Komşu masallar: Racconti dalla Siria, dall’Iran, dall’Iraq e dalla Turchia
Dalla sponda europea a quella asiatica di Istanbul, sono molti i progetti che negli ultimi anni hanno investito sulla cooperazione tra la popolazione multiculturale della città e i nuovi residenti di cui i rifugiati siriani sono una parte, la più cospicua.
Si è trattato per lo più di progetti culturali fondati sulla condivisione di momenti centrali della giornata, come il pasto, per poi espandersi su attività di vario genere, dai corsi di lingua turca, tedesca o inglese, ai doposcuola per i bambini, dai concerti, ai dibattiti, ai cineforum. Così diversi progetti hanno coinvolto le donne, come il gruppo di solidarietà alle donne migranti, sviluppatosi a Kumkapı (Sınır Tanımayan Kadınlar/Donne senza frontiere) o la cucina di rifugiate di Okmeydanı, Kadın Kadına, “da donna a donna”.
Chi è passato in questi anni da Tarlabaşı, l’antico quartiere greco ormai da tempo oggetto di una campagna di riqualificazione che si è tradotta in uno smantellamento di fatto di molti edifici d’epoca, oggi abitati principalmente da migranti di varie nazionalità e curdi, ricorderà il progetto Mutfak (dal turco, cucina). Mutfak era nata come cucina sociale aperta alla condivisione di tutto il quartiere per poi espandersi ed accogliere corsi per adulti, assistenza nel trovare consulenza legale gratuita e giochi per bambini.
Dall’altra sponda del Bosforo qualcuno ricorderà invece caffé Komşu, il caffé dei vicini di casa, un collettivo multiculturale che ha offerto negli anni un accogliente luogo di ritrovo, di scambio artistico-culturale e culinario fuori dalle comuni leggi di mercato, dove ogni piatto o caffé consumato ha il prezzo che il cliente può e vuole pagare. Spostandoci verso il Corno d’Oro, invece, nell’antico quartiere greco di Balat, il progetto Yusra ha da tempo attivo un programma di attività di assistenza e supporto di vario genere dedicato soprattutto a bambini e famiglie siriane.
Questi sono solo tre di una costellazione di piccoli e grandi esempi di solidarietà e condivisione attivi nei confronti di una piccolissima parte del numero di stimato a più di 3.5 milioni di migranti siriani, a cui si aggiungono iracheni, curdi, iraniani e molti altri. Dalla condivisione di momenti come il pasto, una serata o uno scambio di conoscenze, un nuovo progetto promosso dalla Fondazione IKGV (İnsan Kaynağını Geliştirme Vakfı, Fondazione per lo Sviluppo delle Risorse Umane) ha recentemente esplorato la comunanza di metafore, simboli e temi delle fiabe provenienti dalla tradizione orale di Siria, Iraq, Iran e Turchia.
“Chi viaggia non muove solo se stesso o i suoi averi. Chi viaggia porta con sé ricordi, canzoni, fiabe, sogni. Discutere solo di politica ci impedisce di approfondire la ricchezza culturale che abbiamo davanti, e la bellezza del vivere insieme” ha commentato la coordinatrice dei progetti di supporto ai rifugiati, Sema Merve Iş.
“IKGV è stata fondata a Istanbul nel 1988. Agli inizi si occupava prevalentemente di progetti diretti alla sensibilizzazione ai diritti umani e all’educazione sessuale. Dagli anni duemila ci occupiamo di progetti diretti ai rifugiati presenti in Turchia e siamo tra le prime organizzazioni ad aver fornito un ampio raggio di servizi di supporto di tipo psicologico e sociale. Attualmente operiamo in sette province (Ankara, İstanbul, Eskişehir, Bilecik, Kütahya, Ağrı e Van). Tra le nostre missioni vi è quella di supporto all’integrazione ma anche di sensibilizzazione della popolazione turca alle molteplici culture che convivono nel nostro paese” ha commentato la direttrice, intervistata da Kaleydoskop.
In questa cornice si inserisce “Komşu masallar”, letteralmente “Fiabe vicine di casa”, un progetto promosso da IKGV con il supporto dell’UNHCR, l’organizzazione non-governativa tedesca WHH (Welthungerhilfe) e GIZ (l’agenzia tedesca alla cooperazione internazionale). Per tre mesi un membro di IKGV, la scrittrice del libro Roza Erdem, ha ascoltato una ad una le voci di sette donne provenienti da paesi culturalmente e geograficamente vicini alla Turchia, raccogliendo le storie che loro avevano sentito dalle loro madri, dai loro nonni. “La scelta delle favole, la loro compilazione è stata poi frutto di un lavoro di gruppo di tutte quante. Ci siamo incontrate, abbiamo riascoltato passo passo le fiabe dalla voce originale di ognuna, trovando il coraggio di dare voce ai ricordi delle nostre madri, e svelare parte delle metafore e dei simboli di ciascuna cultura”, ha commentato la scrittrice.
In forma anonima, le narratrici hanno anche condiviso dettagli della loro vita personale e delle ragioni che le hanno spinte a trasferirsi in Turchia. “Vorremmo portare la ricchezza di queste storie a diverse tipologie di lettori, specialmente agli adolescenti… fa parte della nostra missione, quella di favorire la coesione sociale. […] Nel leggere queste fiabe riscopriamo motivi, canzoni, storie appartenenti anche alle nostre famiglie, ai nostri nonni, per questo abbiamo dato al progetto il nome di “Fiabe vicine di casa”. […] Non apparteniamo solo a paesi vicini, oggi siamo noi stessi vicini di casa. Condividiamo gli stessi quartieri, gli stessi palazzi. Lo scambio di visioni, di momenti della vita quotidiana ma anche di ricordi fa parte della nostra cultura di vicinato”, ha commentato la coordinatrice Merve İş.
In un’intervista rilasciata alla rivista Ahval, una delle narratrici, Juri, parla del suo passato. Nata ad Aleppo, avendo parenti a Mardin, in Turchia, vi andava in vacanza tutte le estati: “Quando il luogo dove andavi in vacanza una volta all’anno diventa all’improvviso il posto dove sei costretta a vivere il legame con quel paese si trasforma. I ricordi di infanzia svaniscono, inizia la vita adulta”
Asmar, invece, da giovane aveva rilevato una cartoleria a Mossul. Vi ha lavorato per quattordici anni prima di essere costretta a lasciare il paese per minacce subite per le sue origini cristiane. “In Turchia mi sento sempre in tensione… mi agito subito, come una bambina”, ha commentato alla rivista Ahval.
Sara invece è arrivata in Turchia da Aleppo quattro anni fa. Dopo molte difficoltà iniziali, dice di sentirsi tranquilla. “Oggi mi sembra di conoscere molto più la Turchia del mio paese”. Per IKGV, Sara ha raccontato la fiaba dal titolo “Il tesoro più importante al mondo”. È una storia che ha sentito più volte da piccola da sua madre, da suo padre e dai suoi nonni, con versioni e particolari sempre diversi. Anche lei, crescendo, l’ha raccontata ai suoi figli e spera si tramanderà ai nipoti.
Le fiabe, scritte in persiano, arabo turco e inglese, saranno presto disponibili gratuitamente sul sito di IKGV. Potete seguire le attività dell’organizzazione anche sulla pagina Facebook della fondazione (Emanuela Pergolizzi)
Vi proponiamo una delle fiabe raccolte nel corso del progetto:
Il tesoro più importante al mondo
C’erano una volta due uomini. Uno ricco e uno povero. L’uomo ricco viveva con la moglie in un palazzo enorme, ricoperto di ori. La loro tavola era sempre imbandita come quella dei re. Le loro vesti erano di una seta magnifica.
L’uomo povero, invece, viveva con i figli in una casetta piccola piccola che sembrava sempre potesse crollare da un momento all’altro. Avevano passato giorni terribili, sere in cui si andava a dormire senza aver mangiato nemmeno un boccone. L’unica cosa che non gli mancava era il sorriso: le loro le risate risuonavano ogni giorno lungo tutta la strada.
L’uomo ricco si chiedeva sempre come quella famiglia potesse vivere così felice in mezzo a tanta povertà.
Un giorno il ricco non stette più nella pelle: “Devo scoprire il segreto della loro felicità!” disse alla moglie. Timidamente, ma anche vergognandosi un poco, bussò alla porta del povero.
Non sta bene che un uomo tanto ricco vada a bussare alla porta di un povero, pensava tra sé e sé
Il povero gli aprì la porta della sua piccola casetta con il sorriso.
“Salve vicino”, iniziò il ricco, “c’è una cosa di cui sono proprio curioso. Se non ti dispiace vorrei farti una domanda”. “Salve vicino, certo, dimmi pure” rispose gentilmente il povero.
“Come fate ad essere così felici vivendo in mezzo a tanta povertà? Com’è possibile che ridiate sempre?”. A queste parole il povero fece un gran sorriso: “Vuoi davvero sapere perché sono così contento? A casa abbiamo una piccola palla dorata. Passiamo tutte le sere a giocare con questo piccolo pallone. La sua sola esistenza ci rende felici”.
Il ricco ringraziò il suo vicino e tornò subito dalla moglie. “Ho scoperto il segreto della loro felicità! Hanno una piccola palla dorata e giocarci li rende contenti. Su, portami i tuoi gioielli, facciamoci un bel pallone dorato anche noi.”
La moglie si allontanò un attimo e tornò dal marito portando i suoi gioielli più belli. Lavorarono fino a sera e infine forgiarono una piccola palla unica, bellissima.
Non appena ebbero finito, iniziarono a giocarci. Il ricco, preso il pallone lo tirò alla moglie ma… “Ah!” urlò lei, di dolore. Quella palla era così pesante, ma così pesante che si era fatta male nel tentativo di afferrarlo. La moglie la rilanciò al marito ma anche lui si fece male cercando di prenderla. Nella speranza di diventare felici come il povero, continuarono a lanciarsi la palla finché non furono esausti.
La mattina seguente il ricco decise di recarsi nuovamente a casa del povero. Ad ogni passo la sua curiosità cresceva: com’era possibile che un’attività così stancante rendesse il suo vicino così felice? “Ascoltami bene vicino, com’è possibile che una palla pesante vi renda tanto contenti?”.
Il povero lo fece accomodare: “Vedi, quando parlavo della mia piccola palla dorata, mi riferivo a questo”. E gli mostrò suo figlio.
“Caro vicino, mi avevi frainteso. Mi riferivo a mio figlio. Nella povertà, lui è la mia ricchezza. Ci fa dimenticare le sofferenze e la fame. Giocare con lui ci ricorda sempre la bellezza della vita, ci ricorda di apprezzare ogni attimo”.
Il ricco tornò a casa triste. Scavò un fosso e vi sotterrò la palla che aveva forgiato con la moglie la sera prima. Le riferì le parole del vicino. “Al mondo non c’è felicità più grande di quella che può dare un figlio. Il tesoro più grande è la luce che solo un figlio può portare”.
trad. E. Pergolizzi