Turchia, cultura e società

Le notti queer di Beyoğlu (2^ parte)

in Società/Spazi

Seconda parte dell’intervista a M. Deniz Deniz sulla lotta LGBTI+ dalla prima marcia del Pride fino a oggi. Per la prima parte vedi qui


Quando sei arrivato a Istanbul per la prima volta? Perché ti sei iniziato a schierare a Beyoğlu?
Io sono di Hatay/Antakya. Nel 1998-99, mentre studiavo coltivazione in serra all’Università Mustafa Kemal, sono stato espulso dalla scuola perché avevo firmato una campagna per l’istruzione in lingua materna e mi ero rifiutato di ritirarla. Il motivo per cui studiavo coltivazione in serra era perché volevo entrare in un’organizzazione politica. Ero entrato all’università tanto per entrare. Ero all’interno di un’organizzazione, ma dopo un po’ me ne sono andato. Allo stesso tempo mi interessava il teatro, avevamo fondato l’Hatay İlk Adım Tiyatrosu.

Quando e come hai iniziato a interessarti al teatro?
Ho sempre dovuto reprimere la mia identità sessuale sia nell’organizzazione politica di cui facevo parte, sia a Antakya, sia nella mia famiglia. In realtà posso dire che la sinistra, il teatro e tutto il resto erano un modo per cercare di vivere la mia identità sessuale. Il fatto che in tutte queste situazioni tali questioni venissero ignorate l’ho scoperto solamente anni dopo. Perché non ti colpiscono direttamente. Non ti chiamano “frocio”, ti dicono di essere un entel [un intellettuale da un punto di vista dispregiativo, Ndt]. Si pongono in una prospettiva più accettabile. Per esempio dicevano “Deniz è una persona diversa”. Per essere capo di un’organizzazione di sinistra, avevo i baffi e allora ok: in quel periodo credo di aver rispettato a sufficienza l’estetica di sinistra (ride). Mi sono distinto prima nell’organizzazione, poi nel teatro. Scrivevo poesie, articoli. Ho sempre avuto un lato artistico. Diventa anche un luogo in cui rifugiarti, che ti protegge dalla tua famiglia, dal tuo ambiente ma anche dal quartiere dove vivi, dalla scuola. Ho vissuto anche io quel bigottismo del tipo “il rivoluzionario non fa l’amore”, “il rivoluzionario non si innamora”, “l’uccello del rivoluzionario non si alza”. Ma quando sei di sinistra nessuno ti chiama “frocio”.

Dopo aver lasciato l’organizzazione le amicizie sono continuate. Avevo molti amici anche in altri gruppi. Prendevo parte a qualunque evento; se da qualche parte c’era un gruppo teatrale, andavo a dare lezioni di teatro, se veniva letta una poesia o veniva fatta una presentazione, ero anche lì. Solitamente nelle organizzazioni queste cose venivano fatte dagli aleviti, non sapevano che ero stato sunnita per anni. Dato che non c’era nessuno che sapeva insegnare Semah [rituale danzato delle comunità alevita e bektaşi, Ndt], l’ho imparato e ho cominciato a insegnarlo io. Se vieni da una famiglia turca sunnita di Antakya, lì eri diverso dagli altri. Dopo aver lasciato l’organizzazione ho vissuto un periodo difficile, di solitudine, ma i nostri rapporti sono sempre rimasti intatti. In realtà, in quel periodo mi sono molto represso. Sono stato in grado di ammetterlo a me stesso solo diversi anni dopo. In quel momento non ne ero consapevole. Ma nessuno mi ha nemmeno tirato uno schiaffo. A quel tempo c’erano così tanti ragazzi che si aprivano con me e mi parlavano della loro identità sessuale. Ma io non mi sono mai rivelato con loro.

Mentre reprimevi e nascondevi la tua identità sessuale, cosa dicevi a coloro che si venivano ad aprire con te?
Dicevo “sentiti libero/a” di nascosto dall’organizzazione, perché lì era proibito. Tuttavia ho anche infranto molte delle loro proibizioni. La vita rivoluzionaria ha molti divieti. Per questo dopo un po’ di tempo per me vivere ad Antakya era diventato piuttosto difficile. Gli amici del BEKSAV erano venuti ad Antakya in tour e quando li ho incontrati sono venuto a Istanbul con loro e sono diventato un attore al BEKSAV. Ma poi la mia identità sessuale ha iniziato a risvegliarsi. È stato fantastico venire a Istanbul ed essere libero, essere solo. In quel periodo non avevo ancora rivelato il mio orientamento sessuale e mi dicevo: “quando lo farai sarai finalmente te stesso”.

Con BEKSAV hai cominciato a recitare o si trattava di una formazione?
BEKSAV era un edificio di cinque piani a Osmanağa, Kadıköy. C’erano laboratori di musica, cinema e teatro. Ti davano sia l’alloggio che i corsi. Allo stesso tempo mettevamo in scena anche gli spettacoli. Poi mi sono detto “questo non sei tu!” Ad esempio, entravo nello studio di musica chiudendo a chiave la porta della stanza e abbassando il colletto cantavo ai miei amici “Güz Gülleri”, zampillava il lubunya che era in me. Ormai nessuna organizzazione mi avrebbe più tenuto a freno. Ero passato al “Quale pazzo mi metterà in catene. Sfido la stessa idea!” [estratto dell’inno nazionale turco, Ndt] (ride).

Un giorno sono uscito a Kadıköy da solo. Mi sono seduto su una panchina, pensando a cosa sarebbe successo. Poi all’improvviso mi sono ritrovato a Beyoğlu. Ho comprato un Kaos GL credo da Mephisto. Ho visto che era stato aperto il ‘Kaos Kültür Merkezi’. Credevo che Kaos fosse un posto come BEKSAV. Non riuscivo più a restare lì e quella sera ho comprato un biglietto per Ankara. “Farò teatro al Kaos Kültür Merkezi!” Pensavo. Tra l’altro non ero mai stato ad Ankara prima. A che ora apriva il centro culturale, dove si trovava, dov’ero io, chi ero? Non avevo nessuna risposta… all’una di notte sono salito sull’autobus e alle prime luci dell’alba ero a Ankara. Mi sono seduto in un parco, aspettando che Kaos aprisse. Poi ho chiamato, mi hanno dato indicazioni e sono andato a vedere. Mi accorsi che il centro culturale era un bilocale. In una stanza stavano facendo una riunione, nell’altra c’era la biblioteca. Ho visto la mia ex. Le ho detto: “Nella mia vita è successo questo e quest’altro, ho lasciato l’organizzazione, non voglio più vivere così”. Mi ha risposto “qui a Kaos non c’è nulla che tu possa fare”. Così sono tornato a Istanbul…

Quella notte ho lasciato anche la casa al BEKSAV e sono uscito per strada. Non avevo né un posto dove andare né soldi! Avevo un amico dell’università. Aveva una cugina, ho vissuto per due mesi in una casa con due camere da letto, un gatto di 15 chili, una donna di Artvin e due bambini. Una casetta piccola, niente soldi, niente di niente! Poi ho iniziato a registrare le mie voci e i miei discorsi. Registravo cose sull’organizzazione, su mio padre, sulla circoncisione e l’implicita identità sessuale e li ho trasformati in uno spettacolo. Mi ero ripromesso di recitarlo ad Antakya tornando dalla mia famiglia. Ho diretto e recitato quel monologo da solo partendo per una tournée a Iskenderun, Adana, Antakya. Non recitavo in centri culturali ma in sale per matrimoni portandomi dietro la scenografia fatta da me. Tuttavia, prima della mia famiglia lo Stato è venuto a sapere del mio arrivo a Antakya. Quando ho iniziato a recitare, i camerini che avevo costruito sul retro sono stati saccheggiati. Echeggiavano le parole di mio cognato “ti hanno messo la parrucca”.

Come si chiamava lo spettacolo?

Ombre sotto il muro… parlavo della tortura, delle regole che ci autoimponiamo al di là dello Stato, delle contraddizioni, della mascolinità… C’erano anche scene molto interessanti. Ad esempio, la scena della circoncisione del bambino; Il bambino circonciso diceva: “Queste persone sono talmente dipendenti dal mio sangue da fare halay, zılgıt, matrimoni? Che sta succedendo?” Non voleva essere circonciso, c’è una virilità imposta; La madre del ragazzo era incinta, in pochi giorni sarebbe nato il fratello. Cercava di strappargli il pene perché credeva che il suo fosse stato tagliato per deriderlo. Il bambino racconta al fratello ciò che suo padre gli diceva. C’era poi una parte che riguardava lo sciopero della fame, lo spettacolo conteneva molte parti della mia vita. C’era la tortura, la nominavo chiaramente. C’erano le critiche all’organizzazione. Ad esempio “scrivi la tua storia di nuovo, stella… osservo la tua storia da una fessura della tenda, cieco, oh i ciechi”, questo lo dicevo riferendomi all’organizzazione. Avevo considerato i vari pericoli, perché avevo rinunciato a tutto ed ero molto determinato a recitare questo monologo. Pensavo “Se vogliono uccidermi che mi uccidano”.

Quanti anni avevi al tempo?
18-19. Dopo lo spettacolo non mi sentivo troppo a mio agio. Ho ricevuto parecchia pressione non tanto dall’organizzazione, ma dallo Stato e dalla polizia. Poi ho deciso di tornare di nuovo a Istanbul. Il teatro non era più il mio primo obiettivo, ero tornato solo per vivere la mia identità sessuale. Questa volta sono stato più fortunato. I miei amici di Antakya si erano laureati all’università e avevano preso una casa a Istanbul. Dal momento che il pericolo di restare per strada era scampato, per prima cosa mi sono aperto a loro.

Anche i tuoi amici avrebbero potuto non accettarlo così facilmente…

In realtà avevo dato sempre dei segnali. Difendere l’esistenza di qualcosa nella maggior parte dei casi significa anche difendersi. Quando un animale viene ferito e si oppone alla violenza che gli viene inflitta sta difendendo anche la sua stessa esistenza. Tutto è intrecciato. Non ero riuscito a esprimere la mia identità sessuale, ma poiché avevo sempre difeso i diritti e le creature viventi i miei amici erano preparati. Nessuno di loro è rimasto sorpreso quando mi sono rivelato. Mi dissero: “Se solo ce l’avessi detto prima, avresti potuto essere più felice”. Con quegli amici ancora ci vediamo…

Poi è arrivato il momento in cui ho conosciuto Lambda İstanbul. Al tempo non avevano un posto tutto loro. Si incontravano la domenica alla Fondazione per la ricerca sociale (Toplumsal Araştırmalar Vakfı). Se avessi di nuovo fatto parte di un’organizzazione, quell’organizzazione sarebbe stata il movimento LGBTI+. Mi interessava il femminismo. Non posso paragonare con nessun’altra cosa quello che Kaos GL ha apportato nella mia vita. Anche le riviste Kara Mecmua, Pazartesi e molte altre pubblicate in quel periodo giocarono per me un ruolo estremamente importante. Quando ho iniziato a lavorare con Lambda mi sentivo davvero pronto. Ho rivelato completamente la mia identità sessuale durante la prima Settimana dell’Orgoglio che abbiamo organizzato nel 2003! Leggendo il comunicato stampa mi si sono annebbiati gli occhi. Eravamo pochissime persone, avevamo paura, eravamo molto preoccupati. Non pensavo che leggere quel comunicato stampa manifestando la mia identità sessuale sarebbe divenuto di pubblico dominio. Se sai da dove viene il pericolo, sai anche come affrontarlo. Non posso negare la consapevolezza e gli strumenti che ho ricevuto dall’esperienza nell’organizzazione. Sebbene ci siano molte cose che critico, sono sereno anche con loro perché mi hanno trasmesso il senso del coraggio… Quella Settimana del Pride, per il fatto di essere la prima (in assoluto), in Turchia ha avuto molta risonanza. La mia famiglia, i miei parenti mi hanno visto comparire così nei principali notiziari!

Cosa hanno fatto?
All’inizio è stato un lutto, il funerale del figlio maschio che lascia la casa. Ero pronto anche a quello. Ho cominciato molto giovane, avevo 22-23 anni quando ho letto il comunicato del Pride. Ma dal momento che vengo da un luogo che ti forma in fretta, sono maturato molto presto. Ero anche molto preparato alle pressioni della mia famiglia. Sapevo ad esempio che non avrei dovuto abbassare la testa. Quando mio fratello mi ha chiamato e ha detto: “Papà potrebbe avere un attacco di cuore, se muore sei tu il responsabile”, gli risposi “Che Dio lo perdoni se preferisce la sua assenza alla mia esistenza”. Mia madre piangeva continuamente, piangevano tutti, facevano riunioni, dicevano che avrei dovuto cambiare nome e cognome, rispondevo “prendetevelo è vostro”. Intanto lavoravo come cameriere. Stavo cercando di crearmi una vita senza chiedere soldi a loro. Perché quando ti aspetti un sostegno economico, allora hanno anche il diritto di parlare. Mi riducevo a sopravvivere affinché non avessero questo diritto, da loro non volevo niente. Vengo da una famiglia con una buona situazione economica. Non mi sono piegato, ma non li ho neppure rinnegati. Poi le nostre relazioni col tempo sono migliorate.

Le reazioni degli uomini e delle donne possono essere diverse. Chi si è abituato più velocemente a questa situazione?

Siamo sei fratelli, mio ​​fratello e due delle mie sorelle maggiori erano più a loro agio. All’inizio mia madre era molto turbata. Poi mio padre mi disse: “Qualunque cosa tu sia, sei una persona che amo molto, ma non ho la forza di combattere l’ignoranza che c’è qui”. In effetti, temevano la pressione sociale. Se sei loro figlio e sei lontano, più distante sei e meglio è. Il punto è lottare per comprendere anche loro. Per non lasciarli in pasto alla pressione del quartiere, ho cominciato a vivere da solo a Istanbul all’età di 22-23 anni e essendomi costruito una vita così non avevo paura di alcuna pressione, il mio atteggiamento era molto chiaro.

Ho subito pressioni e minacce anche dopo il comunicato stampa. Potevo essere ucciso ma ero pronto anche a quello. Ma quella marcia, quel comunicato stampa ormai dovevano essere fatti. Ovviamente non ero solo, c’erano molti amici con me. Abbiamo fatto tutto insieme, ma lo dico come colui che leggendo il testo si è esposto in prima persona. Qualcuno doveva osare e per fortuna l’ho fatto. Quelle prime trenta persone dell’inizio diventarono centinaia di migliaia durante il periodo di Gezi. È una storia fantastica.

Le prime marce del Pride non erano troppo partecipate…
La partecipazione alla seconda è stata anche minore. È iniziata a venire più gente dopo il 2007. Si dice che nel 2013 abbiano partecipato 50mila persone. Anche nel 2014 è stato molto partecipato ma non tanto quanto nell’anno di Gezi. Le organizzazioni di sinistra e la società civile hanno scoperto la lotta LGBTI+ proprio lì. Generalmente per la sinistra quanto più qualcuno si spende per l’organizzazione tanto più va bene, non importa chi sia. A volte c’è una logica del conteggio, poi c’erano anche organizzazioni a cui ci siamo avvicinati molto, che hanno fatto davvero autocritica. Non solo sulla questione LGBTI+ ma anche coloro che ignoravano la questione curda e rifiutavano la presenza dei curdi hanno cambiato idea nel periodo Gezi. Le femministe e il movimento queer LGBTI+ sono ciò che muove oggi la protesta. In un momento in cui non si muove una foglia, per strada ci sono questi due movimenti che alzano la voce.

Come hai scoperto il parco di Gezi?
La seconda volta che sono stato a Beyoğlu, sono andato al parco di Gezi. I parchi erano punti di incontro particolarmente importanti per i gay perché prima non c’era così tanta tecnologia. Hamam, parchi, cinema sono spazi di socializzazione, di incontro e talvolta di lavoro. Quella seconda volta sono andato anche in un gay club. Alle riunioni di Lambda Istanbul della domenica mi ero fatto un amico. Gezi era il nostro “luogo di incontro”. Da lì guardi la vita in un modo diverso, sai che il motivo per cui le altre persone sono lì è simile al tuo. La mia seconda volta a Istanbul è stata davvero una scoperta. Dopo tutto, ho fatto l’amore a Beyoğlu, lì mi sono innamorato, ho socializzato, è Beyoğlu che mi ha reso veramente attivo.

Alla fine delle marce notturne delle donne a Beyoğlu, generalmente viene scelto un locale dove fare la festa principale e le donne si disperdono nei cubicoli del quartiere. Tuttavia, nel clima repressivo di oggi, anche questa gioia politica può diventare una questione critica.

Ormai questa critica è rimasta però all’interno di un gruppo davvero esiguo. Uno degli ultimi eventi di Anahit è stato il party femminista dopo la manifestazione delle donne. Quanto queste donne durante tali feste ballino liberamente, trasformino il loro potere in danza, è cosa nota. Del resto questa prospettiva non è affatto nuova, Emma Goldman diversi anni fa diceva “se non riesco a ballare questa non è la mia rivoluzione” (ride). Le voci critiche sono deboli, cambieranno e si trasformeranno come ogni altra cosa. Nelle discussioni TERF [trans-exclusionary radical feminist, Ndt] all’inizio mi arrabbiavo, poi ho iniziato a ridere. Trent’anni fa mia madre mi diceva le stesse cose. Ormai non prendo più queste questioni sul serio. Sorrido, “scandaloso” dico, “sei riuscita a dire anche questo? non essere così ingiusta con te stessa”… (ride).

Hai assistito agli sviluppi pratici e teorici della lotta LGBTI+ nel corso degli anni sin dalle prime organizzazioni. Come descriveresti il ​​riflesso di questo quotidiano cambiamento politico nella vita notturna?
In realtà, tutto passa attraverso la lotta. Nei primi anni abbiamo cercato di lavorare al processo di accettazione delle persone trans. Faccio un esempio. Volevamo organizzare un incontro con una persona trans che veniva dall’estero. Entrò un uomo e si sedette. Ci aspettavamo una donna, non sapevano che sarebbe venuto un uomo, non avevamo mai visto un trans uomo. Gli guardavamo i peli dei piedi, dicevamo “hanno i peli”, o cose così. Abbiamo fatto un workshop a questo proposito e abbiamo discusso di queste cose in un altro incontro. Un’altra volta un nostro amico lubunya appese a Lambda una fotografia di Banu Alkan e alcuni si opposero dicendo “Che c’entra?”, questa volta facemmo un seminario su di lei. A quel tempo non c’era troppa divulgazione. Ci radunavamo nelle case e discutevamo tutto il tempo. Non c’erano nemmeno libri a tematica LGBTI+ o che parlassero del movimento queer. Ce lo raccontavano gli amici che sapevano le lingue straniere e traducevano articoli. È così che si è sviluppata la prospettiva queer ma ora è molto importante. A quel tempo, un’identità poteva fare una grande pressione su un’altra identità. La prospettiva queer ha portato anche questo aspetto a un punto liberatorio. Ha fornito una dimensione che accetta ogni orientamento, la sua esistenza, lo politicizza e lo spiega. Nei nostri primi incontri per esempio le cose andavano così: ci radunavamo in venti persone, c’erano due donne e gli oratori erano sempre e solo uomini. Nonostante non si conoscessero i loro orientamenti si identificavano come maschi. Le donne erano nella posizione di uditrici. In questo senso, il femminismo queer ha liberato anche le donne LGBTI. Questa è una questione che facilita anche un viaggio introspettivo. Ha portato con sé la libertà di non stabilirsi, di non delimitarsi a un campo. Essere queer significa davvero mettere i bastoni tra le ruote a tutto ciò che ci è stato imposto e che abbiamo memorizzato. Io la chiamo una “proiezione”, essere queer è veramente una proiezione, significa essere politico. Tutto questo ha avuto un grande impatto anche sulla vita notturna: ha scosso i codici memorizzati e imposti, questo è gay, muscoloso, non so cosa, o è troppo femminile, troppo bianco, questi stereotipi sono stati superati…

Volevo anche aggiungere che dopo un po’ di tempo ho lavorato o gestito locali in cui prima non mi era permesso entrare e da dove ero stato cacciato. Mi sono arrivate offerte di lavoro anche da posti da cui ero stato cacciato per aver baciato il mio amante, ma non ho accettato. A questo hanno contribuito tutte le amiche e gli amici queer, LGBTI+ che lottano nella vita notturna. Perché lì abbiamo iniziato a proteggere le nostre esistenze, a discutere nei posti in cui venivano invase, ad essere forti, a far sentire le nostre voci. Le amiche drag queen le notti in cui non lavorano possono uscire e divertirsi come vogliono. Naturalmente, il punto di vista queer ha dato un enorme contributo a tutto questo, a questa presenza e a questa lotta. Anche il trans femminismo sta diventando più forte, più politicizzato, stanno aumentando la solidarietà e la reciprocità, ha sempre più voce. Questo apre una strada a qualcosa che ci porterà davvero da qualche parte, che amplierà il nostro campo di azione. Siamo state cacciate dalle marce dell’8 marzo. La nostra esistenza è stata negata fin da quando eravamo bambini. Le organizzazioni femministe ancora non contano tra i femminicidi gli omicidi delle donne trans e non mettono i loro nomi accanto a quelli delle altre donne. È una cosa che fa molto male. È necessario comprendere bene chi è il vero nemico. Quel nemico lì uccide sia te che me. Non permette né a me né a te di esistere, di vivere…

 


Seconda parte dell’intervista di Merve Erol e Ayşegül Oğuz a M. Deniz Deniz uscita in originale su 1+1 Forum.

Traduzione di Carlotta De Sanctis

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