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Terremoto / Un patrimonio vivente: “Antakya è di chi la vive”

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“Ma Rihna, Nehna Hon!” Non ce ne siamo andati, siamo qui: lo slogan, nel dialetto arabo locale, riassume la lotta degli abitanti di Antakya iniziata in seguito ai terremoti che hanno devastato la regione tra Turchia e Siria a febbraio 2023. Si calcola che circa l’85% della città sia stata rasa al suolo o resa inagibile, e una percentuale analoga della popolazione è sfollata.

L’antica Antiochia, capoluogo della provincia dell’Hatay, una città con oltre due millenni di storia, è un centro multiculturale con una popolazione eterogenea composta da minoranze etniche e religiose. Per decenni è stata oggetto di politiche assimilazioniste da parte dello stato turco, e oggi molti degli abitanti temono che il governo non si lascerà sfuggire l’occasione per sfruttare la ricostruzione e mettere le mani sulla città.

Molte delle aree più colpite sono aree a maggioranza araba alevita: in alcuni di questi distretti, Erdoğan alle ultime elezioni non ha raggiunto neanche il 10%. Per giorni interi, subito dopo il sisma, qui non è arrivata neanche una scavatrice e il sistema di aiuti organizzato dalle diverse associazioni della società civile è stato in molti casi ostacolato. A nove mesi dal disastro, è opinione comune che Antakya sia stata volutamente lasciata indietro: una strategia di abbandono calcolato e spopolamento forzato che la segretaria dell’HEDEP (ex HDP), Tülay Hatımoğulları, ha denunciato anche in parlamento.

Per molti, la ricostruzione a guida governativa è una seconda catastrofe. Nella città vecchia, le ruspe stanno distruggendo centinaia di edifici storici che andrebbero catalogati e ricostruiti. Il rischio concreto è che il rifacimento del centro storico, oltre a infrangere tutti i principi del restauro, trasformi quello che era un vivace quartiere popolare in una destinazione turistica museificata. Per alloggiare gli abitanti, il governo sta già costruendo nuovi quartieri dormitorio satellite e ospedali suburbani, senza nemmeno attendere il completamento del masterplan, affidato dall’esecutivo stesso a uno studio di architettura di Istanbul.

Oltre a prendere di mira esclusivamente i terreni di villaggi aleviti, questa cementificazione sta devastando aree agricole di grande valore paesaggistico già sconvolte dall’esplosione di città container, tendopoli e insediamenti temporanei e dallo scarico di tonnellate di macerie tossiche derivanti dalle demolizioni. Nel frattempo, la mancanza di servizi di base e di prospettive spinge molte persone ad andarsene. Ma allo stesso tempo è forte anche la determinazione a restare, come dimostra il numero di piattaforme civiche e iniziative di solidarietà emerse negli ultimi mesi.

Come ricostruire il patrimonio vivente della città, con i suoi abitanti e le sue comunità? La Camera degli Architetti di Hatay, Herkes İçin Mimarlık (Architettura per Tutti) e Architecture Sans Frontières–UK stanno tentando di dare una prima risposta con un forum aperto di due giorni che si terrà a Antakya il 18 e 19 novembre.

Il forum sarà uno spazio di incontro e dialogo tra varie organizzazioni di base e della società civile che sono già attive a Antakya nella ricostruzione. Tra queste, Deprem Dayanışması (Solidarietà per il Terremoto), Kolektif Koordinasyon (Coordinamento Collettivo), Hatay Ekoloji Platformu (Piattaforma Ecologista di Hatay), Geri Döneceğiz Hatay (Torneremo, Hatay), Nehna (in arabo, “Noi”) e Antakya Kentsel Sit Girişimi (Iniziativa di Protezione Urbana di Antakya).

Il forum si prefigge l’obiettivo di pubblicare un “Dichiarazione Collettiva sul Patrimonio Vivente di Antakya” come punto di partenza per una coalizione civica che, dal basso, possa contribuire a una ricostruzione inclusiva e che metta gli abitanti di Antakya al centro della rinascita della città.

È possibile contribuire a questa iniziativa anche a distanza, grazie a un crowdfunding lanciato dagli enti organizzatori per sostenere le spese del forum e della divulgazione dei suoi risultati.

Il crowdfunding è disponibile qui.

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