Turchia, cultura e società

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Quando leggere diventa un mestiere: fare il sahaf a Istanbul

in Spazi

Da İstiklal Caddesi, la grande arteria commerciale che divide Taksim, un corridoio di monili e manine di Fatima conduce al passage Hazzopulo, un’elegante corte fatta costruire a metà Ottocento da greci ottomani che oggi ospita qualche negozio di abbigliamento, un caffè quasi chiuso e un discreto numero di gatti. È qui che si trova la libreria di Murat Uncu; la scritta dorata “sahaf” (libraio di libri antichi e usati) campeggia in corsivo su una vetrata dagli infissi azzurri, da cui si intravedono vecchi poster ed enciclopedie poggiate su scaffali di legno scuro.

È un pomeriggio di fine giugno, Murat è seduto fuori dal negozio a chiacchierare con un paio di persone, tra cui Carlotta, che tradurrà per noi. All’ingresso, su dei tavolini bassi, ci sono delle grandi scatole piene di vecchie foto, cartoline, inviti di matrimonio, ritratti: memorie di vita di sconosciuti che si possono acquistare per qualche lira turca. Mi viene offerto del tè e mi viene presentata l’altra persona seduta, un editore che ha l’ufficio da quelle parti, oltre che assiduo frequentatore della libreria.

Murat fa il sahaf da quasi trent’anni. Iniziò a lavorare per un sahaf nel 1994, poco più che ventenne, prima di mettersi in proprio: allora gli ambiti più richiesti erano la turcologia, la storia e la letteratura ottomana. “Lì ho capito che tutto quello che pensavo di sapere sui libri era niente”. Prima di fare il sahaf, aggiunge, “non pensavo che leggere fosse un mestiere”. In effetti, in assenza di internet, i sahaf svolgevano una vera e propria funzione enciclopedica e, spiega Murat, non essendoci sinossi sui risguardi di copertina dei libri antichi, bisognava leggerli tutti per capirne il contenuto. “Serve una buona memoria e una grande passione” dice, prima di accendersi una sigaretta.

È soprattutto dagli avventori che ho imparato: chi mi suggeriva la traduzione migliore di un testo, chi una migliore edizione, chi mi faceva scoprire un autore, chi un altro… erano i lettori a insegnarmi, ad arricchirmi di informazioni bibliografiche. D’altronde quando ho iniziato, internet non c’era e la gente si rivolgeva a noi per fare delle ricerche”.

È proprio grazie a queste ricerche, racconta Murat, che si creano spesso relazioni di amicizia più che di clientela, si partecipa alla scelta e al recupero delle fonti bibliografiche, alle varie fasi di studio e si finisce per passare molto tempo insieme, tra chiacchiere e discussioni che vanno anche al di là dei libri.

Non è facile dare una definizione di “sahaf”: si potrebbe dire, per farla breve, che sono dei librai che trattano libri antichi e di seconda mano, ma potrebbe essere riduttivo per un mestiere che, sin dai primi anni dell’impero ottomano, ha svolto un ruolo chiave nella diffusione dei libri in città, così come nel contribuire a ricomporre pezzi di storia e memoria di un paese.

La storia dei sahaf, infatti, è legata a doppio filo con lo sviluppo del sistema educativo in Turchia; i primi sahaf avrebbero iniziato ad operare a partire dal XV secolo, dopo la conquista di Costantinopoli, nei pressi delle madrase. All’inizio trattavano soprattutto testi religiosi, perlopiù manoscritti, e operavano tra il quartiere Fatih e la zona dove oggi si trova il Gran Bazar. Fino alla fine del XVIII secolo il loro lavoro consisteva, di fatto, nel comprare e vendere manoscritti religiosi. È con la diffusione della stampa, a partire dal 1700, che il mercato del libro subisce un cambiamento radicale e con questo anche il lavoro dei sahaf di Istanbul: l’introduzione dei libri stampati, le riforme nel sistema educativo, l’apertura di nuove scuole e, in seguito, l’innalzamento del tasso di istruzione e i gusti della nascente massa di lettori, portarono alcuni sahaf a diventare anche editori, oltre che librai, e a trattare libri antichi come quelli a tiratura industriale.

Ovviamente la diffusione di internet ha confinato sempre più a un lavoro di nicchia il mestiere di questi librai, mutando profondamente anche la funzione che prima svolgevano nella ricerca delle fonti per studi accademici, storici e biografici. Oggi Murat lavora soprattutto con collezionisti, studiosi, amatori, con un circuito consolidato nel tempo, di cui conosce i gusti e gli interessi e a cui sa che libri può proporre. Ha deciso, a differenza di altri colleghi, di non vendere online, perché preferisce lavorare con il circuito di lettori che conosce. E forse perché è un po’ romantico, aggiunge.

Mi parla di una piattaforma, Nadir kitap, che mette in contatto lettori e sahaf, in base al libro che si sta cercando. Lui ha scelto di non farne parte, per i motivi già menzionati. Siamo al secondo giro di tè quando gli chiedo come si è avvicinato ai libri.

“In casa mia non c’erano libri, mio padre non sa leggere, mia madre invece leggeva ed è in parte grazie a lei che mi sono avvicinato alla lettura. Poi quando ero piccolo aveva appena inaugurato la biblioteca Atatürk e io ci andavo spesso, già allora mi interessavano soprattutto i libri di storia”.

In realtà – continua – essere nato in questo quartiere, che è un po’ il cuore culturale della città, è stata una grande fortuna: non avrei potuto entrare in contatto con i libri altrimenti. Meno male che è andata così, perché non potrei fare altro lavoro!”. Sorride e sorrido anche io, gli confesso che penso la stessa cosa del mio fare la libraia. “Ecco: anche tu non ti comprerai mai casa!”.

Mi spiega da dove arrivano i testi, il ciclo dei libri di seconda mano, i depositi della carta da cui i sahaf attingono per libri e fotografie che arrivano da case da svuotare o liberare dai ricordi. Poi mostra sul telefono la foto di un signore piuttosto anziano, che gli avrebbe consegnato l’attestato di sahaf, non senza una cerimonia presieduta dagli altri colleghi della città. “Oggi è più una tradizione che altro”. Noto che l’anziano signore in foto sembra Fidel Castro. Murat e il suo amico editore si mettono a ridere e Murat dice che la barba la portava in quel modo perché era un integralista religioso e che questo paragone non l’avrebbe per niente apprezzato.

Poi prende a raccontare di aste di libri: una cosa per collezionisti seri, con tanto di numeri, bandierine, librai che si affannano per accaparrarsi il libro più raro. Intanto l’editore, che ha finito di sorseggiare il suo tè, chiede se può utilizzare l’immagine da un libro esposto per stampare delle borse di tela.

Ci saranno ancora persone a fare questo mestiere tra venti, trent’anni?

Murat sembra ottimista, dice che la carta non finisce, ma sicuramente cambierà il mestiere del sahaf: tutto quello che viene prodotto oggi non entrerà in un circuito di collezionismo, perché si tratta di tirature industriali e non artigianali. L’oggetto libro, dice, probabilmente non sarà più rivelatore di un’epoca, al di là del suo contenuto.

Finiamo a parlare di narrativa in Turchia, di come le autrici si stiano imponendo sulla scena editoriale rispetto ai loro colleghi, su quanto poco si legge rispetto a quanto si pubblica.

Ormai è quasi sera e le luci dei negozi accanto si fanno più bianche. Prima di salutarci Murat mi conduce tra le sue collezioni, dai manoscritti ai gialli degli anni Settanta, ma più di tutto ci tiene a mostrarmi la sua maglia di Maradona della nazionale argentina, con una copia della rivista Calciomondo dell’86 dedicata ai mondiali in Messico.

Mi rigetto nel brusio agitato di İstiklal. A volte, camminando per alcune strade di Istanbul, si ha quasi la sensazione di non ritrovare più quel che si è lasciato alle spalle, tanto la città si trasforma di giorno in giorno, al ritmo frenetico del neoliberismo e della speculazione immobiliare. Eppure negli interstizi tra la città che viene e quella che appartiene a un’altra epoca, incastrati tra presente e passato, ci sono luoghi come le librerie dei sahaf, che forse, pagina per pagina, strappano un pezzetto di memoria alle gru della riqualificazione e del nuovo senza storia. (Cecilia Arcidiacono)

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