Turchia, cultura e società

Orhan Pamuk racconta ‘Le notti della peste’

in Scritture

Nel mese di marzo 2021 è uscito in Turchia l’ultimo romanzo di Orhan Pamuk, Veba Geceleri (Le notti della peste). Vi proponiamo una lunga intervista al premio Nobel per la letteratura realizzata da Şeyda Öztürk e pubblicata sul giornale online gazete Duvar.  Questa la prima parte.


Le notti della peste è il nuovo romanzo di Orhan Pamuk pubblicato dalla casa editrice Yapı Kredi. L’autore ci racconta del periodo di stesura del romanzo, dei suoi riferimenti letterari e di cosa pensa dei romanzi che hanno come tema centrale l’epidemia. Secondo l’autore, “il linguaggio del romanzo storico non si esprime attraverso l’impiego di termini arcaici oppure maneggiando (il più delle volte in maniera maldestra) parole che nessuno conosce o che si conoscono a malapena. Al contrario, l’abilità consiste nel persuadere il lettore o la lettrice con l’uso di termini attuali che la storia ha luogo nel passato”.

Insieme a Pamuk, che nel frattempo ci svela che il suo prossimo romanzo sarà la storia di un artista passionale, abbiamo discorso delle letture svolte per Le notti della peste, della sua visione dell’arte narrativa e della funzione della lingua nel romanzo storico.

È noto che l’idea iniziale de Le notti della peste sia emersa nel periodo in cui scriveva La casa del silenzio, ovvero negli anni Ottanta. Come si è sviluppata questa idea in quarant’anni?

Selahattin Darvınoğlu, l’eroe enciclopedista de La casa del silenzio, assale di continuo sua moglie Fatma con rivelazioni, sogni e discorsi ricordandole ripetutamente due importanti temi: l’esistenza dell’individuo e la morte. Secondo Selahattin Darvınoğlu gli occidentali avrebbero scoperto l’essenza dell’essere nella paura della morte. In un primo momento anche io sognavo di scrivere un romanzo sulla peste in quanto si tratta di un tema connesso con la paura della morte a cui mi sarei avvicinato con un approccio esistenzialista. Ma in breve tempo tale impulso ha lasciato il posto a qualcos’altro. Dopo il 1985, insieme a Il castello bianco, è emersa la tematica dei “sogni orientali degli occidentali” di cui Edward Said parla nel suo libro Orientalismo… Numerosi osservatori occidentali – per primo Busbecq – affermano che i turchi non sono scappati dalla peste in quanto “deterministi”. Busbecq e altri intellettuali – come Daniel Defoe – reiterano questa visione stereotipata. Avevano ragione nel dire dei turchi-musulmani che “sono deterministi-fatalisti e non prendono precauzioni”? La risposta è si: avevano in parte ragione, ma non del tutto. Ma la cosa più importante è che non avevano abbastanza ragione quanto fortemente dicevano di averne. Mi attraeva questo argomento complesso, difficile, ma con un grande potenziale. Dopo essermi occupato di questo tema fino agli anni Duemila e dopo aver letto molti libri, è venuta a galla un’altra idea… Gli aspetti tecnici, sanitari, militari e ovviamente anche sociali della misura della quarantena. Pensando alla quarantena mi venivano in mente le proteste in molti luoghi. Questa volta hanno iniziato a essere per me intriganti l’opposizione alla quarantena, la trasformazione autoritaria dello Stato tramite una logica del terrore e tramite misure restrittive, la reazione e l’anarchia sorta contro tutto ciò.

Nel tentativo di estrapolare una mappa concettuale del periodo di formazione del romanzo, possiamo dire che la sua attenzione, partendo dal rapporto tra individuo e morte, si sia focalizzata sulla diversa percezione della morte in Occidente e in Oriente, o meglio sulla complessa attitudine occidentale nei confronti della morte e della malattia in Oriente. Più in generale assumono rilevanza le forme di governo della vita e della morte dei cittadini da parte dello Stato e le loro conseguenze politiche. Le notti della peste contiene tutto questo e altro ancora. Può essere interessante affrontare la relazione fra questo romanzo, che già solo per il titolo sarà recepito come un romanzo sull’epidemia, e i romanzi di argomento analogo per passare in rassegna i libri che hanno influenzato le sue idee. Quali di questi prenderebbe o ha preso in considerazione?

Distinguiamo tra la peste e le altre malattie… Ho letto con attenzione i romanzi sulla peste, mentre non mi sono interessato a quelli che hanno come soggetto altre epidemie. In primo luogo, ricordiamoci di questo: se pensiamo che l’arte del romanzo, così come si presenta allo stato attuale, ha preso forma intorno al 1850 ai tempi di Balzac e di Dickens, l’epidemia più diffusa dopo l’invenzione del romanzo è stata, per cinquant’anni, il colera. Tuttavia, compare sempre sullo sfondo. Così avviene nel romanzo L’amore ai tempi del colera di García Márquez… Lì il tema non è il colera, ma un amore ardente e la sua tenacia. Il colera è solo una delle occupazioni e delle numerose imprese del Dottor Urbino, uno dei personaggi principali. Questo romanzo è un romanzo storico… Lo scrittore non ha vissuto lo sgomento dell’epidemia e la paura della morte per colera. Il colera è nel titolo allo scopo di ricordare tutta una storia e un periodo.

Secondo lei uno scrittore è influenzato dall’epoca in cui scrive e, nel caso specifico, dalla narrativa sul vissuto dell’epidemia?

All’inizio, ad esempio quattro anni fa, non ci avevo proprio pensato… Perchè per me la peste apparteneva a una storia lontana, era qualcosa del passato che non si sarebbe più ripetuta. Non mi chiedevo “Perchè ne scrivi se non l’hai vissuto?”. Come un lettore che legge Guerra e pace di Tolstoj senza badare al fatto che si tratti in realtà di un romanzo storico, così neanche io mi ero reso conto di questa differenza. Leggevo i romanzi più famosi sulla peste, prestando attenzione proprio alle scene sulla peste. Tuttavia, non mi chiedevo molto se lo scrittore l’avesse o meno vissuta. La mia preoccupazione era quella di raccontare in maniera persuasiva la paura dell’epidemia e la quarantena.

Ha riflettuto sul fatto che la coincidenza tra l’ultima fase del periodo di stesura de Le notti della peste e la pandemia del coronavirus possa aver suscitare un qualcosa di diverso non tanto nella scrittura del romanzo, quanto nella sua ricezione? Come ha valutato questo ironico sincronismo?

Proprio all’inizio dell’epidemia mia zia, che abitava a 200 metri di distanza da me, si è ammalata ed è morta; questo avvenimento ha scosso tutta la famiglia e di conseguenza i miei tormenti letterari sono rimasti in secondo piano. La mia cara zia Gülgün Üstündağ è stata, soprattutto durante la mia infanzia, una persona che mi ha dimostrato tanto affetto e umanità, era un’amante dell’arte. La sua amicizia e il suo ruolo di zia sono stati molto importanti per me in gioventù. La notizia della sua malattia, giunta a me e alla mia famiglia proprio nel mese di marzo, quando l’epidemia in Turchia era appena iniziata, è stata accompagnata dai miei sentimenti di non accettazione di tale dolorosa perdita. Non siamo potuti andare neppure al funerale e abbiamo sofferto molto.

Condoglianze. Ha dichiarato che una delle principali differenze tra lei e gli altri autori che hanno scritto romanzi sulla peste è che ha vissuto in maniera diretta l’epidemia e la paura della morte. Dal suo punto di vista quali sono i più importanti romanzi inerenti alla peste?

Il testo più datato e famoso è il Diario dell’anno della peste di Daniel Defoe. In realtà non si tratta di un vero e proprio romanzo… Albert Camus ne è stato fortemente influenzato. Nel suo La peste, lo stile leggermente sarcastico – ironico – in un’atmosfera che menziona cose ordinarie trae origine da Defoe. Anni fa il romanziere Coetzee aveva richiamato l’attenzione sulla relazione Defoe-Camus in un articolo positivo sul romanzo di poco successo Nemesi di Philip Roth (il tema è la diffusione della poliomielite in una piccola cittadina americana). Tuttavia, a Camus non interessa ciò che invece preme a Defoe, ovvero l’aspetto sociale della peste. Egli racconta gli avvenimenti che hanno luogo in città ma il suo principale interesse e la sua attenzione sono rivolti alla questione morale, a come i protagonisti siano egoisti, altruisti, spaventati, eroici, solidali, filantropi o individualisti. Sulla scia di Diderot La peste di Camus è un romanzo morale. Nonostante questo suo interesse, Camus ricrea con successo l’atmosfera della città invasa dall’epidemia. Dopo La peste di Camus non è più possibile scrivere un romanzo sulla peste che inizia con la morte dei topi che sanguinano dalla bocca e dal naso.

Come si è rapportato a questi romanzi scrivendo Le notti della peste?

Dal momento che ho tentato di esimermi dal formulare un giudizio morale sui miei personaggi non sono stato influenzato da Camus. Ma nei primi anni della mia giovinezza ho letto con entusiasmo il suo romanzo nella traduzione di Oktay Akbal. Il libro presenta una struttura allegorica: la peste sono i nazisti… Le macchine che arrivano di notte in ospedale simboleggiano il trasferimento nei campi di concentramento di ebrei e oppositori. D’altra parte il libro, forse proprio per questa sua struttura allegorico-politica, non tocca argomenti quali i dettagli concreti della misura della quarantena, l’insubordinazione della popolazione, l’approvvigionamento della città e simili. La peste è scesa dal cielo sotto le sembianze di qualcosa di spaventoso!

Invece lei è molto più attento ai dettagli della vita quotidiana come i problemi della quarantena, i cordoni sanitari, l’alimentazione, il denaro.

Mi è sembrato negativo il “molto” che ha aggiunto…

No, non l’ho detto in maniera negativa. Penso che i dettagli della vita quotidiana, l’immaginazione visuale e le descrizioni rendano il racconto più profondo riportando le trasformazioni che avvengono sia nella vita sociale sia nella psicologia dei personaggi che in quella vita sono coinvolti.

Si, soprattutto raccontando la ricezione dei provvedimenti della quarantena pensavo che Le notti della peste potesse forse diventare un romanzo sullo Stato e la burocrazia. Ma volevo narrare la vita quotidiana nella città. Il mio obiettivo non era solo quello di presentare i deboli e gli eroi. Avevo in mente i cambiamenti della vita ordinaria, l’alimentazione, la vita sociale. Volevo vedere gli accadimenti attraverso gli occhi del “cittadino” più ordinario, delle persone non privilegiate… Ma racconto e costruisco un mondo in cui la percentuale di analfabetismo tra i musulmani è molto elevata. Avrei potuto scrivere tutt’al più qualche pagina guardando attraverso gli occhi di una persona che non crede all’esistenza dei microbi. È sempre così la stesura di un romanzo… è questione di prendere decisioni tattiche su chi racconta, dove, come, in che tempi e su come arrivare al punto profondo e più interessante degli eventi.

Come vengono prese queste decisioni tattiche? Come avviene in generale e come è avvenuto nello specifico per Le notti della peste?

Le decisioni di base si prendono quando il lavoro è ancora all’inizio. In un primo momento mi sono detto che avrei scritto un romanzo ambientato nel 1901 all’epoca della terza epidemia di peste in un’isola ottomana immaginaria. Ho maturato queste scelte in trentacinque anni. Poi la principale decisione sta nell’individuare i protagonisti, nello stabilire “il punto di vista” (secondo l’espressione di Henry James) attraverso il quale verrà osservata o raccontata la storia. I cambiamenti di decisione stancano lo scrittore e lo turbano…

In che senso?

Anche se sto pensando a questo romanzo da quarant’anni, è negli ultimi dieci che ho deciso che uno dei narratori sarebbe stato cieco. Tuttavia, durante il primo anno non sono riuscito a presentare in maniera convincente il mio personaggio cieco attraverso l’uso della prima persona. Nonostante mi fossi sforzato molto. Questo significa che la mia fatica di settimane, mesi è andata buttata. Per questo motivo il romanzo non progrediva. Poi ho rinunciato a questa acrobazia letteraria. La stesura di un romanzo rende necessaria anche la maturità di rinunciare a un’idea che non funziona e che non produce un buon risultato….

Parliamo un po’ di Manzoni e de I promessi sposi che ha ricordato nell’epigrafe de Le notti della peste.

I promessi sposi di Alessandro Manzoni è secondo me uno dei tre libri più importanti della storia che parlano della peste. Tuttavia, a differenza di quanto avviene in Defoe e Camus, ne I promessi sposi la peste non è l’unico tema. Alessandro Manzoni è un aristocratico italiano, come il conte Tolstoj, e quaranta anni prima di lui ha voluto scrivere il romanzo epico nazionale del proprio paese – l’Italia – e lo ha fatto con successo. Oggi tutti gli italiani conoscono il nome di Manzoni. Ricordiamo che il Grand Hotel di Milano, in cui il protagonista de Il museo dell’innocenza Kemal Basmacı muore, si trova nel centro della città in Via Manzoni. Dal momento che in Italia il romanzo viene fatto leggere obbligatoriamente nei licei e nelle scuole, ho incontrato molti italiani che non apprezzano Manzoni, un po’ come i russi che odiano Dostoevskij. Ma persino loro hanno letto le parti del romanzo (30-40 pagine) che narrano l’epidemia della peste. Quello che mi entusiasma in Manzoni è il racconto di argomenti come la quarantena, l’isolamento, lo Stato e i politici, che non interessano a Camus ma interessano a Defoe. Cosa ancora più importante è la sua lettura di testimonianze antiche e di documenti storici.

Si, le avrei domandato proprio questo. Lei cosa ha letto?

Così come Manzoni e gli storici ho letto anch’io del materiale proveniente da fonti di prima mano. Ma non voglio esagerare. Ad esempio, i resoconti degli ispettori sanitari inglesi… Quando la peste è iniziata a dilagare nella zona di Bombay, colonia indiana, numerosi dottori inglesi si sono recati lì. In seguito, giungono anche gli ispettori sanitari e scrivono resoconti con l’obiettivo informare Londra sull’efficacia o meno della quarantena. È possibile trovare su internet questi resoconti annuali. In India è addirittura possibile farli rilegare a poco prezzo e farseli spedire in Turchia. Ne ho letti molti. Si viene così a conoscenza di come nel territorio, cioè sia nel centro della città che nelle zone rurali, la peste si sia diffusa di casa in casa e di villaggio in villaggio e di quali siano state le conseguenze delle misure cautelari e la reazione della popolazione. In questi libri trovano posto le precauzioni, i dettagli delle decisioni governative, il comportamento della popolazione, delle “donne autoctone” e dei religiosi, la nascita e le azioni di diversi comitati e commissioni. La stessa cosa accade nella Firenze del Rinascimento. Mi sono detto che la cosa migliore era leggere i rapporti degli ispettori medici e capire com’era vivere in una epidemia di peste. Non c’era ancora la pandemia del coronavirus. Ho letto molti volumi intitolati Peste 1896-1897-98 eccetera raccolti alla fine degli anni 1890 dalla burocrazia inglese in India chiamata “Indian Civil Service”. Sfogliando a caso le copie di questi rapporti appuntavo in un angolo della mia testa o sul quaderno molteplici avvenimenti, storie e soprattutto minuzie mediche. Tuttavia, mentre lo facevo, non ho mai dimenticato come alla fine di una lunga riunione del Comitato della Quarantena di Minger, il capo della comunità greco-ortodossa, lo stimato patriarca Konstantinos della chiesa Aya Triada, abbia detto “signore, la nostra isola di Minger non è mica l’India”. La questione era immaginare come questi fatti medici e sociali si sarebbero sviluppati nel Mediterraneo Orientale. Leggendo questi resoconti inglesi pensavo di avere in realtà molto più materiale e fonti a disposizione di quelle di Daniel Defoe (lui aveva in mano solo il diario dello zio). La mia critica fondamentale a La peste di Camus era proprio il non essersi per nulla occupato di questo genere di resoconti e dei dettagli sulla quarantena. Per come la vedo io il principale sviluppo politico deriva dalla quarantena. Invece ciò che è politico in Camus è il fatto che la peste si collochi al posto dell’occupazione nazista.

Cosa ha letto riguardo le epidemie in Turchia?

La terza pandemia aveva colpito Dikili, nella provincia di İzmir, nel 1900. Il governatore di questa regione era il cipriota Kâmil Paşa. Ho fatto ricerche su ciò che è stato scritto su come si è affrontata l’epidemia e sui particolari delle misure della quarantena di Izmir… D’altronde i protagonisti del mio romanzo parlano esplicitamente di questi episodi.

Un’altra cosa che mi ha incuriosita sono le cifre che ha inserito nel romanzo. Anche Mîna Mingerli [protagonista del romanzo, ndt] essendone consapevole, forse è inquieta. Di punto in bianco abbandona la narrazione del racconto e comunica quanti dottori o uffici postali ci sono nel 1901 nell’Impero Ottomano, fornisce informazioni.

Non ho scritto quelle cifre in modo sistemico ma come mi sentivo di fare, in un’atmosfera letteraria e quasi poetica. Mettevo a confronto la popolazione dell’Impero Ottomano con quella della Germania e della Russia… I dati erano giusti. Tanto bastava a rendere l’idea. Non c’era bisogno dell’Inghilterra o della Francia. Confrontavo queste cifre nei libri di Kemal Karpat, negli annuari, in molteplici articoli e scritti, e le appuntavo. Mi sono sforzato di appropriarmi di quei numeri e di quelle statistiche per inserirli nella narrazione.

Come?

Il 21 luglio 1905, in occasione della parata del venerdì in onore del sultano Abdülhamid esplose una bomba davanti alla moschea di Yıldız. Abdülhamid tuttavia si salvò e, stando alle dichiarazioni ufficiali, 26 persone persero la vita e 56 restarono ferite. Questo episodio viene menzionato nella parte finale de Le notti della peste. Uno storico deve chiedersi se queste cifre ufficiali siano esatte. Non dovrebbe inserirle nel proprio libro così come sono. Uno scrittore ha il diritto di pensarci ancora di più. Forse sono stati celati uno o due morti – magari perché lavoravano per gli attentatori… I feriti invece erano molti di più. Molte persone sono rimaste ferite ma per maggiore prudenza non sono state registrate in quanto “feriti”, forse non sono andate nemmeno in ospedale. Nel romanzo ho aumentato un po’ il numero dei feriti. Poi me la sono cavata dicendo “numerose persone”.

Invece i nomi delle imbarcazioni, le navi da guerra, la situazione nel mondo?

Anche riguardo a questi argomenti avevo a disposizione svariati libri che pur non essendo fonti di prima mano mi piaceva confrontare e leggere. Uno dei più interessanti è The Statesman’s Yearbook, redatto nel 1900 dallo Stato inglese. Questi annuari, che venivano distribuiti a deputati o a dignitari, raccontano con cifre dettagliate gli avvenimenti di un dato giorno riguardanti la politica, l’economia, la demografia e l’esercito di tutti gli stati mondiali. In quei volumi potete leggere la situazione della Flotta Ottomana in un determinato giorno, ad esempio il fatto che i nuovi cannoni della nave da guerra Hamidiye, costruita nel 1885, ancora non erano stati installati con successo, e numerose informazioni interessanti ottenute dalle spie come l’installazione dei cannoni Krupp per l’assalto a Mahmudiye, Orhaniye e Osmaniye. Ho beneficiato di questi annuari per far rivivere davanti ai miei occhi la situazione mondiale.

E i diari?

Le memorie di alcuni governatori, pascià e ministri ottomani appartenenti alla generazione di Sami Paşa del romanzo sono state pubblicate dalla famosa casa editrice Türkiye Yayınları durante la Seconda Guerra Mondiale in una serie di volumi dal titolo Canlı Tarihler (Le Storie Viventi). Leggendo queste memorie, la maggior parte delle quali non sono neppure ristampate, ho provato ad immaginarmi il mondo materiale e immateriale dei burocrati ottomani. Ebubekir Hazım Tepeyran, scrittore del romanzo Küçük Paşa che gli storici della letteratura vedono come uno dei romanzi in turco più importanti, fu un governatore ottomano molto intelligente che scrisse le sue memorie. I suoi racconti sui consoli e i marinai a Dedeağaç, dove era governatore di provincia, hanno messo in moto la mia forza immaginativa. Filizten, che è la principale testimone dei 28 anni di prigionia di Murat V e della sua famiglia nell’edificio che più tardi sarebbe diventato il Liceo Femminile di Beşiktaş, raccontò le sue memorie allo storico Ziya Şakir. Gli storici sono concordi nell’affermare che quel diario racconti “la verità”.

[Fine prima parte. Continua qui.]


Traduzione dal turco di Irene Cazzato.

Le illustrazioni del romanzo sono state disegnate e pubblicate dall’autore stesso. 

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