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Turchia, rifugio insicuro per la popolazione siriana

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In seguito alla recente ondata di razzismo e violenza nei confronti delle persone rifugiate siriane in molte città della Turchia, pubblichiamo la traduzione di questo articolo di Dila Hisarlı uscito sulla rivista online Untold Magche ripercorre la storia degli ultimi episodi di violenza, andando alle radici del sentimento d’odio diffuso nella società turca nei confronti delle persone siriane e mettendo in luce le congiunture politiche, economiche e sociali che hanno provocato tali esplosioni d’odio nell’aquiescenza politica.

Recenti e violenti attacchi contro persone rifugiate siriane in Turchia rivelano un profondo malcontento per le politiche del paese. 
Stando ai dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) oltre 3,5 milioni di persone rifugiate siriane vivono attualmente in Turchia. Sono arrivate negli ultimi 13 anni in cerca di sicurezza, per cominciare una nuova vita lontana dal loro paese devastato dalla guerra. Nel corso degli anni si sono formate nuove relazioni di vicinato, hanno imparato una nuova lingua, sono nati dei bambini, delle nonne sono morte, anni scolastici sono cominciati e terminati per le persone siriane in Turchia. Eppure la Turchia è ancora lontana da essere per loro un posto sicuro. Gli attacchi razzisti contro le persone siriane hanno raggiunto nuovi picchi negli ultimi mesi.
Il 30 giugno nella città di Kayseri in Anatolia centrale, l’accusa che un uomo siriano avesse abusato di una bambina ha fatto esplodere la violenza. Non appena l’accusa si è diffusa, sono state prese di mira le case e i luoghi di lavoro della popolazione siriana che vive nella città. Il sospettato è stato arrestato e la bambina presa sotto la protezione statale. È stato imposto un divieto di diffusione della notizia.
Nei giorni seguenti le ostilità si sono presto diffuse in altre città come Hatay, Adana, Bursa, Gaziantep e Urfa. Sono state attaccate molte abitazioni delle persone siriane, si è dato fuoco ai luoghi di lavoro e vandalizzato veicoli. Il 2 luglio, un quindicenne siriano di nome Ahmet Handan El Naif è stato accoltellato a Antalya. È morto in ospedale l’indomani.
Purtroppo questi non sono i primi attacchi che prendono di mira la popolazione siriana in Turchia. Attacchi simili si sono verificati nel luglio 2018 a Izmir e ad agosto 2021 ad Ankara, successive controversie tra persone turche e siriane si sono concluse con morti e feriti. 
È innegabile che i recenti attacchi di massa mostrino una pericolosa somiglianza ai passati crimini contro l’umanità avvenuti in Turchia, come il pogrom di Istanbul (1955), il massacro di Maraş (1978), e quello di Sivas (1993). Folle arrabbiate in marcia che lanciano insulti razzisti, incitano alla violenza, fanno irruzione nelle abitazioni, bruciano automobili, distruggono negozi arrivando infine a uccidere – sono questi i comuni denominatori dei crimini d’odio del passato e presente della Turchia. 
Per chi li ricorda, eventi del passato e del presente hanno altre somiglianze oltre il mero razzismo e la forza bruta. Questa è la ragione per cui tensioni razziali e violenza mettono in evidenza ancora una volta molte preoccupazioni per la sicurezza e il benessere delle persone siriane in Turchia.

Ai margini della società
Questi attacchi razzisti sono le conseguenze di un ampio tentativo di ricondurre la posizione socioeconomica dei rifugiati siriani a pariah, privati del loro diritto alla vita, alla sicurezza e alla dignità. Relegando le persone siriane ai margini della società, i perpetratori di questi crimini intendono mantenere una gerarchia in cui le persone rifugiate sono costantemente vulnerabili e sfruttabili. 
Abbandonati a un profondo senso di pericolo e soggiogazione, come i curdi, gli alevi, i greci e altre popolazioni prima, molte famiglie siriane sono già fuggite per la paura. Le persone rimaste conoscono “il proprio posto” in ogni aspetto della vita sociale. Comprendono che saranno escluse dagli spazi sociali, devono nascondere la loro identità e occupare il minor spazio possibile.  
Questa marginalizzazione è ulteriormente esacerbata dallo sfruttamento economico dei rifugiati siriani. A prescindere dalla loro educazione e dalle loro abilità, le persone siriane lavorano principalmente in settori in cui è richiesta manodopera intensiva come quello tessile, edile, agricolo e minerario. Le condizioni lavorative e salariali sono talmente pessime che nessun altro vuole lavorare in questi settori.
Nel giugno 2024 Ahmet, un ragazzino siriano di 12 anni, è morto in un ascensore nel laboratorio tessile in cui lavorava. È rimasto schiacciato tra l’ascensore e il muro. Successivamente è stato riportato che l’ascensore era rotto da tempo. 
Nel laboratorio tessile in cui lavorava il ragazzo un cartello spiega che i lavoratori sono assunti nell’ambito del “Progetto di sostegno all’impiego per i siriani sotto la protezione temporanea e per i cittadini della Turchia”. Questo significa che i lavoratori beneficiano di un sussidio nell’ambito di un progetto realizzato dal Ministero della famiglia, del lavoro e dei servizi sociali e dall’agenzia per l’impiego turca, diretto dalla Banca Mondiale e finanziato dall’Unione Europea.
Dopo l’incidente il cartello è stato rimosso con discrezione. Come Ahmet, molti bambini siriani sono sfruttati come forza lavoro minorile in luoghi di lavoro senza alcun controllo sulle regolamentazioni sulla salute e sulla sicurezza. 
L’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) afferma che oltre il 97% dei lavoratori siriani sono lavoratori informali. Vengono pagati ben al di sotto della soglia della povertà e sono privi di protezione sociale. La Turchia ha implementato un sistema per i permessi di lavoro per le persone rifugiate siriane nel 2016, ma i datori di lavoro, ai quali viene richiesto di coprire i costi connessi, sono raramente disposti a farlo. Costretti a lavorare in maniera informale, i lavoratori e le lavoratrici siriane restano vulnerabili a situazioni come salari non pagati, incidenti sul posto di lavoro o problemi occupazionali e non hanno mezzi per reclamare legalmente i propri diritti.
Con il peggioramento dell’economia turca, la disperazione dei siriani è stata sfruttata per sostenere le industrie in difficoltà. Questa dinamica economica crea un circolo vizioso in cui le persone siriane sono contemporaneamente necessarie e disturbanti. 
Un’altra ripercussione è l’ingente portata dell’arbitrarietà nei confronti delle persone rifugiate siriane. Il più significativo diritto garantito ai richiedenti asilo sotto protezione temporanea è il diritto di non-respingimento che proibisce il rimpatrio di persone in un paese in cui sono soggetti a persecuzione.
Tuttavia, stando ai dati di Human Rights Watch, le autorità turche hanno deportato oltre 57.000 persone siriane e altri individui tra gennaio e dicembre 2023, nonostante fossero in possesso di uno status protetto. La maggior parte di queste deportazioni sono state falsamente categorizzate come “rimpatri” o rientri “volontari”, minando l’essenza del principio di non-respingimento. Esiste una significante mancanza di monitoraggio e trasparenza in questi processi, cosa che permette ai perpetratori di crimini contro le persone siriane di agire impunemente. 

Le origini del discorso d’odio
Oggi il cittadino turco medio ritiene le persone rifugiate siriane e altre persone migranti responsabili di tutto ciò che va storto nel paese. Il discorso d’odio contro le persone siriane è su tutti i media. Non era così 12 anni fa. Col passare del tempo il sentimento anti-siriano è stato nutrito da inadeguate risposte internazionali, campagne di disinformazione, e interessi contraddittori dei partiti politici in Turchia.
Nel 2011 il governo turco ha annunciato una politica di porte aperte, accogliendo ogni persona siriana che fosse riuscita a raggiungere la Turchia. La decisione era fondata sul diritto internazionale e guidata da un approccio umanitario. Stando alla UNHCR il numero delle nuove persone rifugiate siriane registrate in Turchia, inclusi nuovi arrivi e nascite, era attorno a 140.000 nel 2012, 412.000 nel 2014, 881.000 nel 2015. Secondo l’International Rescue Committee, nel 2015, quasi un milione di rifugiati è arrivato in Unione Europea, mentre oltre 3.500 persone hanno tragicamente perso la vita nel compiere l’insidioso viaggio.
Nel marzo 2016, in seguito alla chiusura delle frontiere ufficiali in Macedonia, Croazia e Slovenia, la rotta balcanica è stata chiusa a persone rifugiate e migranti lasciando circa 54.000 individui, inclusi migliaia di siriani, intrappolati in Grecia. Sempre nel 2016 la Turchia ha cominciato a restringere in maniera consistente e spesso a chiudere le sue frontiere, lasciando dall’altra parte in campi improvvisati  numerosi siriani che cercavano disperatamente di entrare.
La crisi umanitaria è diventata una merce di scambio tra UE e Turchia. L’accordo tra Turchia e UE del 2016 ha ridotto la sicurezza della vita delle persone siriane in termini di profitto economico e questioni transnazionali. Secondo l’accordo la Turchia ha promesso di fare tutto il necessario per prevenire viaggi irregolari dal proprio territorio alle isole greche. Arrivi irregolari sulle isole potevano essere rispediti in Turchia. Per ogni persona irregolare siriana respinta gli stati membri dell’UE avrebbero accettato una persona siriana rifugiata proveniente dalla Turchia. In cambio la Turchia avrebbe ricevuto 6 miliardi di euro per migliorare le condizioni dei rifugiati e ai cittadini della Turchia sarebbe stato garantito un visto per viaggiare in Europa.
L’accordo ha creato nell’opinione pubblica turca l’idea che la Turchia sia posizionata come una zona di respingimento tra la grande ondata migratoria e i confini dell’UE. Un generale senso di risentimento nei confronti dell’occidente ha prevalso tra le persone turche. Esperti, giornalisti e personaggi pubblici che si sono espressi in sostegno dei diritti dei rifugiati sono stati bollati come “agenti di George Soros” o “cani dell’UE”.

Il governo turco ha sfruttato questo risentimento per legittimare la sua debole gestione e l’arbitrarietà del trattamento delle persone siriane, mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è dipinto come un salvatore nell’arena internazionale trascurando di affrontare le cause profonde dei disordini interni. Questo sviamento di responsabilità da parte sia dell’UE sia del governo turco è servito soltanto a esacerbare la condizione delle persone rifugiate siriane e a rafforzare le ostilità all’interno della società turca.
Dal 2016 le vulnerabilità della Turchia sono significativamente aumentate. Il fallito colpo di stato del 2016 ha decretato uno stato di emergenza durato due anni, durante il quale 125.678 funzionari governativi sono stati licenziati, e molti arrestati. La deriva autoritaria è accresciuta ulteriormente dopo che il sistema parlamentare è stato sostituito dal sistema presidenziale nel 2017, garantendo al presidente potere legislativo attraverso decreti e minando l’indipendenza della magistratura.
La pandemia di COVID-19 del 2020 ha acuito le vulnerabilità preesistenti. A causa del terremoto del 2023 sono morte oltre 50mila persone mentre 2,7 milioni sono state dislocate. La crisi economica in corso, cominciata nel 2018, ha portato a un record di svalutazione della lira turca e di inflazione. Con l’approfondirsi della crisi  la povertà è aumentata vertiginosamente e le condizioni di vita sono peggiorate per chiunque in Turchia.
Campagne di disinformazione si sono inizialmente concentrate sui cosiddetti “privilegi” spettanti alle persone rifugiate siriane, in particolare per quanto riguarda i sussidi. L’opinione pubblica è stata sviata circa la portata e l’applicazione dei sostegni forniti. Il governo ha fallito nell’informare accuratamente le persone. Tra novembre 2016 e dicembre 2023 coloro che soddisfacevano determinati criteri hanno ricevuto un sostegno economico nell’ambito della Rete di sicurezza sociale di emergenza (ESSN).
Nel 2023 la quota ammontava a 300 TL (14,60 EUR) al mese per persona. Tale sussidio era distribuito attraverso la Kızılay Card (Carta della Mezzaluna rossa), che permetteva di ritirare il denaro dagli sportelli della Banca Ziraat, dando l’illusione che il governo finanziasse quel sussidio. In realtà il fondo proveniva interamente dall’UE. Il programma dell’UE è terminato nel dicembre 2023 e le responsabilità sono state affidate alle autorità turche. 
Adesso le persone rifugiate siriane che soddisfano i criteri ricevono un sussidio mensile di  320 TL (6,32 EUR) a persona attraverso la Mezzaluna rossa turca, sempre finanziata dall’UE. Questo fatto è stato nascosto per rafforzare la narrazione basata su espressioni come “il nostro grande e forte stato”, “lo stato turco accoglie i musulmani”, e “lo stato turco è il protettore del Medio oriente”.
Di conseguenza i cittadini della Turchia credono che “i soldi derivanti dalle nostre tasse vengano spesi per le persone rifugiate”. La realtà tuttavia è che le persone rifugiate siriane ricevono un sussidio minimo, e la maggior parte di loro lavora al nero e sotto un grave sfruttamento.
Nel corso del tempo infinite campagne di disinformazione e propaganda sono diventate strumenti per accrescere tensioni razziali e dividere le comunità. Al punto che, dopo il terremoto del 2023, si sono diffuse fake news riguardanti persone siriane che saccheggiavano case e camion di aiuti umanitari. Come se sopravvivere al terremoto e soffrire per la perdita dei familiari non fosse abbastanza, persone siriane sono state torturate nelle zone colpite dal terremoto.
Prima delle elezioni politiche e presidenziali del 2023 i candidati dell’opposizione turca hanno utilizzato una retorica nazionalista e razzista per sfruttare la paura di una popolazione in preda alla crisi economica. Il panorama politico è diventato talmente sfocato che il leader del principale partito di opposizione CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, autoproclamatosi social democratico, è diventato un candidato presidenziale tenendo la sua campagna elettorale a fianco al leader di estrema destra Ümit Özdağ  con lo slogan “espellermo migranti e rifugiati”.
In risposta alle campagne dell’opposizione, Erdoğan ha assicurato il rimpatrio di un milione di persone siriane entro un anno, per quanto questa politica fosse ampiamente considerata irrealistica e illegale. Erdoğan ha vinto il ballottaggio elettorale con il 52,18 % dei voti mentre Kemal Kılıçdaroğlu ha raggiunto il 47,82%.
Durante le elezioni nessun partito politico si è espresso in favore dei diritti delle persone siriane, con entrambi gli estremi dello spettro politico che producevano disinformazione. La sinistra, specialmente il CHP di centro-sinistra, ha fallito enormemente, conducendo il suo elettorato in un grave dilemma morale. 

Un percorso dietro le politiche identitarie?
Sono passati esattamente dieci anni da quando lo status di protezione temporanea è stato garantito alle persone rifugiate siriane in Turchia. Tale status avrebbe dovuto fornire accesso alle cure sanitarie, all’educazione, al mercato del lavoro, all’assistenza sociale e ai servizi di interpretariato essendo garantito il non-respingimento. Appare evidente che il meccanismo in corso sta fallendo nel mantenere le sue promesse.
C’è una terribile necessità di muoversi oltre questo stato temporaneo prolungato e di sviluppare un chiaro percorso per il futuro, sia per la società turca sia per le persone rifugiate siriane. L’atmosfera attuale in Turchia non indica cosa il futuro ha in serbo per le persone siriane. Se deportate, molte persone rifugiate corrono il rischio di arresto al momento del rientro, e le condizioni generali in Siria rendono il ritorno impossibile per la maggior parte. Questo sottolinea l’assoluta necessità di politiche e soluzioni a lunga durata come conseguenza diretta.
Sebbene al momento politiche di integrazione durature e costruttive sembrano lontane dalla realtà, come popolazione della Turchia abbiamo la responsabilità di comprendere che esiste un immediato bisogno di cambiare drasticamente il nostro atteggiamento per lasciarci il passato alle spalle e smettere di essere i colpevoli. Nessuna soluzione può essere realizzata in questo clima di disinformazione, paura e sfruttamento.
Il bisogno di affrontare la condizione delle persone rifugiate in Turchia si estende oltre il mondo di poche élite politiche. È imperativo per il pubblico più ampio occuparsi di tale questione, per formare un’opinione pubblica ben informata che veda oltre la disinformazione e le politiche identitarie.
I cittadini e le cittadine turche devono prendersi la responsabilità di cercare informazioni accurate e sfidare le narrazioni xenofobe. Inoltre c’è un urgente bisogno di stabilire canali per il dialogo sia all’interno della Turchia sia con la comunità internazionale. È essenziale uno sforzo internazionale collaborativo per sviluppare soluzioni legalmente vincolate, sostenibili e umane.
Solo attraverso un approccio informato e combinato possiamo sperare di reimmaginare il progresso, la pace e la dignità in questa società. (Dila Hisarlı)

Traduzione dall’inglese di G. Ansaldo
Immagine di copertina di Zena El Abdalla

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