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Uğur Mumcu

Indagini scomode: in memoria di Uğur Mumcu

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Solo pochi giorni fa ricordavamo la figura di Hrant Dink, giornalista turco-armeno, fondatore di Agos, assassinato sotto la sede del suo giornale nel 2007. Sono purtroppo numerose le figure di intellettuali e giornalisti che hanno perso la vita in attentati mirati, delitti in molti casi rimasti irrisolti o impuniti. Oggi ricordiamo Uğur Mumcu, la cui memoria resta viva in Turchia a oltre trent’anni dalla sua morte.


Il 24 gennaio 1993 moriva, assassinato, Uğur Mumcu, instancabile giornalista e fervente sostenitore della moralità e dell’onestà. A trentun anni dalla sua tragica scomparsa, la sua eredità vive attraverso le pagine dei suoi scritti e l’ispirazione che ha lasciato a coloro che, come lui, cercano di portare alla luce le complesse trame soggiacenti ad eventi ambigui che avvengono ancora oggi nella repubblica turca.

Nato il 22 agosto 1942 a Kırşehir, Uğur Mumcu si distingue sin da giovane per la sua brillante intelligenza e la profonda consapevolezza delle questioni sociali. Dopo aver completato gli studi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ankara, inizia la sua carriera nel giornalismo scrivendo principalmente su quotidiani come Cumhuriyet, Yön, Kim e Milliyet.

La sua penna acuta e il suo impegno per la giustizia sociale lo rendono rapidamente una figura di spicco nel panorama giornalistico in Turchia. Mumcu emerge per la sua capacità di indagare e affrontare temi spinosi e sensibili, esponendo casi di corruzione, di violazioni dei diritti umani e di abusi di potere, anche quando ciò mette a rischio la sua sicurezza personale.

Nel 1974, Uğur Mumcu scrive due libri significativi: Suçlular ve Güçlüler (I colpevoli e i potenti) e Mobilya Dosyası (Dossier Mobili). Nel secondo libro, narra la storia di Yahya Demirel, nipote del Primo Ministro Süleyman Demirel, che era riuscito ad accumulare ricchezza attraverso l’esportazione di mobili, nonostante non avesse mai effettivamente esportato alcuna merce. Mumcu conia l’espressione “esportazione immaginaria”, che diventa un termine noto nel linguaggio politico e giornalistico.

Uğur Mumcu giornalistaIl 12 settembre 1980, la Turchia è scossa dal suo terzo colpo di stato in trent’anni: Uğur Mumcu si oppone apertamente ai golpisti, e nei suoi articoli esplora il legame tra le organizzazioni terroristiche e i trafficanti di armi. A partire dal 1983, si focalizza sul concetto di ‘stato profondo’, investigando i legami tra le istituzioni e le forze paramilitari, mafiose e persino clericali.

Da un quotidiano all’altro, Mumcu continua quindi a immergersi in controversie legate ad affari illeciti, che rivelano connessioni oscure tra potere politico ed interessi economici. Conduce inchieste sul ruolo dell’esercito nella politica, evidenziando le interferenze militari e la loro influenza sul destino della nazione; arriva anche ad affrontare il tema del terrorismo, attraverso l’analisi di reti estremiste islamiche e conseguenti minacce alla sicurezza nazionale. La sua dedizione verso i diritti umani emerge ancora nei suoi articoli che denunciano violazioni dei diritti fondamentali, mentre la sua ricerca sulle relazioni estere della Turchia sottolinea la complessità della politica internazionale. Mumcu diviene quindi un faro di verità: come dirà uno dei suoi più stretti collaboratori, “odorava di repubblica, di rivoluzione, di luce”.

A partire dal 1990, Uğur Mumcu si immerge nell’analisi dei movimenti ‘islamici e curdi’. Viaggia in Germania per intervistare Cemalettin Kaplan, un ex-giurisperito musulmano, con l’obiettivo di comprendere come avesse rapidamente guadagnato seguaci in tutto il Paese. Le sue indagini portano alla pubblicazione di “Tarikat-Siyaset-Ticaret” (Confraternite islamiche-Politica-Commercio), un’opera che possiamo considerare estremamente attuale. Nel contesto della crescente presenza dell’organizzazione armata PKK nella vita quotidiana turca, Mumcu negli ultimi anni della sua vita si focalizza sul traffico di armi, sull’influenza della CIA e del Mossad in Iraq e sui loro legami con figure locali, come Celal Talabani e Molla Mustafa Barzani. Arriva anche ad analizzare le fazioni turche e irachene dell’organizzazione terroristica Hezbollah, sospettando legami con i servizi segreti che potevano avere l’obiettivo di distruggere il PKK, descritto come un’organizzazione armata marxista e leninista.

Nel suo ultimo articolo, pubblicato l’8 gennaio 1993 sul quotidiano nazionale Cumhuriyet, Mumcu anticipa il suo futuro libro in cui avrebbe esaminato il rapporto tra i movimenti radicali-nazionalisti curdi e i servizi segreti turchi.

Il 24 gennaio 1993, la vita di Uğur Mumcu si interrompe quando una bomba, incastrata all’interno della sua autovettura, viene fatta esplodere davanti alla sua casa ad Ankara. Ha 51 anni, lascia una moglie e due figli. Le circostanze esatte della sua morte rimangono, ancora oggi, avvolte nel mistero, alimentando speculazioni ma anche richieste di giustizia.

La scomparsa di Mumcu ha rappresentato un duro colpo per la libertà di stampa e per la democrazia nel Paese. Tuttavia, il suo esempio continua a vivere oggi attraverso coloro che lottano per una società più equa e trasparente: numerosi giornalisti e attivisti si sono ispirati al suo coraggio, e portano avanti con dedizione la sua missione di smascherare corruzione e collusione e di difendere i diritti umani. Nel 1994, un anno dopo il tragico assassinio, la moglie Güldal Mumcu istituisce la fondazione um:ag (Uğur Mumcu Araştırmacı Gazetecilik Vakfı), che ancora oggi fa da perno nella prosecuzione della memoria di questo redattore.

Nel 2013, la Corte Penale di Ankara ha restituito ai familiari di Uğur Mumcu i resti dell’automobile coinvolta nella sua tragica morte. Tale decisione è stata presa in conseguenza alla chiusura delle indagini di quello che era diventato un cold case.  Dopo due decenni di processo, sono state individuate e arrestate tre persone coinvolte nella pianificazione e nell’esecuzione dell’attentato: questi individui facevano parte dell’organizzazione terroristica denominata Esercito di Tawhid-Salaam e Gerusalemme, e sono stati condannati a pene detentive comprese tra sei e quindici anni. Secondo l’avvocato Halil Sevinç, la giustizia è riuscita a identificare, catturare e condannare coloro che hanno materialmente compiuto l’omicidio di Mumcu, ma rimangono ancora oscuri eventuali loro legami con terze parti.

Oggi, mentre si commemora il trentunesimo anniversario della sua scomparsa, Uğur Mumcu rimane un simbolo di determinazione e di altruismo, una guida che continua ad accompagnare coloro che aspirano a un mondo in cui la lealtà trionfi sempre sulla menzogna, e la rettitudine sovrasti la prevaricazione.

“Come definiresti un giornalista? Chi è un giornalista, cosa fa? Qual è la sua funzione? Per giornalista si intende una persona che ha un’opinione su tutto e sa tutto? No. Come farebbe il giornalista a sapere tutto? Mi permetto di definirmi: un giornalista è una persona che raggiunge le notizie e le fonti di informazione nel modo più rapido e presenta ai lettori le informazioni e le notizie ottenute da queste fonti. Affinché un giornalista possa farlo, deve scrivere articoli basati su notizie, eventi, fatti, documenti e informazioni. Per questo, il giornalista deve essere una persona affidabile. Un giornalista è una persona che mantiene segreti, sa nascondere la fonte di notizie e informazioni e si assume il rischio di combattere contro governi e centri di potere quando necessario. Oggi c’è chi si nasconde dietro i cartellini gialli e “segue le gare” ai cancelli statali e ai comuni, guadagna miliardi con i prestiti ricevuti dalle banche, e froda i giornali e lo Stato con documenti falsi. Ci sono sia persone di questo tipo che persone di quell’altro che, come gli ‘impiegati mabeyn’ nell’Impero ottomano, impiegano il governo, le residenze e le ville in nome del giornalismo!”

–Uğur Mumcu su Milliyet, 3 maggio 1992

Articolo di Beatrice Andolfatto

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