L’ubriaco e la borsa, un racconto di Feyyaz Kaçan
Ero fermo davanti al pub. Stavo per entrare. Mi ha preso per il braccio.
-Mi piacciono molto le persone, ha detto.
-Anche a me piacciono molto, gli ho detto.
-Perché ti piacciono?
-E a te perché piacciono?
Come se l’aiutasse a pensare meglio, a organizzare meglio la risposta da dare, ha spostato la borsa nella mano destra. L’odore di alcool nel fiato si era fatto denso. Gli occhi svegliati dalle scosse del cervello si stringevano, ingrossavano, s’infossavano; cercava un posto dove gettare l’ancora con gli occhi. Non riusciva a farla tenere. Non teneva. I pensieri scivolosi nella sua mente cadevano supini e continuavano a divincolarsi come insetti che non riescono a capovolgersi. Ha atteso che si rialzassero. Erano come raddrizzati. E ha parlato:
-Tu non sei mai andato a scuola? Non hai mai fatto scorrere le labbra sulle vesti di Gesù? Cos’ha detto lui? eh, cos’ha detto? Amatevi l’un l’altro ha detto. Lasciate che i bambini vengano da me, ha detto. Voleva che vivessimo tutta la vita insieme alla nostra infanzia, come un tutt’uno. Ha risuscitato i morti, ha camminato sulle acque, appena uscito dalla tomba si è involato nel paradiso arredato di nuvole. È volato via come spirito. Non doveva farle però queste cose. Questo aspetto da prestigiatore… Non avrebbe potuto convincerla in altro modo la gente? Oggi nessuno presta attenzione alle sue parole. C’è chi crede che abbia risuscitato i morti, che abbia camminato sulle acque, o che sia schizzato via dalla tomba infilandosi in cielo, ma nessuno che segua le sue parole. Se oggi sulla terra venisse un altro come lui, il primo posto dove andrebbe sarebbe il circo degli acrobati. Ci si attenderebbero da lui numeri strepitosi. Gesù non ha saputo morire come una persona, come un uomo. Sulla croce si è deificato. Il suo letto di morte crocifisso è diventato arredamento delle chiese. La lippa è forse la più bella eredità della nostra infanzia. Legandola di traverso nascono le forme più spaventose, più inquietanti. La croce. Come il martello dell’immortalità continua a battere sulla testa della gente, facendo scappare la mente e l’anima dappertutto come mercurio. Rende la gente fuori di sé. E le persone restano lì a tremare come foglie. Né terreno né celeste… Il Gesù a cui credo io, il Gesù umano, è Gesù prima della croce. E le creature a cui credo più di Gesù sono persone senza nome né gloria, isolate e sperdute che hanno fatto sentire la propria voce senza aver firmato niente e hanno mostrato e mostreranno intelligenza, umiltà, affetto e la vera strada a tutti i Gotama, Gesù, Maometti, profeti venuti e che verranno. Il nome di Gesù avrebbe potuto anche non essere Gesù. Sarebbe potuto essere anche Ali. O Veli… Un semplice e solo nome!
Se il tipo non aveva preso quelle parole da Krishnamurti non sono un uomo. Aveva i capelli biondi. Tutti impiastrati di brillantina. In mezzo ai capelli ingessati si aprivano qua e là delle fenditure. Eppure si è infilato le dita in mezzo ai capelli. Si sono aperte nuove fenditure. Si è guardato le dita, luccicavano d’olio. Dentro ai capelli era tutto appiccicoso. Gli sono venuti di nuovo pensieri rettili in testa. I pensieri si sono gelificati. Si è pulito la mano alla manica dell’impermeabile. Al posto di Gesù ora spiravano odori di brillantina e di birra. Volevo entrare. Mi ha tenuto per un braccio.
-Non posso lasciarti, disse. Ho la nausea dentro la testa. Se parlo torno in me. Devo soffocare la nausea.
(Si è chinato in avanti. Ha ruttato. Ho pensato che stesse per vomitare. Non l’ha fatto).
Sono salito sul primo autobus che mi si è fermato davanti a Catford. Ovunque andasse. Mi portasse dove voleva. Non mi interessava… D’un tratto ho vomitato ma… Non sono riuscito a trattenermi… Il controllore mi ha fatto scendere a bordo della strada. L’autobus è scappato. Sono rimasto di nuovo lì senza nessuno. Mi sono seduto a bordo della strada e ho pianto pieno di vergogna. Mi sono passate accanto persone estranee fino al midollo. Anche la mia vergogna è andata sprecata. Dove siamo qui? Non conosco affatto questa zona.
-Siamo a Seydenham. Se prende il 94 la porterà dritto dritto a Catford. (Ascoltare un ubriaco da sobrio, somiglia al contenimento dei preti che ascoltano confessare i peccati. Se gliene dessi un paio gli starebbe bene, ma il tipo non molla. E se si rimette a piangere? Non ho una lacrima pronta all’uso per potermi mettere a piangere di concerto con lui.)
-Torno a Catford a fare cosa? Se tornassi lì mi passerebbe la nausea forse? L’odore della nausea è solo lì? Certo che no… Facciamo sempre un lavoro da cani, porto la nausea come una zecca sullo stomaco… Devo essermela presa da solo questa nausea… O al mercato delle pulci… Sotto rottami di speranze… Macerie di respiri ormai… Non ci resta più nemmeno una stella di ricambio. È stato seminato finimondo e finimondo raccogliamo. E con il finimondo ci svegliamo ogni giorno. Il finimondo scoppia a Catford, e anche qui a Seydenham. La gente ara la terra con il finimondo.
Ho capito che non avrebbe funzionato. Mi era venuta una sete terribile. Non si poteva parlare del finimondo così su due piedi. Non volevo neanche lasciare l’uomo lì così. La nausea cha aveva dentro schiumava sempre di più. C’era oltre quella nausea. Questa volta sono stato io a prenderlo per il braccio e mi sono infilato nel pub. E lui mi seguiva trascinandosi dietro il finimondo. Lo strattonava come un giocattolo legato al filo. Ho ordinato due birre doppie. Ha cercato un buco in cui infilare la testa. Ha scelto l’angolo più isolato e più buio del pub. Come se qualcuno gli avesse ordinato di andare lì a sedersi lontano da tutti. Si è seduto. Con il dito ha livellato disgustato lo spesso strato di schiuma che fuoriusciva dalla sua birra e lo ha gettato via. Come se gettasse via le schiume mucose che aveva dentro. E poi voltandosi verso di me con aria subdola ha detto:
-Hai mentito.
-Perché?
-Non si possono amare le persone. Lascia stare che prima ho detto che mi piacciono. Quella è una mia invenzione, una fantasia ereditata da Gesù. Tutto sta nel riuscire ad amare tutte le persone una per una, a legarsi a quelle vicine. Altrimenti a tutti verrebbe facile di dire “mi piacciono le persone”. E poi cosa vuol dire amare le persone? Da non amare nessuno ad amare tutti. Il più astratto degli amori astratti. Aspetta che la cosa diventi astratta. Il resto è facile. Rimboccati le maniche e se non hai da fare, oh, rinzaffa i vuoti quanto vuoi. E dai vuoti, creati i tuoi sostegni:
Le nostre preghiere a credito mancano il bersaglio di tutte le divinità. Eppure con i nostri vuoti ci affrontiamo a vicenda. Tutti i vuoti sono nemici gli uni agli altri. I vuoti assumono differenti aspetti. Prendono forma di case, sogni, ideali, del pane cotto sulla pietra, di pillole inghiottite a rate… E sull’arena da gioco sono tutte strade senza uscita. All’inizio appaiono immense alla gente. Ma non ci vuole molto per percorrere l’arena, per essere arenorisucchiati…
L’odore di brillantina si stava addensando. L’uomo ha puntato gli occhi sugli annunci al muro. Coca-cola. Birra Bass. Birra Fremlin’s. Birra Barclays. La Coca-cola è rinfrescante. Birra di Natale… Natale… Gli occhi dell’uomo sono rifuggiti nel cervello e:
-Guarda, guarda… Birra di Natale… Natale… Il giorno in cui Gesù è uscito di punto in bianco dal ventre di Maria… Il giorno che ha diviso il tempo in avanti Cristo e dopo Cristo… Vieni vieni, facciamo un brindisi allora a Gesù e alla divisione del tempo…
L’uomo ha afferrato il boccale dal manico.
-Viva Gesù, ha detto, hip hip hurrà, amen, ha detto.
Mi scappa la pipì, ha detto e presa la borsa che aveva lasciato sulla sedia davanti è andato alla toilette. Aveva già svuotato il boccale. Ne ho ordinati altri due. Quando è tornato indietro sembrava che avesse svuotato oceani dalla vescica. Ha rimesso la borsa sulla sedia facendo cadere i mulini marciscenti dentro la borsa che gli faceva da Sancho Panza. Don Chisciotte senza lancia, senza speranze e imbrillantinato ha tirato via la schiuma dalla birra. Il seme sterile della schiuma si è attaccato sul pavimento, piano piano si è sciolta. Le persone, ha detto, le persone sono arrivate a vivere a misura delle loro borse. La borsa è la buccia delle persone, una torre d’avorio fatta di buccia delle persone. Un certificato d’identità o la coccarda di questo club o di quell’associazione portata al collo ogni giorno. Le persone escono alla luce del sole, dell’universo, delle strade e delle altre persone soltanto quando si avviluppano nella loro borsa. Borse di pelle di maiale, borse di peli di cavallo, borse fendute di lato, borse che si portano sottobraccio, sopra la testa, borse presuntuose, arroganti, timide. Borse che vanno a lavoro. Borse di cartone, di plastica; Agli occhi delle borse tutte le persone sono uguali. Dal diplomatico al portiere. Ecco, guarda, persino io ho una borsa. Il giorno che riuscirò a togliermela di mano, mi rallegrerò come se avessi apportato un impareggiabile servizio meritorio all’umanità, mi riavrò come se mi fossi gettato fuori da un incubo. Sarò la piuma di un uccello che si è salvato dal giogo. Dopo aver detto questo:
-Viva Gesù, ha detto, hip hip hurrà Gesù, amen, ha detto. La birra nel boccale era di nuovo seccata. Mi scappa la pipì, ha detto, di nuovo. Ho fatto portare un’altra birra. È tornato dalla toilette. È andato. Tornato. Un’altra birra. Hip hip… Viva… Gesù… Hip… Amen.
Ha bevuto alla salute di Gesù, ha pisciato alla salute di Gesù… Per niente. Smisuratamente. Ha pisciato alla salute dei disegni sconci e delle linee storpie sui muri della toilette, ha pisciato alla salute delle tette di una ragazza di nome Mary venuta nei palmi di un ragazzo di nome Peter. Nei muri, nella toilette pulsava l’odore della passione. Una passione imbrillantinata.
È stato mandato alla toilette un’altra volta. E non è tornato. Era sgattaiolato via dalla porta posteriore.
Quando sono uscito fuori, una pioggia scura stava tessendo tele di ragno.
Traduzione di G. Ansaldo