Turchia, cultura e società

Detective e distopie: le nuove serie d’autore in Turchia

in Schermi/Suoni

In un momento in cui molti di noi si rivolgono alle fiction per dare un senso al caos del mondo in cui viviamo, la serie poliziesca Alef e la serie podcast Karanlık Bölge (La zona oscura) forniscono proprio quello che il medico ha prescritto.
Il 10 aprile sono stati pubblicati i primi episodi di Alef, una serie che combina con successo la visione artistica con la popolarità. La serie ha suscitato scalpore, essendo opera del regista di cinema d’autore Emin Alper. Alper è famoso per i suoi film politici, parabolici e ricchi di suspense. Storico di formazione, ha debuttato alla regia nel 2012 con il film Beyond the Hill, vincitore di un premio alla 62ª Berlinale. Il suo secondo film, Frenzy, è stato presentato con grande clamore alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2015. Un racconto di tre sorelle (2019), con ambientazione anatolica e la storia incentrata sulla vita delle donne, è stato un vincente cambio di passo per il regista.
Non è un’impresa facile per un regista indipendente abituato a scrivere e dirigere i propri film, trasferirsi nel settore televisivo, dove dominano i grandi capitali e le aspettative degli spettatori sono limitate. Sembra che Alper sia stato in grado di sfruttare la propria fama per ottenere il controllo artistico, infatti i colori e l’atmosfera di Alef sono immediatamente riconducibili al suo stile.
Alper ha lavorato con lo sceneggiatore Emre Kayış per creare una serie che fosse intellettualmente stimolante e allo stesso tempo tenesse gli spettatori incollati allo schermo. Nonostante per il momento siano stati diffusi solo due episodi, la serie è pronta a guadagnarsi il suo posto tra le serie poliziesche locali come Masum e Şahsiyet, che competono in qualità con le corrispettive europee o nordamericane più famose, come la serie scandinava The Bridge o True Detective della HBO.
Alef ha un cast stellare. Settar (Ahmet Mümtaz Taylan) è un detective incallito dell’Ufficio Omicidi di Istanbul, abituato a fare le cose a modo suo. Nonostante sia a pochi mesi dal pensionamento, insiste nel far innervosire i suoi superiori. Il suo partner è Kemal (Kenan İmirzalıoğlu), un uomo più giovane appena tornato a Istanbul dopo aver vissuto per anni in Inghilterra e aver lavorato come investigatore per Scotland Yard. Nelle interviste, Alper afferma che un aspetto inevitabile del fare un lavoro televisivo è il doversi piegare ad alcuni luoghi comuni. Il rapporto tra i due personaggi principali è uno di questi. Mentre Settar ascolta musica classica turca e ama bere rakı nelle taverne con i suoi vecchi amici, Kemal sorseggia whisky a casa con l’accompagnamento del jazz. Settar è più impulsivo ed energico nel suo lavoro investigativo, mentre Kemal è più riservato e cerebrale. La parabola dell’opposizione tra Oriente e Occidente non potrebbe essere più scontata.
Ma ciò che rende la storia interessante è la natura misteriosa dei crimini che tentano di risolvere. La serie inizia con due omicidi, una donna trans che lavora in un pavyon [night club, ndr] e una ricca scrittrice di best seller. L’assassino lascia ai detective indizi che contengono un sottotesto mistico. Per decifrarli Settar e Kemal si avvalgono dell’aiuto di Yaşar (Melisa Sözen), docente di teologia specializzata in mistici islamici ed eretici. La professoressa aiuta i detective a capire perché l’assassino si riferisca a un oscuro romanzo seriale sul sufismo intitolato L’arcobaleno.
In un momento in cui la mania per il periodo ottomano domina la televisione turca, è difficile non strabuzzare gli occhi quando dervisci rotanti e simboli antichi appaiono anche in produzioni presumibilmente sperimentali come Alef. Eppure, se c’è qualcuno capace di tirare fuori ciò che è interessante del passato ottomano senza cadere nello sciovinismo nazionalista, si spera che questo sia Alper. Dato che questi temi rimangono poco sviluppati nei primi due episodi, dovremo affidarci alle sue parole per conoscere la direzione in cui sta andando la serie. Secondo Alper, “Uno dei maggiori interessi della serie è mostrare come la ricchezza intellettuale e culturale di queste terre sia stata crudelmente soppressa per anni dai poteri dominanti; la serie è una protesta silenziosa contro ciò”. Nonostante la serie sembri mantenere la politica di opposizione che prevale nei film di Alper, è anche caratterizzata dalle stesse zone d’ombra sulle questioni sessuali e di genere. Alef è pieno di esempi di sessismo occasionale, come quando Billur (Ayşegül Uraz), l’unica donna nella squadra investigativa, viene presentata come una perfezionista che non può tollerare l’utilizzo di turpiloquio in sua presenza. Allo stesso modo, Settar e Kemal descrivono offensivamente il nome della vittima trans del serial killer, Merve, come un “soprannome”. Sebbene non sia chiaro se Alef stia cercando di tematizzare la misoginia/transfobia o la stia semplicemente riproducendo acriticamente, in un momento in cui le serie mainstream sono così negative su questi argomenti, non è irragionevole aspettarsi di meglio da Alper e la sua squadra.
Il podcast La zona oscura (Karanlık Bölge, scritto da Özge Satman B.) è il secondo evento mediatico promettente, anche se imperfetto, degli ultimi tempi. Negli ultimi due anni, il boom globale della produzione di podcast ha preso piede anche in Turchia. Come il podcast Blackout di Rami Malek o la pluripremiata serie Homecoming, La zona oscura è un podcast di finzione. Nonostante apparentemente assomigli ai vecchi radiodrammi dell’emittente statale turca TRT, La zona oscura è meno teatrale e più simile a una serie TV, ma senza la componente visiva.
La zona oscura ricorre a celebrità televisive e cinematografiche per il doppiaggio, un ricco design sonoro e una narrativa finzionale ben congegnata per creare un mondo narrativo coinvolgente. La storia segue la detective Yaz (Tülin Özen) mentre entra nel Centro di Riabilitazione La Zona Oscura per indagare se l’ex dirigente di una compagnia automobilistica Kuzey (Tansu Biçer) abbia veramente cambiato le sue abitudini. Attraverso gli occhi di Yaz, vediamo un mondo futuro, contemporaneamente distopico e utopistico.
La zona oscura è ambientata in un momento in cui il cambiamento climatico ha mutato la faccia del pianeta. Mentre il sole brucia ormai a temperature così elevate che risulta impossibile uscire alla luce nella maggior parte del globo, l’umanità ha evitato con successo ulteriori catastrofi attraverso varie evoluzioni sociali e tecnologiche. Un cambiamento importante è che i criminali, compresi i criminali “dal colletto bianco” come Kuzey che commettono reati ecologici in nome dei profitti aziendali, non vengono più sbattuti in prigione. Invece, risiedono temporaneamente in centri di riabilitazione con la possibilità di farsi cancellare i propri ricordi.
Attraverso questa cornice utopica/distopica, La zona oscura offre commenti politici sul cambiamento climatico, la tecnologia, i social media e il genere. Eppure, per quanto il podcast cerchi di offrire la visione di una nuova società, è sorprendente quanto il loro mondo assomigli al nostro. L’esistenza di compagnie automobilistiche come quella per cui lavorava Kuzey (che però sono più preoccupate della loro impronta ecologica) dimostra come il capitalismo rimanga illeso dalla catastrofe climatica.
Come i pensatori marxisti interessati alle insidie della fantascienza popolare hanno a lungo rimarcato: “È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Il fatto che La zona oscura sia stata parzialmente finanziata attraverso la sponsorizzazione della BMW e della società di navigazione Yandex non fa altro che rivelare ulteriormente come la realtà attuale soffochi la nostra immaginazione di mondi futuri, nonostante le buone intenzioni.

[Kenan Behzat Sharpe – trad. Lorenzo Baselice]
Questo articolo è apparso originariamente in inglese sul giornale online Duvarenglish.

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