Dall’Islanda al Giappone, dal Portogallo alla Norvegia passando per l’Olanda e Berlino e infine, dopo Brasile e India tocca alla Turchia. Il 17 giugno esce per la casa editrice iperborea il decimo numero della rivista libro The passenger dedicato al nostro paese di elezione. Ogni numero della rivista si propone di esplorare un paese attraverso inchieste, rubriche, reportage letterari, approfondimenti culturali, info-grafiche e fotografie con il contributo autoriale, giornalistico, artistico e accademico di esperti locali e internazionali. Un approfondimento che a partire dall’attenzione al contemporaneo cerca di ricostruire la storia culturale e sociale di ogni paese esplorato.
numero sulla Turchia spazia dai ritrovamenti nel corso degli scavi per la costruzione della metro di Istanbul alla storia del rap turco, dalla costruzione della diga di Hasankeyf raccontata da Ercan Y Yılmaz alla condizione delle donne analizzata da Sema Kaygusuz, da un approfondimento sulla satira della nostra Valentina Marcella al racconto dell’Anatolia trasformata di Burhan Sönmez, dalla coalizione tra tifoserie avversarie alla propaganda neo ottomana che passa per le serie televisive…
Le rubriche di questo numero sono curate dalla redazione di Kaleydoskop. Abbiamo raccontato delle “manie nazionali” a proposito del rakı e del kaçak çay, della Diva Bülent Ersoy e delle trasformazioni ambientali del Mar Egeo, insieme a Açık Radyo abbiamo provato a proporre una playlist rappresentativa delle molte tendenze musicali contemporanee e delineato i profili dei personaggi politici più rappresentativi del Paese tracciando anche una cronologia essenziale della Turchia.
In anteprima pubblichiamo la pagina 1 della rivista che introduce il numero e ne spiega i percorsi e le motivazioni:
La nascita della «nuova Turchia» creata da Recep Tayyip Erdoğan è una storia esemplare dell’ascesa di quelle «democrazie illiberali» che i governi autoritari di tutto il mondo stanno modellando attraverso l’erosione dei diritti civili, della libertà di stampa, della separazione dei poteri e dell’indipendenza del sistema giudiziario. Ma ogni paese lo ha fatto in modo diverso e caratteristico – e ha sviluppato forme di resistenza altrettanto distintive. La Turchia era un paese complesso molto prima dell’ascesa del suo nuovo sultano «ottomanista»: nata come stato nazionale solo cent’anni fa sulle ceneri di un impero multietnico e multireligioso, la Repubblica è tuttora costretta a fare i conti con quell’identità artificialmente laica e omogenea che le ha imposto Atatürk causando indicibili sofferenze a chiunque
non volesse adattarsi alla sua definizione di «turchicità». Lo scontro tra l’eredità kemalista e l’islam politico di Erdoğan è solo una delle tante contraddizioni irrisolte di un paese diviso che nell’ultimo decennio ha attraversato una crisi dietro l’altra, da un golpe sfiorato a una serie di attentati e guerre dentro e fuori dai confini. Il governo di Erdoğan, cinico e corrotto, è sempre riuscito bene o male a superare le difficoltà che si è creato da sé, grazie anche a una repressione feroce del dissenso e l’uso delle risorse dello stato a proprio favore – per esempio lo sviluppo di infrastrutture che, alle ragioni economiche, affiancano motivi meno nobili come la cancellazione della memoria storica di un luogo, vedi l’antica città curda di Hasankeyf inondata dalla costruzione di una diga. Ma c’è anche la speranza di un’altra Turchia, che prende forza dalla propria diversità tenendo vivo lo spirito di Gezi, il più entusiasmante movimento di protesta della storia del paese. La resistenza assume varie forme, ed è spesso una questione individuale, ma è ovunque: nelle donne che si ribellano a uomini che le amano «da morire», nelle minoranze che cercano di riappropriarsi della loro cultura attraverso il dialogo con la maggioranza turca, nei vignettisti che sfidano la censura, nei rapper che danno una voce a una generazione ammutolita nel consumismo promosso dal governo, fino anche nei tifosi che lasciano da parte le loro rivalità – sia pure per un attimo solo – per unirsi alle proteste contro il nemico comune.
Le fotografie del numero sono a cura di Nicola Zolin.