokunda altın arıyor
toprak sürekli kayıyor
bense çapraz hantal noktalardan geçiyorum
çok susup az düşünüyorum
üstelik gaipten sesler geliyor
duyuyor musun, eğil diyor dikiliyorum
yat diyor kalkıyorum
yalancı ayaklarım yok benim, amip miyim ben?
tek gövde çok hücre
tek dünya çok sınır
tek tanrı çok günah
varsa eğer bir avuntu
misal gönüllü ufalanma*
hazırım gövdemi budamaya
her şeyi gören doğa
peki sen, hazır mısın yıkıma?
*Albert Camus (Defterler 3)
[trad. N. Verderame]
Immagini di copertina: Caimi-Piccinni progetto Rhome.
Deniz Durukan è nata a Istanbul nel 1966 e ha esordito nel 2005 con il libro Şakağına Daya Beni (Appoggiami sulla tua tempia), dal quale sono tratti i primi tre testi qui proposti, mentre il quarto è un inedito gentilmente concesso dall’autrice. Durukan ha pubblicato altre due raccolte di poesia e ha curato nel 2012 il volume Fahriye Abla’dan Çanakkaleli Melahat’a Modern Türk Şiirinde Kadın İmgesi (L’immagine della donna nella poesia turca moderna, da Fahriye Abla a Melahat di Çanakkale). Autrice di critica musicale, lavora come consulente per programmi TV e scrive per il quotidiano Gazete Duvar. La sua poesia, ricca di elementi pulp e fortemente corporea, si inscrive nell’onda lunga della trasgressione poetica con influenze beat che era stata inaugurata negli anni Ottanta da Küçük İskender (1964-2019). Tuttavia, nei suoi versi si riconoscono una chiara ascendenza lirica, una particolare capacità di sollecitare visioni e immagini e una grande spinta a superare le barriere tra pubblico e privato, maschile e femminile, morale e immorale.