Turchia, cultura e società

L’Asino morto – Prima lettera

in Racconto/Scritture

Un racconto di Aziz Nesin

Prima Lettera
(Quella in cui l’Asino Morto racconta com’è passato a miglior vita)

Mia amata Moglie Asina,
sarai sorpresa di ricevere questa lettera. “Lo credevamo morto, da quale fienile salta fuori adesso?”, ti chiederai sconcertata.
Non ti preoccupare, sono a Tahtalıköy.
È da lì che ti scrivo.
Tutti i grandi del passato, i personaggi più famosi, i notabili di un tempo, sono tutti qui. E io sono tra loro. Se ti stai disperando dicendo: “Guarda un po’, si vede che non abbiamo saputo dargli la giusta importanza da vivo!”, fai bene.
Ricordi il proverbio “A chi muore cieco, vien detto che aveva occhi stupendi”? Ecco, qui a Tahtaliköy ho visto rinascere la speranza di tutti quei ciechi il cui valore non era stato riconosciuto in quel mondo maledetto.
Io non riuscivo nemmeno a vedermi la punta del naso ma dopo la mia morte ho sentito tanti complimenti fatti nei miei confronti: “Che begli occhi! Sembravano dipinti” oppure “Aveva proprio uno sguardo intenso”.
Pensare ai dispiaceri passati è tempo perso. Quando morirai scriveranno anche per te, sui giornali, “Lascia un vuoto incolmabile”.
In vita i prepotenti si prendono tutto lo spazio dei poveri, non ci lasciano nemmeno un piccolo angolo, ma non si sa come, quando passiamo a miglior vita, improvvisamente il nostro spazio sembra loro “incolmabile”.
Quando morirai, anche tu vivrai nel cuore di chi rimane. Il tuo posto a Tahtalıköy sarà il Paradiso degli Asini. Un fratello asino, un altro di quelli che in vita non avevano posto dove stare ma il cui vuoto è diventato incolmabile dopo la morte, mi ha raccontato questa vicenda.
Era una giornata molto calda. Sulla schiena dell’asino gravavano carichi molto pesanti. Affannando e arrancando sotto quei pesi, a un certo punto, camminando, finì su una spiaggia.
Mentre passava davanti a una villa in riva al mare vide un asino cicciotto e ben curato che se ne stava su una sdraio sul balcone. In mano teneva un bicchiere che all’esterno sudava il ghiaccio al suo interno e, sorseggiando la sua bibita,  sfumacchiava un sigaro.
L’asino che soffocava dal caldo sotto quei pesi si fermò ad osservare l’altro che si godeva la sua bevuta al balcone della villa, cullato da una leggera brezza.
– A questo mondo vivi tu, e vivo anche io… commentò il primo.
L’asino al balcone rispose:
– Sì, a questo mondo vivi tu, vivo io… Ma tu vivi così e io… cosà!
A Tahtalıköy non esistono uffici né impiegati pubblici, quindi tutte le operazioni si svolgono con estrema velocità. Non esistono nemmeno istituzioni appositamente elaborate per far impazzire le persone in attesa, come la posta. Se una persona a Tahtalıköy vuole scrivere una lettera a qualcuno sulla terra, le cose che vorrebbe dirgli si materializzano immediatamente nei pensieri del destinatario.
Ed ecco che avrai già percepito tutte le cose che voglio scriverti in questa lettera.
Mia amata moglie asina, in questa lettera ti racconterò come sono morto.
Forse le mie parole potranno aiutarti in futuro, se dovessi trovarti in pericolo di morte o sul punto di soffocare.
Stammi a sentire!
Sono morto, c’è poco da aggiungere.
Ma non come quelli che nelle torride giornate d’estate, affondando il cucchiaino nella composta di frutta sospirano: “Ah, sono proprio morto…”…io sono morto veramente!
“Non si scherza con la morte” mi dirai. La vita di quelli come noi è già una presa in giro, figurati la morte.
Solo due persone mi rimpiangono: Vasil e Vedat. Ad uno devo 500, all’altro 100 lire. Chissà quanto si sono dispiaciuti, sono morto senza saldare i debiti. Invece di morire poco a poco ogni volta che li vedevo, cioè invece di ripagarli cedendo l’anima a rate, ho deciso di morire tutto d’un colpo.
Inizialmente avevo pianificato di morire a casa. Poi ci ho pensato bene, ho pensato che chi fosse passato di lì mi avrebbe visto in tutta la mia disgrazia, sarei diventato un buffone agli occhi di tutti, quindi ho cambiato idea.
Non ho mai vissuto in villeggiatura d’estate o in un rifugio d’inverno, e a un certo punto ho pensato che almeno in quel caldo sarei voluto morire in una di quelle villette estive che non avevo mai frequentato. Come quei gatti dal fare aristocratico che non vogliono farsi vedere nel momento in cui passano a miglior vita, me ne sono andato verso un luogo lontano, all’aria aperta e con una bella vista.
Prima di morire mi sono chiesto: “Qual è il tuo ultimo desiderio? Dai, dillo!”
Dentro di me una voce ha risposto “Vivere!”.
“Pensaci bene”, mi sono detto, “questa domanda viene posta di diritto ai condannati a morte! Non fare capricci e pensa ad un desiderio adatto a te e realizzabile”.
La voce dentro di me, come uscita da una caverna, gridò ancora: “Vivere!”
“Zitto! Questa tua volontà viola le leggi, implica la dominazione di una classe sull’altra, è uno dei reati più gravi tra quelli sanciti dal codice penale.”
Non appena la voce che avevo dentro si fu calmata:
“Hai vissuto tutti questi anni come una mosca sulla coda di un cavallo, cos’hai trovato in questo mondo, eh, cretino?”
Ho chiuso gli occhi. Sono passato a miglior vita, ho iniziato il mio eterno riposo.
Mi ero disteso su un muretto. Un passante mi dette un calcio e non vedendo la benché minima reazione cominciò a rovistarmi dalla testa ai piedi. Mentre mi svuotava le tasche sentii un po’ di solletico ma essendo morto non emisi alcun suono. Non poté trovarci dei soldi. Non trovando nemmeno oggetti utili come un orologio, una penna stilografica, un anello, un coltellino, mi sputò in faccia. E fu anche magnanimo, avrebbe potuto fare di peggio.
“È morto un tizio per strada, ma non sembrerebbe un uomo!”
Disse rivolgendosi a un altro passante. Chiamarono la polizia.
“Non ha niente addosso, non possiamo identificarlo” disse l’uomo che mi aveva rovistato le tasche.
“Eh, aspetta, adesso lo capisco io chi è questo”.
“Come farete, se non ha la carta di identità?”
“Non ci portiamo dietro questi strumenti per niente. Sappiamo trasformare il vento in nebbia e i torrenti in vento” rispose il poliziotto mostrando la pistola e il numero di servizio.
“Ma come farete?”
“Lo farò parlare”
“Ma se è morto… I morti parlano?”
“Questo è un segreto professionale… Tutti sono bravi a fare parlare i vivi, io ti farò vedere come si fanno parlare i morti. Siamo così bravi che non facciamo parlare soltanto i morti ma persino le lastre tombali – e le facciamo cantare così bene che sembra recitino dei versi!”
Cercando di qua e di là trovarono le poesie d’amore che avevo scritto alla ragazza di Fatih e all’insegnante di Bursa.
“Hai capito? Questo qui era un poeta… Quando i poeti iniziano a parlare nemmeno sette poliziotti riescono a zittirli!”
I poliziotti presero i miei versi e se ne andarono. Un buon uomo che passava di lì gli chiese perché mi lasciavano così, sulla strada.
“Quella che chiamano poesia, non se ne viene fuori, è una cosa complicata”, disse, “le nuove poesie, essendo scritte in un linguaggio cifrato, non le capisce né chi legge né chi ascolta, è per questo che da noi a leggere poesie sono soprattutto quelli della polizia politica. Vado a portare questi versi nel loro dipartimento, forse troveranno gli indizi di un reato.”
Loro se ne andarono e io rimasi là, in mezzo alla strada.
Ecco qui cara moglie asina, è così che sono morto. Ma non finisce qui!
Pensi forse che morire sia un affare semplice? Macché! Ricordati questo: chi muore da un giorno all’altro si pente d’esser morto tanto quanto in vita era pentito d’esser nato. Ormai il mondo è arrivato ad un punto tale per cui se vivi non ti lasciano vivere, se muori non ti lasciano morire in pace…
Nella prossima lettera ti racconterò ciò che ho subito dopo la morte. Se qualcuno chiama chiedendo di me, ti prego di mandargli i miei saluti. Anzi, ora che ci penso, mi raccomando: non dire dove mi trovo!
Tra quelli che chiederanno di me ce n’è uno – e lo conosci bene – che per recuperare i suoi crediti sarebbe capace di morire per venirli a riscuotere! Non mi lascerebbe riposare tranquillo nemmeno ora che sono morto. Non dire a tutti che fine ho fatto.
Ti bacio,
Il tuo caro Asino Morto.

 

Trad. di Emanuela Pergolizzi

 

Prima lettera è il primo brano del libro Ölmüş Eşek (L’Asino Morto) di Aziz Nesin pubblicato per la prima volta nel 1957.

Diritti riservati per la traduzione italiana, ©Kaleydoskop, 2018 (su concessione della Nesin Vakfi.)

 

Nato a Heybeliada alla fine dell’impero ottomano, Aziz Nesin (1915 – 1995) è uno scrittore importante e prolifico e si è occupato moltissimo anche di letteratura per l’infanzia. Al centro del suo lavoro di letterato spiccano l’attenzione per la società, per l’oppressione dei più deboli, la ridicolizzazione della burocrazia. Nonostante sia uno dei titoli meno conosciuti, in questa raccolta di lettere dal paradiso degli asini è espressa tutta l’amara ironia e la critica sociale che contraddistingue il lavoro dello scrittore. Dal 1972 la Fondazione Nesin da lui istituita si occupa dell’educazione di bambini orfani.

Illustrazione di copertina di ©Disegni Panici per Kaleydoskop.

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