Turchia, cultura e società

Gli spavaldi della letteratura turca

in Scritture/Società

Afili Filintalar (Pompose Carabine) è il nome di una banda di liceali che terrorizzano i professori in Dublörün Dilemması (Il Dilemma del Baro), primo romanzo di Murat Menteş, pubblicato da İletişim nel 2005. Oltre 100.000 copie vendute in tredici anni.
Afili Filintalar è anche il nome di un gruppo di scrittori nati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta che scuotono l’editoria turca, inventano un linguaggio, si aggregano e costituiscono un progetto letterario che include tendenze diverse e riscuote un enorme successo tra i lettori nel giro di tre anni. Creano un sito con numerosissimi contributi letterari e critici, si separano, si allontanano, danno vita a progetti individuali, esplodono dopo le proteste di Gezi del 2013 lasciandosi dietro un’eredità culturale le cui tracce sono presenti ancora oggi in due riviste di letteratura tra le più lette e vendute, Kafa e Ot; un cospicuo numero di sceneggiature per serie televisive di qualità, film indipendenti e naturalmente libri, molti titoli le cui vendite restano alte a distanza di anni.

Alcuni movimenti letterari nascono dalla volontà, da un progetto comune o da un manifesto di intenti, come è il caso della corrente poetica dei Garip (Gli Strani) degli anni Quaranta, altri sono definiti corrente o movimento a posteriori, dalla critica che trova alcuni punti comuni tra determinati autori e li definisce, come successo per i poeti del movimento İkinci Yeni (I Secondi Nuovi) degli anni Cinquanta e Sessanta.
Pur non essendo un movimento poetico, quello letterario degli Afili Filintalar prende le mosse dal secondo caso per situarsi nel primo. Per “squarciare” una generica definizione della critica di “Letteratura Giovanile” o “Underground” che dall’inizio degli anni Duemila trova alcuni punti in comune tra un certo tipo di autori (Hakan Günday, Murat Uyurkulak), gli Afili Filintalar decidono di definirsi da soli. È il 2000 e Alper Canıgüz, noto e prolifico autore cui non piace essere definito scrittore di polizieschi, già tradotto in francese, tedesco, inglese, polacco, ha pubblicato con la casa editrice İletişim poi ripubblicato da April, il suo primo romanzo, Tatlı Rüyalar (Dolci Sogni), sulla cui copertina campeggia la scritta ‘Commedia romantica psico-assurda’. Un romanzo in cui eventi soprannaturali e fatti quotidiani convivono nella stessa pagina senza urtarsi, un venditore della metà di se stesso tramite un annuncio sul giornale, un uomo franco-turco di nome Hector Berlioz e il suo doppio nel sogno, vero quanto il primo, la riscossione del bottino di un boss mafioso ucciso cinque anni prima dai suoi soci, una ragazzina psicopatica scappata di casa… e il tutto definitivamente a Istanbul, oggi. Nel 2005 Murat Menteș pubblica sempre per April il suo primo romanzo, immediatamente apprezzato da pubblico e critica, e dice di essere un ammiratore di Alper Canıgüz. Si conoscono e su proposta di Murat nasce l’idea di creare un movimento.

Un progetto letterario e sociologico

Il nome c’è già, l’idea è quella di dare vita a un progetto collettivo che porti uno sguardo nuovo sulla letteratura e in cui coesistano autori provenienti da ideologie e formazioni differenti, evento già di per sé inedito in Turchia dove l’appartenenza a un determinato gruppo o a una specifica estrazione sociale canalizza intellettuali e artisti, ma più in generale la società, in compartimenti stagni invalicabili e inconciliabili. Caratteristica, quella della commistione di ideologie e formazioni considerata da Hakan Bıçakcı – aderente al gruppo su invito di Menteş nel 2011 – come il collante del movimento in un ambiente in cui differenze e diffidenze reciproche sono spesso ostacolo allo scambio e al dialogo.
Murat Menteş proviene infatti da un ambiente religioso e fino al punto di non ritorno delle proteste di Gezi scrive per quotidiani di ispirazione islamica, Alper Canıgüz invece dalla sinistra liberale, ma i loro libri e la loro idea di letteratura hanno più di un punto in comune. Prima di tutto la centralità della città, Istanbul come bacino infinito di storie che, raccontate con una lingua estremamente lavorata in cui il gergo di strada coesiste con vocaboli ricercati e sofisticati, danno vita a scenari surreali e quotidiani al tempo stesso.
Se non si può riconoscere un’omogeneità di stile tra i numerosi e diversi scrittori che ne fanno parte, si possono riconoscere alcuni punti di contatto. Particolarità della scrittura di molti è quella di esplorare una caratteristica tipica del turco che permette di “letterarizzare” le forme più comuni della lingua. Espressioni colorite, intercalari e interiezioni di un registro basso e familiare del linguaggio quotidiano inserite in una scrittura solida, ricca di vocaboli ricercati, che dà luogo a una narrazione ben costruita, una trama serrata che si sposta tra la psicologia dei personaggi e gli eventi in un movimento continuo.
Altra caratteristica comune tra alcuni scrittori come Menteş e Canıgüz risiede proprio nella capacità di commistione, come già per la lingua, tra fenomeni soprannaturali e episodi banali, preoccupazioni universali e comportamenti locali. In Il Dilemma del Baro un ex studente per sbarcare il lunario si inventa una macchina capace di riprodurre maschere esattamente identiche all’originale e in società con un amico affitta la propria persona come avatar per chi ha bisogno di “essere contemporaneamente in due posti diversi”, fino a venire coinvolti in una spirale di malintesi diventando bersaglio di un potente boss della malavita pur continuando a vivere tra i bar di Beyoğlu e l’affitto in una pensione nella periferia di Istanbul (Dublörün Dilemması). Ma esistono anche ambientazioni in città di provincia, come le cittadine sul mar di Marmara dei racconti di Mahir Ünsal Eriş che mette in scena episodi di vita quotidiana, relazioni familiari e ricordi d’infanzia in un’atmosfera malinconica con uno sguardo ironico sul passato, o Hakan Bıçakcı, che riconosce nell’attenzione alle storie piccole, ai momenti marginali della vita e all’uso di una lingua gergale, il denominatore comune tra gli scrittori del movimento. Esistono tuttavia anche forme espressive diverse, come quella poetica rappresentata in particolare da Ah Muhsin Ünlü, poeta e regista che interpreta attraverso versi sconnessi e suggestivi un quotidiano materiale esistenziale. Nella raccolta Gidiyorum Bu (Vado ecco) riferimenti alla cultura popolare si intrecciano con lattine di birra vuote, richiami alla preghiera, telefonate disturbate, esplosioni di bombe e rimandi interni a poeti turchi del movimento İkinci Yeni, segnando in pieno spirito Afili Filintalar una sorta di continuità formale e un distacco generazionale al tempo stesso.

Oltre la realtà

L’ispirazione di questi scrittori è infatti duplice, da una parte trapela un’immersione totale nella letteratura moderna e nel cinema contemporaneo europeo, asiatico e statunitense, dall’altra la profonda conoscenza della letteratura turca classica e moderna; commistione che genera talvolta un “surreale alla turca”; storie universali e contemporanee in un’ambientazione e con personaggi decisamente turchi. Non è forse un caso che siano proprio le generazioni più giovani ad apprezzare maggiormente i testi prodotti dal movimento, a segnare una rottura, se si considera il rapporto con il senso dell’assurdo che ha la società tutta. La letteratura “realista socialista” (toplumcu gerçekçi) che ha cominciato a diffondersi negli anni Trenta in Turchia ha continuato a produrre opere fino agli anni Ottanta generando alcuni di quelli che sono tutt’ora considerati scrittori faro nella letteratura turca del Novecento, da Ferit Edgü a Fakir Baykurt, da Yaşar Kemal a Sabahattin Ali, Kemal Tahir, Orhan Kemal, Rıfat Ilgaz, Aziz Nesin… A dimostrazione del fatto che nonostante l’enorme successo che ha avuto ad esempio una scrittrice come Ursula K. Le Guin in Turchia, l’aderenza al reale per gli scrittori è tradizionalmente un concetto portante per il lettore turco. Uno dei romanzi di Canıgüz, il secondo di una trilogia dove un ragazzino di cinque anni è un abile, cinico e scaltro detective, è stato criticato perché non è credibile che un bambino “parli in quel modo e faccia quelle cose a quell’età”.

Alcuni editori si stupiscono di come i manoscritti di giovani scrittori esordienti siano presentati oggi con definizioni come “assurdo”, “surreale”, “originale”, “fantastico”. Aggettivi che fino a dieci anni fa un autore che avesse avuto una minima speranza di veder pubblicato il suo libro non avrebbe mai osato.
È forse anche per questa ragione che gli appartenenti agli Afili Filintalar sono spesso disdegnati da una critica e da un pubblico “serio” e consigliati dai librai a lettori soprattutto adolescenti che riconoscono nelle storie una novità di contenuto e azione espressa attraverso una narrazione originale ma con una lingua familiare e in un contesto noto. Ragazzi e ragazze che hanno punti in comune con i personaggi principali, o sperano di conoscere gli autori in un caffè di Istanbul. Lo scontro tra vecchio e nuovo, presente in ogni grande movimento di rottura artistica, è d’altronde una costante nella letteratura turca, un esempio tra tutti quello del 1940 quando la nuova generazione di scrittori rappresentata tra gli altri da Sait Faik, Necip Fazıl e Abidin Dino rivendicava di essere la prima a coniugare l’eredità culturale orientale alla letteratura e al pensiero occidentale.

Critiche, reazioni e un nuovo approccio al maschile

Oggetto di critiche talvolta molto dure per gli Afili Filintalar è l’atteggiamento considerato “adolescenziale” degli scrittori. L’autore viene talvolta identificato con i personaggi e quel gergo, quella noia esistenziale, quel disfattismo, le dipendenze da alcool e droga, l’apolitica, quegli innamoramenti focosi sono letti come una mancanza di serietà, maturità o cultura. Uno dei migliori esempi letterari di questo stato d’animo è Emrah Serbes, autore per la casa editrice İletişim della fortunata serie poliziesca che ha per protagonista l’irriverente commissario Behzat C., ma anche di uno dei pochi romanzi scritti sino a oggi che parlano delle proteste di Gezi del 2013 e di due raccolte di racconti. La prima di queste, Erken Kaybedenler (Facili perdenti) pubblicata nel 2009, lo ha fatto immediatamente riconoscere come un nuovo membro della famiglia degli Afili Filintalar. Eppure questa espressione, che mantiene sempre un livello letterario e una capacità di scrittura molto alti, è sintomo e rappresentazione di un quadro sociologico concreto e reale; se non sono reali alcuni degli eventi raccontati, per quanto potenziali, reale è l’ispirazione, il bacino da cui sono attinte le storie e il sentire individuale in cui molti, giovani o meno, istanbulioti o provinciali, si riconoscono. Inoltre il politico, per quanto non direttamente espresso nei romanzi, ha segnato profondamente la storia del movimento. Quando a Gezi quell’ironia che ha animato il linguaggio politico delle proteste e di cui molti di questi libri portano traccia, secondo alcuni degli esponenti del movimento ha tracimato oltre la linea di confine, autori come Murat Uyurkulak (Tol, Passigli, 2016, trad. di L. M. Selvelli), tra i primi aderenti e appartenente alla sinistra radicale, hanno abbandonato il gruppo per incompatibilità ideologica con altri membri.
Anche la critica e molti lettori si sono trovati in difficoltà di fronte a un gruppo così variegato e mutevole, con aderenti sempre nuovi e altri che abbandonavano il progetto, e cercando di dare una collocazione al movimento sono state formulate nei confronti di quest’ultimo accuse di vario genere. Quella che più ha preso piede tuttavia è quella di machismo. Se è vero che si tratta prevalentemente di uomini che hanno dato vita al movimento, anche alcune scrittrici, proporzionalmente alla presenza delle donne nella letteratura non solo turca ma mondiale, hanno nel tempo contribuito al sito degli Afili Filintalar, tra queste Aslı Tohumcu o Meltem Gürle.
Da un lato la critica nasce dal fatto che alcuni degli scrittori facenti parte del gruppo si siano definiti in loro scritti su giornali e riviste come “uomini di sinistra” e in questa loro presa di posizione la mancanza totale di riferimenti al problema della violenza e della discriminazione delle donne, alla critica al patriarcato, alle lotte femministe, è stata letta come incoerenza. Resta un fatto che nelle storie sono per lo più assenti protagoniste e quando appaiono queste sono idealizzate, estremamente belle, intelligenti, forti, modelli da seguire oppure sono personaggi di comparsa, caricaturizzate. Non c’è quasi mai l’immagine di una donna reale e manca empatia riguardo al loro modo di sentire e pensare; persino quando sono oggetto d’amore c’è una certa distanza nello sguardo che le descrive. Si può tuttavia leggere in quello sguardo un’espressione diretta e sincera del modo di vedere la donna da parte dell’uomo e di relazionarsi a lei, una confessione autentica come forse mai è stato prima di un disagio tutto maschile nei confronti della donna.
In un articolo intitolato “La squadra degli Afili Filintalar e altre narrazioni della mascolinità nella letteratura turca” pubblicato a maggio 2018 per il portale K24, la giornalista İlknur Karanfil cerca di spiegare il fenomeno come un tentativo di ricostruire un’idea della mascolinità di fronte al femminismo, un modo di ripensare un modello maschile che non batte più i pugni sul tavolo ma ha gli occhi commossi e soffre di depressione, a metà strada tra forza e impotenza. Secondo la giornalista questa resa dei conti dell’uomo turco di fronte alla mascolinità avviene in alcuni romanzi degli Afili Filintalar anche coinvolgendo la donna, per contrasto, e l’espressione dello sguardo dell’uomo su di lei presente in alcune di queste opere, se da una parte genera la speranza di poter costruire un nuovo modello di mascolinità, dall’altra dimostra che la strada da fare per una inclusività di genere è ancora lunga.
Forse è proprio in questa distanza che vengono formulate le critiche provenienti da una parte della sinistra intellettuale, nel non aver ancora saputo accorciare le distanze rispetto alle generazioni precedenti in merito a un tema così attuale, dibattuto e presente nella società. E tuttavia, persino le critiche formulate nei confronti di questo fenomeno letterario degli Anni Zero, dimostrano che questi testi rappresentano come una cartina tornasole lo stato d’animo e la realtà di una parte della società e di almeno una generazione. (ga)

Questo articolo è frutto di interviste e conversazioni con numerose persone, scrittori, editori, traduttori, agenti letterari che ringrazio, in particolare Murat Menteş, Alper Canıgüz, Mahir Ünsal Eriş, Hakan Bıçakçı, Ercan Y. Yılmaz, Murat ÖzyaşarNazlı Berivan Ak, Amy Spangler, Mark David Wyers, Fabio Salomoni, Murat Uncu, il Pasaj Hazzopulo, teatro di molte conversazioni, e tutti i lettori, critici, librai che hanno contribuito più o meno consapevolmente alla stesura. 

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