Un racconto di Sine Ergün
Lavoravo in un bar. Eravamo quattro persone. Io, il cameriere Halil, il cuoco Murat e la direttrice, la signora Aydan.
Murat il cuoco sedeva su uno sgabello accanto al bancone della cucina, incurvava la schiena, fumava una sigaretta dietro l’altra, scuoteva la cenere nel lavandino. Era un uomo piccolo e minuto dal volto di un bambino. Non parlava molto, a volte lo sentivo mormorare tra sé. Un giorno mi disse: La vita fa schifo, se moriamo tanto meglio, sui libri che leggi ci sta scritto che è così? Poi si voltò. Aspirò dalla sigaretta, scosse la cenere nel lavandino.
Suo fratello maggiore era in prigione. Aveva un figlio e una moglie. Quello che Murat guadagnava lo dava a loro. Secondo quanto diceva, suo fratello era molto bello. Il volto era identico al suo ma era alto e robusto. Era finito dentro per diffamazione, così diceva.
Il giorno dopo aver ricevuto la paga settimanale andava in carcere. A volte prima prendeva dei vestiti, Che non dicano sia uno sprovveduto laggiù, diceva.
Io pensavo si fosse preso una cotta per sua cognata. Mi immaginavo che per quanto non ne fosse cosciente desiderasse che suo fratello non uscisse più di prigione, forse pure che morisse, e che fantasticasse su queste cose. Allora sua cognata si sarebbe accorta di quel piccolo uomo che l’aveva presa sotto la sua ala e un giorno, colmi di vergogna e desiderio, si sarebbero appartenuti. Nei momenti in cui si assentava mi piaceva pensare che immaginasse tutto questo.
Quando sprofondava in quel modo Halil il cameriere gli dava due pacche sulle spalle, Oh, ma ti sei innamorato?, gli diceva. Lui non rispondeva. Halil era un bell’uomo. I grandi occhi blu avevano lunghe ciglia. Era grande e grosso. Camminava con passi ampi. Si innervosiva facilmente. Sudava di continuo, sbuffava sventolando la camicia avanti e indietro. Se si arrabbiava con un cliente gli metteva la birra sotto la valvola dello scarico, se si arrabbiava ulteriormente ci sputava dentro.
Halil c’era rimasto male quando io, appena arrivata, ero passata dietro al bancone nel giro di una settimana e lui era rimasto a fare il cameriere. Aveva litigato con la signora Aydan. E lei gli aveva detto, Lascia che impari il mestiere, e poi è ancora troppo inesperta, si mettono a importunarla lì nel mezzo. Non si intendevano molto con Halil. Una volta la signora Aydan gli aveva lanciato un bicchiere.
La signora Aydan era una donna magra, sottile, e così estremamente attraente. Camminava dritta dritta sugli stivaletti dal tacco a punta. Era entrata lì dentro come cameriera e col tempo aveva fatto strada. Halil una volta aveva detto, Che bisogno c’è di una direttrice in un bar così piccolo, di sicuro tra quella e il capo c’è sotto qualcosa, ce li vedo proprio.
La signora Aydan mi insegnò molte cose: Se eri una donna non dovevi fumare sul posto di lavoro, se fumavi dovevi farlo impeccabilmente, ad esempio davanti a una tazza di caffè, altrimenti si mettevano a darti fastidio, dopo che il cliente aveva bevuto la quarta o quinta vodka e gli cominciava a dare alla testa dovevi mettere nel bicchiere prima il succo di frutta, poi aggiungere poca vodka e servire senza mescolare, quando prendevi qualcosa da terra di fronte al cliente non dovevi piegarti dalla vita ma dalle ginocchia e prendere così quello che c’era prendere, non dovevi essere rigida come un baccalà ma neppure dovevi dare troppo spago a nessuno. E poi non dovevi sposarti. Come facevano un po’ di soldi ti volevano far lasciare il lavoro e chiudere in casa, e poi vai, giù a far festa con altre donne, diceva.
Ho lavorato lì a lungo. Li osservavo emulandoli tutti. Avevano qualcosa che mi mancava. Volevo anch’io sputare nei bicchieri, andare a letto con il capo. Volevo che litigassero con me. Così sarei stata una di loro. Ma tutti mi si rivolgevano sempre in maniera educata, quasi con distanza. Quando dissi che me ne sarei andata nessuno si stupì. La questione principale era che avevo dei soldi.
In quegli anni ho imparato due cose. Uno, non bisogna mai far innervosire i camerieri e due, se non appartieni a un posto non gli appartieni.
Trad. G. Ansaldo
Al Bar è un racconto di Sine Ergün pubblicato con il titolo Barda nella raccolta Bazen Hayat (Can, 2012).
© Diritti riservati per la traduzione italiana, Kaleydoskop, 2018 (su concessione dell’autrice tramite l’agenzia letteraria A&A).
SİNE ERGÜN è una scrittrice, redattrice e traduttrice turca nata nel 1982. Scrittrice di pooesie, critiche e raccconti pubblica i suoi lavori su numerose riviste e raccolte internazionali. Ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti Burası Tekin Değil (Qui non è tranquillo) nel 2010 con la casa editrice Yitik Ülke. La raccolta da cui è tratto questo racconto, Bazen Hayat (A volte La Vita) ha ricevuto nel 2013 il più importante premio letterario per i racconti in Turchia, il Sait Faik Hikâye Armağanı. Inoltre con la sua ultima raccolta Baştankara (Cincia mora) pubblicata da Can nel 2016 ha vinto il Premio dell’Unione europea per la letteratura del 2017 come rappresentante della Turchia.
L’illustrazione di copertina è di Paola Rollo.