Turchia, cultura e società

Il ritorno dei Moğollar, leggende dell’Anadolu Rock

in Suoni

I mongoli sono tornati. Cioè, il leggendario gruppo rock turco Moğollar è tornato con il suo ultimo album. Per celebrare i 53 anni dalla formazione della band è appena uscito “Anatolian Sun”. Il doppio album presenta brani di vari periodi della carriera dei Moğollar, dai brani strumentali degli anni ’60 che combinano le melodie anatoliche con chitarre elettriche, agli inni di protesta degli anni ’90. Anatolian Sun ricorda agli ascoltatori perché questa band è stata così influente in Turchia. In un momento in cui la “musica psichedelica turca” è di gran moda, si spera che l’album consolidi anche la loro reputazione a livello internazionale.

Il gruppo Moğollar è stato fondato nel 1967 dal chitarrista Cahit Berkay, dal cantante Aziz Azmet, dal tastierista Murat Ses, dal bassista Hasan Sel e dal batterista Engin Yörükoğlu. La band divenne nota per la prima volta nel 1968, quando vinse il terzo posto al concorso Golden Microphone, un importante concorso musicale organizzato dal quotidiano Hürriyet, durante il quale giovani musicisti erano incoraggiati a competere nel “dare una nuova direzione alla musica turca sfruttando le ricche tecniche e le forme della musica occidentale”. Tra gli altri, Mavi Işıklar, Fikret Kızılok e Cem Karaca raggiunsero la popolarità per la prima volta grazie alle cover rock’n’roll di canzoni popolari anatoliche eseguite durante il Golden Microphone. Con canzoni come “Kaleden Şahin Uçurdum”, i Moğollar hanno indicato la strada per una nuova sintesi tra la musica tradizionale turca e lo stile controculturale globale. La band ha continuato a sviluppare questo genere fino al 1976 per poi riunirsi con una nuova formazione nel 1993, continuando da allora in avanti a registrare e suonare in vari concerti.

È stato il bassista dei Μoğollar, Taner Öngür, a dare il nome di “Anadolu Pop” a questo nuovo genere che combina la musica popolare turca e quella occidentale. Öngür ha coniato il termine nel 1969 dopo che la band intraprese un lungo tour in Anatolia durante il quale musicisti dai capelli lunghi si esibirono in villaggi e piccole città, acquistando strumenti locali e recuperando canzoni popolari regionali. Con la loro musica, i Moğollar hanno dimostrato che la musica turca andava oltre Istanbul e Ankara. La fonte della loro creatività era infatti la campagna. Sebbene la musica debba essere nutrita dalla tradizione, non è necessario che ne sia vincolata. In uno slogan popolare degli anni ’60 e ’70, la band ha dimostrato che la località era la chiave dell’universalità: è solo onorando la specificità del luogo da cui vieni che puoi creare un’arte di rilevanza potenzialmente universale.

Il fascino globale, da Chicago a Stoccolma, dei musicisti Anadolu Pop come Selda Bağcan e Erkin Koray dimostra quanto fosse accurata questa scommessa sull’universalità. Infatti, nuovi artisti come Gaye Su Akyol e Altın Gün devono la loro popolarità alla smania del pubblico internazionale per ciò che viene chiamato “Psichedelico Anatolico”. Tuttavia, nonostante gli importanti contributi dei Moğollar a questo genere e le loro collaborazioni con cantanti leggendari come Cem Karaca e Barış Manço, la band non è ancora molto conosciuta al di fuori della Turchia. Anatolian Sun è pronto per cambiare tutto questo.

Il nome inglese dell’ultimo album del gruppo Moğollar mostra come sia stato concepito per il pubblico internazionale. Anatolian Sun è stato infatti lanciato da una collaborazione tra Gülbaba Records e l’etichetta britannica-olandese Night Dreamer. L’album è stato registrato nella città olandese di Haarlem all’Artone Studio utilizzando una tecnologia d’avanguardia di registrazione diretta su disco, una forma di registrazione analogica che richiede ai musicisti di suonare dal vivo, invece che editare e montare in un secondo momento. Questo sistema di registrare ricorda la tecnologia usata da Moğollar per incidere le loro prime canzoni e indica un ritorno d’interesse per le tecniche di registrazione autentiche e essenziali, mostrando inoltre la forza dei Moğollar come complesso performante. Per realizzare questo tipo di impresa occorrono infatti musicisti che si conoscano intimamente, e che conoscano i propri limiti e i propri punti di forza. Ascoltando l’album, si riconosce non solo il talento individuale dei musicisti, ma quello di una vera collettività musicale.

Le canzoni selezionate per l’album raccontano una storia. Provengono da varie fasi della carriera della band, sia d’esordio che tarde. Il gruppo ha cercato di preservare lo spirito della versione originale di ogni canzone, mettendo in evidenza nuovi elementi. Uno dei brani più potenti è anche uno dei più vecchi: Iklığ. Il titolo della canzone deriva da uno strumento dell’Anatolia a doppia corda pizzicata che la band ha scoperto durante uno dei primi tour nelle campagne. La canzone quando uscì nel 1971 fu rivoluzionaria, mettendo in mostra sia l’abilità di Cahit Berkay come strumentista sia la disinvolta combinazione di tradizione e sperimentalismo della band. 49 anni dopo, Iklığ ha ancora un forte impatto e nella nuova registrazione mostra i suoi lati più dark e rasenta un ritmo simile alla trance.

Un’altra traccia di spicco è Gel Gel, originariamente eseguita dai Moğollar insieme a Cem Karaca nel 1973. Nella nuova versione è cantata da Emrah Karaca, figlio di Cem e cantante dei Moğollar. Nell’esecuzione di questa canzone cantata da suo padre e dedicata a sua madre, Emrah crea un legame da generazione a generazione e dal passato al presente.

Ölüler Altın Takar Mı? è una canzone della manifestazione più esplicitamente politica dei Moğollar negli anni ’90. Questa critica all’avidità e alla distruzione ambientale era rilevante tre decenni fa come lo è adesso, soprattutto quando gli attivisti ambientali cercano di difendere Kaz Dağları (Monte Ida) dalle miniere a cielo aperto con lisciviazione di cianuro per l’estrazione dell’oro.

Altri punti salienti dell’album includono la traccia strumentale jazzata Haliç’te Güneşin Batışı e la canzone della narrativa tradizionale Alageyik Destanı, che la band ha registrato più volte dagli anni ’70 ad oggi, ogni volta utilizzando una strumentazione diversa per far emergere diverse emozioni in questa storia dall’epilogo drammatico di un cacciatore di cervi. L’unico aspetto della carriera dei Moğollar che non è stato rappresentato nell’album sono le canzoni originariamente eseguite dal cantante defunto Aziz Azmet. Questo progetto retrospettivo sarebbe stato arricchito da nuove versioni di fondamentali del Pop Anatolico come Garip Çoban e Dağ ve Çocuk.

Ci vuole non solo un serio talento, ma anche una grande forza di convinzione per sostenere un progetto musicale per mezzo secolo. I Moğollar sono stimolanti e provocatori oggi come lo erano negli anni ’60. Questo è il segno di una band di statura non solo locale, ma mondiale.


Questo articolo, firmato Kenan Behzat Sharpe, è apparso originariamente in inglese sul giornale online Duvarenglish.

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