Ci sono progetti edilizi che segnano la storia di un paese seguendola da vicino e la cui realizzazione, o meno, indica l’andamento socioeconomico e politico dei governi che di quei progetti si occupano. Esemplare in questo senso è la storia del Centro Culturale Atatürk, l’Atatürk Kültür Merkezi, per tutti noto come AkeMe nel cuore di Istanbul, adiacente a piazza Taksim.
Il 6 novembre scorso il partito al governo che sempre rimpiange di non aver ancora fatto abbastanza in ambito culturale si è pronunciato sul futuro del centro diventato un emblema della storia contemporanea dichiarando, appunto, che diventerà il simbolo della “nuova epoca”. Da quando nel 2005 è stata ventilata per la prima volta l’ipotesi di abbattimento del centro da parte dell’allora ministro della cultura Atilla Koç perché “la struttura aveva esaurito il suo corso”, si sono alternati sette ministri e numerose vicissitudini fino alle ultime dichiarazioni. Di fatto l’ultima attività culturale del centro è stata la rappresentazione di uno spettacolo danese durante il Festival di Teatro Internazionale di Istanbul, era il 2008. Ma benché ufficialmente fermo il centro non ha mai smesso di vivere…
Progettato nel 1946 come “Palazzo dell’Opera” per rispondere allo spirito di modernizzazione in senso occidentale della nuova repubblica su iniziativa del sindaco dell’epoca, Lütfü Kırdar, con un budget previsto di 8 milioni di lire in vista dell’inaugurazione del 1953, il centro è stato inaugurato incompleto nell’aprile del 1969. I milioni spesi alla data dell’inaugurazione sono stati 85, gli anni impiegati per la costruzione 23, i ministri che si sono succeduti in quel lasso di tempo 10, l’architetto incaricato era Hayati Tabanlıoğlu e il nome dell’edificio fu mutato in “Palazzo della Cultura di Istanbul”. Nome che ha suscitato tuttavia numerose polemiche il cui porta parola è stato il giornalista Muhsin Ertuğrul che lamentava sul quotidiano Cumhuriyet la presenza della parola Palazzo, simbolo di sultani e vizir, in tempi repubblicani.
Polemiche e ritardi non hanno portato fortuna all’edificio che dopo poco più di un anno dall’apertura, il 27 novembre 1970, viene distrutto da un incendio devastante che rende inagibile più della metà dell’edificio facendo crollare il tetto. Nonostante le inchieste aperte sul caso, nessuno sarà mai condannato. L’incendio portò a nuove polemiche, il giornalista del quotidiano Cumhuriyet Nadir Nadi lamentava che in una città sprovvista di canalizzazione e in cui la popolazione soffriva in gran parte la fame si pensasse all’opera e al balletto. Il suo j’accuse ebbe molto seguito nell’ambiente intellettuale dell’epoca e venne attivata una campagna contro la ristrutturazione del centro culturale perché i soldi fossero indirizzati altrove. Tuttavia i lavori di ristrutturazione cominciarono subito e furono affidati allo stesso architetto che ne aveva curato il progetto iniziale. L’allora Ministro della cultura Talât Sait Halman appena un anno dopo annunciava la riapertura prevista con un certo ottimismo per il giorno dell’anniversario della Repubblica, il 28 ottobre del 1973. Colse anche l’occasione per rispondere alle prime critiche mosse a proposito del nome dell’edificio e disse che il nuovo centro culturale si sarebbe d’allora chiamato Atatürk Kültür Merkezi, nome che porta ancora oggi. La riapertura avvenne però solo nell’ottobre 1978 con un evento di grande risonanza durato tre giorni e che prevedeva tra l’altro esibizioni dei musicisti Ruhi Su e Idil Biret, la direzione d’orchestra di Hikmet Şimşek, la proiezione del film diventato poi un cult Al Yazmalım.
Questa seconda apertura del centro ebbe vita e fortuna maggiori, negli anni Ottanta e Novanta l’AKM ebbe una fiorente attività fatta di festival, proiezioni, spettacoli di teatro, d’opera e balletto e ospitando artisti turchi e internazionali a prezzi popolari.
L’importanza storica e architetturale del centro fece sì che nel 1999, nonostante la popolarità degli eventi organizzati fosse in calo, il sito venisse dichiarato sito culturale e geografico di primo livello, azione che ne garantiva la protezione; ma già nel 2006, un anno dopo che l’allora ministro della cultura aveva per la prima volta ventilato l’ipotesi della distruzione dell’edificio, lo stesso Koç propose di togliere lo status di protezione. Era così iniziata una nuova polemica che dura fino a oggi. Il 2007 venne presentato in parlamento un progetto di ristrutturazione dell’edificio che doveva durare dal primo giugno 2008 al 31 ottobre 2009 in vista delle manifestazioni del 2010 per Istanbul capitale europea della cultura. Il progetto fu approvato e il 31 maggio 2008 il Centro ospitò l’ultima esibizione teatrale della sua storia. Nel frattempo il sindacato dei lavoratori di arte cultura e turismo fece causa contro il progetto di ristrutturazione e i lavori affidati a Tabanıoğlu furono interrotti; nel 2010 il centro non fu utilizzato. Nuovo anno, nuovo ministro della cultura, Ertuğrul Günay, nuovi progetti: “Abbiamo la volontà ma mancano i fondi”. Fondi che arrivano l’anno successivo dalla fondazione Sabancı che mette a disposizione 30 milioni di lire turche per farsi sponsor della ristrutturazione, in previsione della riapertura del centro nell’autunno del 2013. I soldi si perdono e a maggio dello stesso scoppia la protesta di Gezi di cui l’AKM diventa il simbolo e insieme il principale “megafono” della rivolta con striscioni di ogni tipo che ne tappezzano l’enorme facciata rivolta verso piazza Taksim. Un’ottima occasione per riportare l’AKM al centro dell’attenzione e a pochi giorni dall’inizio delle proteste il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan prende la parola: “Dobbiamo distruggere l’AKM. Dobbiamo realizzare un progetto di cui essere orgogliosi, un palazzo dell’opera, un importante centro da mostrare con orgoglio ai turisti. Se dio vuole l’AKM verrà abbattuto, la Turchia non ha un palazzo dell’opera, vogliamo fare il primo passo”. In seguito alle proteste di Gezi per un anno l’AKM diventa una stazione di polizia improvvisata e “multifunzionale”, trapelano immagini degli interni in rovina, la combattiva camera degli architetti e degli ingegneri di Istanbul del TMMOB presenta un esposto contro un tale uso per proteggere il centro dall’incuria, ma è deciso che non ci sono elementi per procedere legalmente.
Nel 2016 continuano promesse di abbattimento e a marzo compare il progetto “Istanbul Cultural Centre” dallo studio di architettura Adrian Smith & Gordon Gill che aveva vinto il concorso internazionale “WAN Future Project Civic Building 2015”. Preparato per l’AKP non è chiaro da chi sia stato commissionato e né la municipalità di Istanbul né tantomeno il ministero hanno fornito chiarimenti a riguardo. Poco dopo l’Unione della Camera degli Architetti e degli Ingegneri di Istanbul (TMMOB) pubblica un comunicato in cui si legge che a causa della legge per la salvaguardia del patrimonio la mancata ristrutturazione costituisce un reato.
Ma ciò non ha fermato la volontà del governo di realizzare il proprio progetto che prevede l’abbattimento dell’attuale struttura e la ricostruzione di una nuova, fino al raggiungimento del “definitivo” accordo ufficializzato il 6 novembre scorso. Il nuovo progetto sarà guidato dall’architetto Murat Tabanlıoğlu figlio del primo architetto, si tratterà di un edificio multifunzionale con sale per proiezioni, teatri, biblioteche, una sala concerto e ristoranti di cucina tradizionale. Un posto “aperto alle masse e non alle élite” con una capienza di 2500 persone e progettato per essere il più grande palazzo dell’opera al mondo. È pensato per essere il “Il simbolo della nuova era”. E come da tradizione, a pochi giorni dalle dichiarazioni, il quotidiano Cumhuriyet prende posizione. L’11 novembre il giornalista Ali Sirmen pubblica un articolo intitolato “Non tutti possono fare un Centro Culturale” sostenendo che un centro culturale non può stare accanto a un centro commerciale a scapito del verde pubblico e che l’edificio deve sormontare un’idea di cultura e una politica che la promuova, e che soprattutto bisogna saper cogliere lo spirito culturale del paese per poterlo rivestire di cemento. Non si sa se il nome resterà lo stesso come annunciato e se stavolta i tempi saranno rispettati: l’apertura è prevista nei primi mesi del 2019. Certo è che l’AKM sta continuando a essere uno dei termometri della città come se in ogni nuova forma del palazzo si potessero leggere le mutazioni storiche, politiche e sociali come sedimenti geologici. (ga)
Per alcune fotografie, la consulenza e gli aggiornamenti si ringrazia Aslı Uluşahin, direttrice editoriale del portale Kültür Servisi.