All’indomani del processo di Gezi, in cui sono state condannate otto figure molto importanti della società civile in Turchia tra cui anche Osman Kavala, il Project on Middle East Democracy (POMED), Freedom House, PEN America e Reporter senza frontiere (RSF) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sul verdetto in cui vengono ricostruiti i passaggi salienti e vengono messi in evidenza i punti critici dal punto di vista giuridico. Di seguito proponiamo la traduzione dell’appello.
Lunedì 25 aprile, la corte ha condannato il filantropo e leader civile Osman Kavala al carcere a vita senza possibilità di condizionale per ‘tentato rovesciamento del governo turco’. Secondo quanto riportato, nel 2013 Kavala avrebbe orchestrato la protesta senza leader e prevalentemente pacifica di Gezi Park contro il regime del presidente Erdoğan. La corte ha condannato altre sette persone – Ali Hakan Altınay, Can Atalay, Yiğit Ali Ekmekçi, Tayfun Kahraman, Çiğdem Mater, Mine Özerden e Mücella Yapıcı – a 18 anni di carcere per presunta complicità e supporto al tentativo di Kavala, per cui è stato richiesto il loro imprigionamento immediato. Le altre nove persone accusate, incluso il noto giornalista Can Dündar e lo studioso americano Henry Barkey che si trovavano fuori dal paese e che sono quindi stati processati in assenza, verranno nuovamente giudicate in un altro processo. L’aspetto persecutorio è evidente nelle accuse nei confronti di queste 17 persone. Le accuse del 25 aprile sono infondate e la giustizia si mostra in una parodia di sé stessa, un esempio profondamente disturbante della strumentalizzazione da parte di Erdoğan del sistema giudiziario contro il dissenso pacifico.
Il “caso di Gezi” è una delle accuse più politiche e intenzionalmente contorte perseguite dal governo di Erdoğan. Nel 2019, circa sei anni dopo le proteste di Gezi, una corte di Istanbul ha processato Kavala e altri 15 rappresentanti della società civile con le ridicole accuse di aver organizzato e sponsorizzato le manifestazioni di massa. Il caso si basava su ben 657 pagine di un’indagine farneticante e surreale che descriveva una selvaggia teoria del complotto anti-occidentale per cui le proteste di Gezi venivano equiparate a un tentato colpo di stato e il coinvolgimento della società civile allo spionaggio. Tuttavia, con questa indagine non sono riusciti a trovare nessun collegamento tra le persone imputate e le azioni criminali a loro ascritte. A seguito di un processo viziato presieduto da diversi giudici, la corte ha emesso un’assoluzione inaspettata degli imputati e delle imputate nel febbraio 2020. Quando Erdoğan si è scagliato contro il sorprendente verdetto, un’altra corte lo ha reso nullo nel gennaio 2021 richiedendo un nuovo processo, poi iniziato nel maggio del 2021 (che ha incluso Barkey). Nel frattempo, il governo ha avviato delle investigazioni nei confronti dei giudici che hanno richiesto l’assoluzione.
Il nuovo processo è segnato dall’irregolarità della procedura. I giudici, la corte e persino le imputate e gli imputati sono cambiati diverse volte. Nell’udienza del 25 aprile, alcuni dei giudici non hanno nemmeno prestato attenzione all’arringa di chiusura della difesa, concentrandosi invece a giocare sui loro telefonini. E quando un’avvocata della difesa ha riportato che nel 2018 uno dei giudici era entrato a far parte del partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdoğan (AKP), questo stesso giudice si è rifiutato di ricusare, affermando che la difesa stava in realtà “tentando di allungare la procedura”.
La saga di Kavala, l’unico imputato incarcerato per tutta la durata del processo di Gezi, è ancora più oltraggiosa. Kavala è un filantropo, pacifista e un attivista civile che ha dedicato la sua vita e il suo patrimonio ad allargare e promuovere le libertà civili in Turchia. È stato tenuto in isolamento in un carcere di massima sicurezza dal momento del suo arresto nel novembre 2017. È stato nuovamente arrestato poche ore dopo la sua assoluzione nel febbraio 2020, anche questa volta a causa di accuse infondate, cioè di aver sostenuto il tentato golpe militare contro Erdoğan nel 2016, e anche di spionaggio. Queste accuse sono state accorpate a quelle per il nuovo processo di Gezi, anche se poi nel verdetto del 25 aprile le accuse di spionaggio sono cadute.
Il crudele e ingiusto imprigionamento di Kavala per quattro anni e mezzo non ha solo ulteriormente rovinato l’immagine internazionale della Turchia, che ha ricevuto condanne da ben dieci tra i suoi alleati transatlantici e dalle principali organizzazioni per i diritti umani. Ha anche portato la Turchia sull’orlo dell’espulsione dal Consiglio d’Europa (CoE), la più antica istituzione europea con il mandato di difendere i diritti umani e lo stato di diritto. Non avendo rispettato l’ordine del CoE per il rilascio immediato di Kavala nel dicembre 2019, la Turchia è ora sottoposta alla procedura d’infrazione, che potrebbe portare alla sua rimozione da membro del Consiglio. Nella sua storia, il CoE ha avviato una procedura così seria soltanto nei confronti di un altro membro, l’Azerbaijan, nel 2017. L’unico membro che il CoE ha sospeso è la Russia, che è stata espulsa lo scorso mese a seguito della sua illegale e brutale invasione dell’Ucraina.
Sollecitiamo le autorità turche a rettificare queste condanne sconcertanti e a liberare immediatamente e senza condizioni tutte le persone imputate, in linea con lo stato di diritto. La Turchia deve rispettare gli obblighi internazionali che ha ratificato e sospendere immediatamente questa persecuzione illegittima e ingiusta nei confronti di attiviste e attivisti della società civile, membri dell’opposizione, giornaliste e giornalisti, accademiche, accademici e tutte le altre persone perseguitate per ragioni politiche.
Traduzione di Matu D’Epifanio.
Immagini di Murat Başol dall’aula del tribunale